Il mio affetto per un paese imperfetto

Da arabo nato cristiano e oggi ateo, vedo Israele come un bastione della libertà e dei diritti umani circondato da un mare di tirannia

Di Fred Maroun

Fred Maroun, autore di questo articolo

Mi è stato chiesto perché amo Israele. Dopotutto, Israele è ancora in guerra con il mio paese natale, il Libano, di cui un tempo occupava una parte, per non parlare del persistente conflitto con i palestinesi. È una domanda a cui non è facile rispondere, non perché non mi venga in mente un motivo, ma perché i motivi sono tanti e talvolta difficili da spiegare.

Provo risentimento verso Israele per la sua invasione del Libano (avvenuta quando vivevo ancora lì)? Forse un po’, ma non proprio. Si può mettere in dubbio quanto fosse inevitabile quell’invasione (molti israeliani certamente l’hanno fatto), ma l’invasione non sarebbe mai avvenuta se Israele non fosse stato continuamente attaccato da terroristi palestinesi che agivano dal territorio libanese. Se qualcuno deve prendersi la colpa, siamo noi libanesi: per via delle nostre spaccature interne, che hanno diviso le nostre forze armate e consentito ai terroristi palestinesi di spadroneggiare sul nostro territorio. Anche la guerra di Israele con Hezbollah è principalmente colpa nostra, per via della nostra incapacità di disarmare Hezbollah e per avergli permesso di agire come uno stato all’interno di uno stato.

Da arabo nato cristiano e oggi ateo, vedo Israele come un bastione della libertà e dei diritti umani circondato da un mare di tirannia. I cristiani godono di alcune libertà anche in Libano, ma il Libano è impantanato non solo in una corruzione politica di livello mondiale, ma anche nell’estremismo musulmano influenzato sia dall’Iran che dall’Arabia Saudita. Durante una processione, domenica 30 aprile a Haifa, in Israele, per celebrare la Vergine Maria, Fadi Talhamy, un cristiano israeliano, ha spiegato: “Si prova un sentimento di appartenenza, a conferma che non siamo stranieri, che siamo di qui: cittadini dello stato d’Israele, che amiamo e che ci dà non solo piena libertà di culto, ma risorse per esercitarla”. Un’altra israeliana cristiana, Carmeline Ashkar, ha osservato: “Per molti [ebrei] israeliani, eventi come questo possono sembrare ovvi, ma per un arabo sono una cosa straordinaria. Altrove in Medio Oriente dobbiamo mantenere sempre un profilo basso, quando siamo perlomeno tollerati: dobbiamo tenere la testa bassa e stare al nostro posto, magari essere esibiti a Natale e poi rimessi nel congelatore”.

Arabe cristiane del movimento scout alla processione della Vergine Maria a Haifa, Israele

Amo Israele per aver avuto successo dove tanti altri avrebbero fallito. Non solo per aver resistito a numerosi attacchi arabi, ma anche per aver costruito una nazione democratica e di successo in una regione dove democrazia e progresso sono una rarità. Il successo di Israele mi fa sperare che a volte prevalga la parte giusta, contro ogni probabilità.

Amo Israele per aver ridato agli ebrei la loro casa dopo che gli era stata rubata così tante volte. Tutti sulla Terra hanno il diritto di essere ciò che sono, senza essere costantemente giudicati per questo. Come ebbe a dire l’allora primo ministro israeliano Golda Meir, “innanzitutto questo paese è nostro: nessuno, alzandosi la mattina, deve angosciarsi per quello che pensano di lui i suoi vicini. Qui, essere ebreo non è un problema”.

Amo Israele per il modo in cui combatte le guerre che è costretto a combattere, con uno standard etico più elevato di quello che qualsiasi altra nazione potrebbe reggere in circostanze simili. A differenza dei suoi nemici terroristi, Israele non prende mai deliberatamente di mira i civili (con grande disappunto dei suoi nemici, che spesso e volentieri accusano falsamente Israele di fare esattamente questo). Non basta. Israele ha subìto migliaia di attacchi dalla striscia di Gaza da quando l’ha sgomberata nel 2005, eppure continua a garantire copiosi aiuti a Gaza (anche durante i combattimenti) e continua a fornire lavoro e cure mediche a molti palestinesi di Gaza. Israele non combatte mai le guerre volontariamente né volentieri, ma solo perché sente di non avere altra scelta. Cerchiamo di essere del tutto onesti su questo punto: se tutti nel mondo avessero nei confronti della guerra lo stesso atteggiamento che ha Israele, non ci sarebbero più guerre.

