Il mio apartheid israeliano

Apartheid sono i miei compagni di studi all'Università di Gerusalemme, uno arabo musulmano di Umm El Fahm e l’altro arabo cristiano di Sakhnin. Ed è il giovane arabo di Abu Ghosh con cui ho fatto amicizia in ospedale mentre le nostre mogli partorivano insieme una accanto all'altra

Di Avi Lewis

Avi Lewis, autore di questo articolo

Per me l’apartheid in Israele è il dottor Samer Haj Yehia, l’arabo che è amministratore delegato di Bank Leumi, la più grande banca del paese. L’apartheid israeliano è Reda Masarwa, l’arabo vicepresidente di Intel Israel. Apartheid è il mio farmacista arabo che viene da Gerusalemme est e che da 6 anni mi fornisce medicine. Ed è il mio reumatologo arabo. Così come il tassista arabo che mi riporta dall’aeroporto. Apartheid è il proprietario arabo della bancarella del mercato Mahane Yehudah di Gerusalemme dove compro regolarmente le mie verdure ogni venerdì prima dell’inizio di Shabbat, ed è me stesso che ogni mattina siedo sul tram di Gerusalemme stretto tra donne che indossano l’hijab e uomini che parlano tranquillamente ad alta voce in arabo.

L’apartheid israeliano sono i miei colleghi arabi nell’hi-tech: talentuosi ingegneri informatici e data scientists impiegati a Tel Aviv in ruoli redditizi, pagati con lo stesso identico stipendio che ricevo io (e in alcuni casi di più). Ed è il mio collega arabo nel giornale israeliano, che ha avviato la versione araba del sito di notizie e continua a collaborare con uno dei giornalisti ebrei su una serie YouTube che spiega l’ebraismo in arabo. Apartheid è il piano Takadoum (“progresso” in arabo) con cui il governo israeliano ha stanziato 200 milioni di dollari per promuovere la tecnologia nella società arabo-israeliana. È l’ufficio a Ramallah della israeliana Mellanox che ha assunto più di cento ingegneri palestinesi. E gli uffici di Tel Aviv delle principali società big-tech come Google e Meta che promuovono i programmi D&I (Diversità e Inclusione) per l’assunzione di dipendenti arabi.

Samer Haj Yehia, dal 2019 amministratore delegato di Bank Leumi

Apartheid è George Karra, il giudice arabo cristiano che siede nel massimo organo giudiziario d’Israele, la Corte Suprema, e che ha condannato e mandato in carcere il presidente (ebreo) del paese, Moshe Katzav (il 9 maggio scorso Khaled Kabub è diventato il primo giudice arabo musulmano nella Corte Suprema ndr). Ed è l’ambasciatore d’Israele in Eritrea, il beduino musulmano Ishmael Khaldi. L’apartheid israeliano sono i 14 parlamentari arabi nella Knesset d’Israele, compresi quelli del partito islamista Ra’am guidato da Mansour Abbas che attualmente fa parte della coalizione di governo. Ed è la Lista (araba) Congiunta guidata da Ayman Odeh, i cui membri sono perfettamente liberi di dissentire pubblicamente ed anche di sostenere costantemente la causa palestinese mentre delegittimano lo stato ebraico. Apartheid sono le città miste d’Israele dove difficilmente distinguereste un cittadino ebreo da uno arabo: Acco, Haifa, Lod, Giaffa, Ramle e Gerusalemme, solo per citarne alcune. Apartheid è il  fatto che gli arabi possono acquistare proprietà e trasferirsi in città ebraiche come Nazareth Illit e Karmiel, e nei quartieri ebraici di Gerusalemme come Pisgat Ze’ev e French Hill (mentre nessun ebreo vive in località arabe d’Israele, ad eccezione di Abu Ghosh).

Apartheid sono B. ed N., miei compagni di studi all’Università di Gerusalemme: il primo un arabo musulmano di Umm El Fahm, il secondo un arabo cristiano di Sakhnin. Abbiamo spesso studiato insieme e ci siamo laureati insieme la in informatica. Apartheid è una studentessa nella mia classe di “arti liberali” all’Università di Gerusalemme. Veniva dal villaggio druso di Majdal Shams, sulle alture del Golan, dove la maggior parte degli abitanti afferma di non riconoscere la sovranità israeliana: eppure eccola qui, con il suo ottimo arabo, inglese ed ebraico, ed eccelle negli studi in una delle migliori università israeliane. Apartheid sono i 50.000 studenti universitari arabi d’Israele (il 17% del totale)… e l’esatto 0% di studenti ebrei israeliani nelle università palestinesi.

Khaled Kabub, arabo musulmano, dal 2022 giudice della Corte Suprema d’Israele

Apartheid è Yoseph Haddad, un arabo cristiano di Nazareth rimasto ferito nella seconda guerra in Libano durante il suo servizio delle Forze di Difesa israeliane, e che si è poi dedicato a spiegare all’estero la storia e la realtà di Israele. E le migliaia di arabi, sia cristiani che musulmani, che ogni anno si arruolano volontari nelle Forze di Difesa e nella polizia di frontiera, insieme a decine di migliaia di arabi drusi e altri gruppi minoritari. Apartheid è il mio comandante, il tenente colonnello A., che una volta mi ha dato un passaggio su a nord e ha trascorso l’intero viaggio parlando in arabo al telefono con sua moglie, mentre io sedevo stupito accanto a lui senza capire una parola. A. è un arabo druso, ha avuto una brillante carriera militare e ha continuato a guidare l’unità. Apartheid è sapere che stai per entrare a Gaza con la tua squadra e che non potrai contare su nessun fattore sorpresa dopo che milioni di volantini sono stati lanciati dall’aviazione israeliana sul quartiere Shejaiya (pieno di terroristi) per avvertire i civili palestinesi di allontanarsi e così ridurre al minimo le vittime innocenti (a rischio delle nostre vite).

