Il leader che i palestinesi non si meritavano

Insultando, infrangendo gli impegni, fomentando violenze Arafat si è fatto buttare fuori da ogni paese arabo.

di Barry Rubin

image_427Ufficialmente, pubblicamente e ideologicamente tutti gli arabi devono amare Arafat. Naturalmente non è vero. Quando gli arabi, palestinesi compresi, si esprimono su Arafat in privato non cercano nemmeno di nascondere il loro disprezzo.
C’è qualcosa di affascinante nella perfetta simmetria della carriera di Arafat. Se la vita di Arafat, strettamente parlando, non è ancora finita, certamente il quarto ed ultimo ciclo della sua disastrosa vita politica è giunto al termine, ed esattamente allo stesso modo di quelli precedenti.
In ogni fase della sua carriera, Arafat ha goduto di calorosa accoglienza e di importanti chance per edificare il suo movimento e aiutare la sua gente. Ma ogni volta ha rovinato l’ospitalità ricevuta insultando i padroni di casa, infrangendo gli impegni, fomentando violenze e lasciando che le sue forze si scatenassero. E ogni volta alla fine si è fatto buttare fuori.
Dapprima fu la Giordania, dove re Hussein permise ad Arafat di edificare uno stato-nello-stato e attaccare Israele disponendo di un suo proprio esercito. Il re sapeva che potenti stati arabi e la considerevole porzione palestinese della popolazione giordana appoggiavano Arafat, e non voleva guai. Ma Arafat costrinse re Hussein a combatterlo. Con i suoi accoliti cercò di provocare la caduta della monarchia Hashemita, si fece beffe della sua autorità, minacciò di trascinare la Giordania in un’altra guerra contro Israele, insultò i suoi soldati. Messo alle strette, re Hussein reagì nel settembre 1970. Arafat proclamò che avrebbe combattuto fino alla fine da vero martire. Invece, lui e i combattenti dell’Olp vennero cacciati fuori dal paese.
Poi fu la volta del Libano. Alcuni libanesi accolsero volentieri Arafat, altri lo fecero piegandosi alle pressioni dell’Egitto. All’inizio vi furono alcuni scontri, ma anche i libanesi non volevano avere guai con Arafat. Attacca pure Israele attraverso il confine, dissero, ma attieniti ad alcune semplici regole non scritte per evitare che la reazione di Israele coinvolga il Libano. Soprattutto, non impicciarti nelle questioni interne libanesi. Ancora una volta Arafat si inimicò i suoi ospiti. I suoi uomini vessarono i libanesi trattandoli da sudditi e trasformando il sud del paese in un feudo dell’Olp. Spadroneggiando per le strade, le forze dell’Olp si comportavano da padroni anche nella capitale Beirut. Le manovre di Arafat contribuirono a destabilizzare la politica libanese e a scatenare la guerra civile. Alcuni libanesi chiamarono l’esercitò siriano perché li liberasse da Arafat. Altri, successivamente, fecero un accordo con Israele. Nel 1982 le forze dell’Olp fuggirono davanti alle Forze di Difesa Israeliane e i dirigenti libanesi chiesero che lasciassero il paese. Arafat proclamò che avrebbe combattuto fino alla fine da vero martire. Invece si imbarcò coi suoi alla volta della Tunisia.
In seguito, è vero, non arrivò a scontrarsi direttamente con gli ospiti tunisini. Ma lui e il suo entourage divennero molto impopolari anche lì. Violò la promessa di non condurre operazioni terroristiche a partire direttamente dal territorio tunisino. I tunisini erano furiosi, ma troppo deboli per poter fare qualcosa. Questa volta Arafat riuscì a inimicarsi sauditi e kuwaitiani. Schierandosi dalla parte del dittatore iracheno Saddam Hussein, che aveva invaso il Kuwait nel 1990, Arafat mise in pericolo direttamente la sovranità e la sopravvivenza di due stati che lo avevano finanziato per anni. Quelli tagliarono immediatamente i fondi, riducendo l’Olp sull’orlo della bancarotta. Per colpa di Arafat, decine di migliaia di palestinesi vennero cacciati come traditori dal Kuwait e da altre monarchie del Golfo Persico.
L’Olp sembrava aver toccato il fondo. Se Israele e Stati Uniti avessero voluto (se fossero stati tanto malvagi quanto Arafat e i suoi tifosi sostengono) avrebbero potuto distruggere lui e il suo movimento. Invece, nella loro ricerca di una vera pace, pensarono che la debolezza di Arafat lo avrebbe reso più moderato. Lo presero in parola. Okay, dissero, vuoi uno stato, e allora facciamo un accordo che soddisfi necessità e aspirazioni di tutti.
Paradossalmente Arafat trattò Israele esattamente come aveva trattato gli arabi. Nel 2000 rifiutò una pace di compromesso e lanciò una guerra di terrorismo. Ancora una volta fomentò disordine, anarchia, violenze ed estremismo.
Questa volta, però, venne confinato anziché espulso. Israele disse che poteva andare e venire dal suo quartier generale assediato a Ramallah se avesse fermato il terrorismo che istigava e finanziava. Ancora una volta Arafat eluse le proprie responsabilità.
La malattia gli ha procurato un biglietto per Parigi, pagato dai contribuenti francesi, con la promessa senza condizioni che avrebbe potuto fare ritorno. Ora è in Europa. Nessuno in Medio Oriente lo accoglierebbe. Arafat è il benvenuto solo dove la gente non conosce o non vuole capire i suoi comportamenti di un’intera vita. Mentre politici male informati, sedicenti umanitari e romantici voyeurs di rivoluzioni altrui sono sempre pronti a dargli un’altra chance, Arafat ha esaurito la lista di paesi dove poter intrallazzare.

(Barry Rubin, direttore di Middle East Review of International Affairs, su Jerusalem Post, 2.11.04)

Nella foto in alto: 13 novembre 1974 – Arafat all’Onu (con la pistola al fianco). Alle sue spalle, a sinistra, il Segretario Generale dell’Onu Kurt Waldheim (poi accusato di complicità con i nazisti)