Amo Israele per il suo esteso aiuto umanitario ai paesi colpiti da guerre o disastri naturali. In diverse occasioni Israele ha offerto aiuto persino al Libano, che purtroppo lo ha rifiutato a causa del predominio di Hezbollah sul governo libanese. IsraAid, una ong indipendente fondata nel 2001 che ha già portato aiuto in oltre 50 paesi, non è che uno degli esempi che si possono fare.

L’arabo cristiano di Haifa Bassam Ghattas (a sinistra) assiste alla processione della Vergine Maria con le figlie e il marito ebreo. “Ricordo d’aver partecipato a questa processione sin da quando avevo la loro età”, ha detto Ghattas a Times of Israel

Amo Israele perché è un paese mediorientale con valori liberali di tipo occidentale. Nel resto del Medio Oriente le persone LGBT possono solo sognarsi le libertà di cui godrebbero in Israele, a meno che non siano tra quei fortunati arabi LGBT che sono riusciti a rifugiarsi in Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, benché a capo del governo più di destra della storia israeliana, ha ribadito che il suo governo “non consentirà alcuna modifica allo status quo per quanto riguarda i diritti LGBT nel paese, né limitazioni alle sfilate gay pride”. Nel resto del Medio Oriente non si vede ancora nessun rispetto per i diritti LGBT, figuriamoci una parata della fierezza omosessuale.

E amo Israele perché è un paese mediorientale con una democrazia di stile occidentale. Sebbene la sua democrazia – come sostengono molti israeliani – sia attualmente minacciata dall’annunciata riforma giudiziaria, se qualcosa finora ha dimostrato il movimento anti-riforma è che la democrazia in Israele è viva e vegeta e funzionante. Il presidente Isaac Herzog, che si batte a tutela della democrazia israeliana, ha rimarcato che “l’indipendenza, e i pilastri democratici su cui poggia, non devono mai essere dati per scontati e devono essere sempre difesi”. Ma ha anche aggiunto: “Dibattito e disaccordi in una democrazia non solo sono naturali: sono cruciali. Che gli israeliani stiano discutendo con fervore di questioni fondamentali del sistema di controlli ed equilibri dimostra che il nostro discorso democratico è vibrante e che i nostri cittadini sono pienamente coinvolti. Anche questo è motivo di orgoglio”. Il resto del Medio Oriente farebbe bene ad ascoltare e imparare.

Certo, Israele è tutt’altro che perfetto. I suoi insediamenti in Cisgiordania e alcune delle sue altre politiche nei confronti dei palestinesi meritano critiche. E a loro stesso discapito, gli israeliani non hanno un progetto collettivo condiviso: non sono d’accordo su dove vorrebbero fissare i confini, cosa fare con i palestinesi della Cisgiordania. Israele vive il conflitto coi suoi vicini giorno per giorno, sperando per il meglio.

Ma quale paese è perfetto? La verità è che le imperfezioni di Israele me lo fanno amare ancora di più: significano che Israele non è una creazione soprannaturale, bensì opera di esseri umani imperfetti che, nonostante i loro difetti, sono riusciti a produrre un paese straordinario, un paese che nessuno avrebbe potuto nemmeno immaginare quando Israele dichiarò la sua indipendenza 75 anni fa.

Quindi, mentre vedo gli israeliani che si battono per la loro indipendenza, la loro democrazia e la loro identità, posso solo augurargli il meglio. Mi auguro che Israele sappia emergere da queste battaglie migliore e più forte e, in tutta onestà, sono abbastanza sicuro che lo farà.

(Da: Times of Israel, 2.5.23)