Il messaggio al mondo dei “misteriosi incidenti” in Iran

E’ molto improbabile che la rapida serie di incendi ed esplosioni verificatisi in Iran nelle ultime settimane sia una pura coincidenza

Editoriale del Jerusalem Post

Iran: “Israele deve essere cancelklato dalla faccia del mondo”

Tre settimane fa un articolo scritto dallo staff dell’Istituto politico-strategico del Centro Interdisciplinare Herzliya sosteneva che il concentrarsi del primo ministro Benjamin Netanyahu sull’eventuale estensione della sovranità israeliana a parti della Cisgiordania stava distogliendo la sua attenzione, e quella del mondo, dalla principale minaccia per Israele: l’Iran. Il titolo dato al documento lo sintetizzava bene: “Annessione in, Iran out: Israele danneggia la lotta contro un Iran nucleare”. Secondo l’articolo, le incessanti discussioni sull’eventualità di un’annessione non solo portavano il mondo a concentrarsi su Israele anziché sull’Iran, ma portavano lo stesso Netanyahu a distogliere lo sguardo dal campo iraniano, e proprio in un momento particolarmente inopportuno mentre l’Iran continua a testare fino a che punto il mondo gli permetterà di superare i limiti dell’accordo nucleare del 2015, e mentre le Nazioni Unite hanno in programma di esaminare un’eventuale revoca dell’embargo sulle armi destinate alla Repubblica Islamica.

Tutto questo veniva scritto tre settimane fa. Poi, un paio di settimane fa, le cose sono vistosamente cambiate. Il 26 giugno c’è stata un’esplosione in una struttura presso Teheran che produceva combustibile liquido per i missili balistici, mentre un enorme incendio scoppiava a Shiraz. Sono stati i primi casi di una serie di almeno sei incendi, esplosioni e incidenti chimici che si sono susseguiti da allora, tra cui il sito nucleare di Natanz, una centrale elettrica ad Ahvaz e una centrale petrolchimica a Mahshahr. Che tutto ciò sia una semplice coincidenza è improbabile. I fatti indicano che qualcuno, da qualche parte – ognuno faccia le proprie ipotesi su chi e dove – non ha dimenticato l’Iran, anche nel mezzo delle preoccupazioni del mondo per il coronavirus, della turbolenta situazione interna americana e del dibattito israeliano (assai meno intenso nell’ultima settimana) sull’eventuale annessione.

Un’immagine satellitare dell’8 luglio 2020 mostra la nuova officina d’assemblaggio delle centrifughe presso l’impianto nucleare di Natanz (Iran) pesantemente danneggiata da un incendio

Queste azioni all’interno dell’Iran fanno pervenire un forte messaggio ai dirigenti della Repubblica Islamica, che sono già alla prese con il coronavirus, le severe sanzioni statunitensi, una profonda crisi economica e agitazioni interne: il messaggio che quel regime è vulnerabile, che le sue strutture più sensibili possono essere raggiunte e penetrate e che gli impianti sospettati d’essere utilizzati per portare avanti il programma di missili balistici e nucleari possono essere gravemente danneggiati.

L’Iran dispone di molti gregari che fanno il suo lavoro sporco nella regione e nel mondo, ma chiunque abbia pianificato, dato il via libera e realizzato quelli che appaiono come attacchi premeditati contro le principali infrastrutture iraniane ha evidentemente valutato che era il momento di puntare diritto alla testa della piovra e che non basta colpire uno dei suoi numerosi tentacoli all’estero.

Perché adesso? Vi sono diversi possibili motivi. La tempistica potrebbe essere legata all’accelerazione impressa dagli iraniani al lavoro sul loro programma nucleare, giustificando le violazioni dell’accordo del 2015 con l’argomento che gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo e che gli europei, che invece mantengono l’accordo, non avrebbero fatto abbastanza per aggirare le sanzioni americane. Potrebbe anche essere legata al voto in programma alle Nazioni Unite per decidere se l’embargo sulle armi imposto all’Iran debba continuare, come vorrebbero gli americani. Dal momento che gli iraniani desiderano così tanto che l’embargo venga revocato, può essere nel loro interesse mettere la sordina a qualunque possibile reazione agli attacchi di dimensioni relativamente contenute sul loro territorio, per non dare ai membri delle Nazioni Unite la giustificazione per prolungare l’embargo.

Infine, la tempistica potrebbe essere legata alla finestra di opportunità che rimane prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti a novembre. Gli iraniani le aspettano con ansia, nella speranza che il presidente Donald Trump non venga rieletto e che entri in carica Joe Biden, il quale ha dichiarato che vorrebbe ripristinare un accordo sul nucleare con l’Iran. Al momento, dunque, non sarebbe negli interessi dell’Iran inscenare una risposta militare su ampia scala dal momento che ciò costringerebbe Biden a prendere una posizione verso la Repubblica Islamica più severa di quella cui forse è naturalmente incline.

In sintesi, chiunque sia dietro ai recenti attacchi in Iran, costui sembra operare in base al presupposto che, almeno per il momento, l’Iran ha le mani relativamente legate. Intanto, viene anche inviato un chiaro segnale al resto del mondo: nonostante tutti gli altri pericoli che l’umanità deve attualmente affrontare, consentire agli iraniani di progredire con le loro ambizioni nucleari sarebbe una assoluta follia che, al confronto, farebbe apparire secondarie le attuali minacce per il mondo.

(Da: Jerusalem Post, 9.7.20)