Il micidiale gioco al massacro degli assalti ai confini

Assad e palestinesi hanno interesse ad erodere la legittimità internazionale d’Israele.

Di Herb Keinon

image_3154A breve termine, Israele è uscito con pochi danni dagli scontri di domenica sul confine siriano. Non ci sono state vittime fra i soldati, e non si sono levate le usuali proteste dal resto del mondo per quello che si è configurato chiaramente come il diritto di Israele di difendere l’integrità delle proprie frontiere. La morte di alcuni siriani è senz’altro deplorevole, ma la responsabilità ricade interamente su coloro che hanno cercato di sfondare il confine d’Israele. Nessun paese può permettere che la sua sovranità venga violata. Si immagini come reagirebbero gli Stati Uniti se migliaia di messicani si avventassero sul confine del Texas, o come reagirebbe l’India se migliaia di pakistani cercassero di irrompere attraverso il confine. Forse è per questa ragione per cui gli scontri al confine siriano – che secondo le autorità siriane (non particolarmente note per attendibilità) avrebbero lasciato più di venti morti sul terreno e centinaia di feriti – non sono stati il tema dominante dei notiziari di domenica. Non lo sono stati nemmeno sui notiziari dei mass-media arabi, dove le notizie dallo Yemen hanno avuto l’onore della prima pagina, e gli scontri al confine israelo-siriano si contendevano lo spazio con il presidente siriano Bashar Assad che fa sparare a zero sulla sua stessa popolazione. Né i paesi del mondo sono sembrati tanto disposti a emanare dichiarazioni di condanna contro Israele per aver impedito con la forza la violazione dei suoi confini (pur con qualche eccezione, in particolare la Russia).
Si confronti tutto questo con la situazione di un anno fa, quando nove militanti turchi anti-israeliani resatarono uccisi a bordo della Mavi Marmara nello scontro con un commando delle Forze di Difesa israeliane salito a bordo per impedire la violazione del blocco navale anti-Hamas sulla striscia di Gaza. La differenza, questa volta, non è dovuta solo al fatto che molti capiscono il diritto di Israele a difendere i propri confini, ma anche al fatto che, dopo i massacri inflitti da Assad alla sua popolazione, rimangono ben poche illusioni in occidente sulla vera natura del regime siriano. E vi è la consapevolezza che, in quel paese, semplicemente non può accadere che colonne di autobus carichi di manifestanti si presentino spontaneamente al confine senza la collusione del governo. È evidente che Assad sta disperatamente cercando di cambiar il discorso.
Dunque, questa volta Israele ha schivato il colpo. Nessuna condanna spropositatamente dura, nessun appello per inchieste internazionali, nessuna richiesta di trascinare Israele davanti alla Corte Penale internazionale per crimini di guerra. Ma questo non significa che le immagini dal confine non abbiano un deleterio effetto cumulativo sul lungo periodo. Se iniziano a circolare immagini di “cecchini” israeliani che sparano a “manifestanti indifesi”, anche se quei manifestanti stanno tentando di forzare il confine e di fare irruzione nel paese, prima o poi coloro che si adoperano per la delegittimazione di Israele useranno quelle immagini a sostegno delle loro accuse e per dipingere Israele come uno stato criminale. Una rappresentazione che ai palestinesi non par vero di promuovere, mentre si avvicinano alla loro mossa di chiedere l’indipendenza, a settembre alle Nazioni Unite (senza accordo con Israele). Si è molto discusso nelle scorse settimane, dopo il primo assalto ai confini del 15 maggio, quanto tutto questo non possa essere una sorta di prova generale del modo in cui i palestinesi intendono reagire nel caso in cui l’assemblea generale dell’Onu dovesse riconoscere uno stato palestinese senza che però nulla cambi sul terreno. Il che però non coglie il punto. Ciò che fa comodo in questo momento alla narrazione palestinese sono le immagini di “profughi” che vengono uccisi mentre cercano di tornare alle “loro case”. Cosa che, sul piano emotivo, rafforza la loro tesi all’Onu di riconoscere uno stato per il popolo palestinese “senza stato” (anche senza accordo con Israele).
Ciò che non verrà discusso, all’Onu, è che i palestinesi non considerano il loro futuro stato come l’approdo per i profughi che strepitano ai confini settentrionali di Israele, giacché essi vogliono veder “tornare” quei profughi all’interno di Israele pre-’67. I palestinesi, tanto quanto si adoperano per la legittimazione del loro stato alle Nazioni Unite, altrettanto si adoperano senza sosta per delegittimare Israele agli occhi del mondo, buttarlo fuori come un paria, come uno stato da apartheid, un reietto che non si fa scrupolo di sparare su manifestanti disarmati (delegittimazione di Israele che non è affatto necessaria per promuovere la soluzione a due stati, e che anzi va contro tale soluzione).
E qui sta il guaio, per Israele. Come si può impedire che i propri confini vengano violati senza fare il gioco dell’altra parte? Situazione resa ancora più complicata dal fatto che Assad è visto sempre più come qualcuno che non ha nulla da perdere, che è poi il motivo per cui, a differenza di Giordania e Libano, permette per la prima volta in trentacinque anni che interi convogli di autobus carichi di manifestanti raggiungano il confine. Giordania e Libano hanno da perdere, in uno scontro con Israele. Assad non più.
E poi non è chiaro se vi sia qualcuno che abbia effettiva influenza sul dittatore siriano. Mosca, in una certa misura, ha contribuito a trattenere la comunità internazionale opporsi troppo duramente ad Assad, un frutto dell’antico rapporto protettore-cliente che esiste fra i due paesi. È probabile che Israele stia cercando di usare le sue buone relazioni con la Russia per convincere Assad che l’ultima cosa di cui ha bisogno in questo momento è di innescare seri problemi con Israele sul confine. Ma, se i fatti di domenica sono un indicatore, anche l’influenza di Mosca su Damasco appare limitata. E se Assad ha la sensazione di andare a fondo, non si farà sfuggire l’opportunità – che ritiene possa aiutarlo – di erodere ulteriormente la legittimità di Israele agli occhi del mondo. Per questo, gli scontri sul confine di domenica scorsa molto probabilmente sono destinati a non essere gli ultimi.

(Da: Jerusalem Post, 7.6.11)

Nella foto in alto: l’autore di questo articolo Herb Keinon