Apartheid è fare una corsa sul lungomare di Giaffa durante un caldo pomeriggio estivo e vedere centinaia di famiglie palestinesi (provenienti dai Territori) che si godono la spiaggia. Apartheid è essere l’unico ebreo israeliano a bordo di un volo pieno di arabi israeliani da Tel Aviv a Istanbul. Apartheid sono le centinaia di migliaia di lavoratori palestinesi che ogni giorno entrano in Israele (da Cisgiordania e Gaza) per lavorare, anche se non sono cittadini israeliani… e l’esatto zero di ebrei israeliani che vanno a lavorare nell’Autorità Palestinese o a Gaza, poiché l’ingresso nelle aree palestinesi è illegale per gli ebrei israeliani a causa del pericolo di vita che comporta.

Apartheid sono i miei traslocatori palestinesi, i muratori che stanno ristrutturando l’appartamento accanto, l’addetto arabo del servizio clienti del mio internet provider di casa, l’impiegato palestinese alla stazione di servizio, il poliziotto arabo-israeliano nel  mio quartiere, le donne arabe che sono in questo momento in coda davanti a me in un supermercato israeliano.

Pausa di preghiera per paramedici del Magen David Adom (Stella Rossa di David) fotografati a Beersheva durante la prima ondata della pandemia: l’ebreo originario di Beersheba prega rivolto verso Gerusalemme, l’arabo musulmano originario di Rahat rivolto verso La Mecca

Apartheid è essere stato invitato ad Abu Ghosh per una cerimonia musulmana dell’aqiqah (rito per i neonati) da un giovane con cui ho fatto amicizia nel reparto maternità dell’ospedale Sha’are Tzedek mentre le nostre mogli partorivano insieme, l’una accanto all’altra. Apartheid sono i medici arabi che curano le vittime ebree di attacchi terroristici e i medici ebrei che curano i terroristi palestinesi che hanno appena commesso un attentato, e che a volte si ritrovano sdraiati fianco a fianco in un ospedale israeliano. Ed è mia moglie che lavora come infermiera in una clinica nel centro di Gerusalemme insieme a un’infermiera araba del quartiere Issawiya di Gerusalemme est.

Apartheid è la ong israeliana Save a Child’s Heart Foundation che porta in Israele bambini cardiopatici da tutto il mondo, e specialmente da Gaza, e copre le spese per le cure salvavita. E sono le decine di ong europee che operano a Gerusalemme est godendo della libertà, della sicurezza e degli agi di livello occidentale garantiti da Israele mentre allo stesso tempo condannano senza appello il paese.

Apartheid è la barriera di sicurezza a cui sono grato ogni giorno, ricordando le stragi causate dagli attentatori suicidi che insanguinavano la seconda intifada prima della sua costruzione… e sono le decine di migliaia di palestinesi (cittadini non israeliani) che ogni venerdì entrano a Gerusalemme da Betlemme, a sud, e da Qalandiya, a nord, per pregare alla moschea di al-Aqsa.

Reclute dell’unità araba delle Forze di Difesa israeliane Gadsar si apprestano a prestare giuramento sul Corano

Apartheid è il luogo più sacro dell’ebraismo (il Monte del Tempio) amministrato dal Waqf musulmano come conseguenza di un decisione politica ufficiale israeliana. E sono i tanti luoghi santi ebraici nelle aree palestinesi che sono in gran parte inaccessibili agli ebrei (la tomba di Giuseppe, la sinagoga di Gerico, la tomba di Giosuè, l’altare sul monte Ebal tanto per citarne alcuni). E sono i dieci giorni all’anno in cui la sinagoga ebraica all’interno della Tomba dei Patriarchi di Hebron viene temporaneamente trasformata in una moschea per accogliere i fedeli musulmani, e i dieci giorni all’anno in cui gli ebrei hanno accesso anche al lato musulmano della tomba. E’ “apartheid”? Il complicato balletto delle relazioni arabo-ebraiche nell’angolo più instabile del mondo è “apartheid israeliano”?

Mentre i paesi intorno a noi sono subissati da corruzione, bagni di sangue e violenze settarie in cui i potenti governano e i deboli muoiono o finiscono in servitù, Israele è un’isola di equilibrio, ordine, libertà di parola e relativa tolleranza. Centinaia di migliaia di ebrei e arabi condividono ogni giorno milioni di minuscole interazioni (talvolta molto significative), tutte rese possibili solo e unicamente dalla stabilità e dallo stato di diritto garantiti nello stato ebraico.

Non è perfetto, lo stato ebraico, e non lo sarà mai. Ma in una regione violenta dove sembra funzionare soltanto il linguaggio della forza, la società israeliana è unica e stupefacente. Basta chiedere cosa ne pensano gli zero ebrei che vivono sotto Autorità Palestinese o sotto Hamas (o in Giordania o in Siria).

Israele funziona e fiorisce e progredisce, nonostante problemi che potrebbero non essere mai risolvibili. E nonostante le accuse e le condanne degli ostili per partito preso.

È tutto questo che ha in mente Amnesty International, quando taccia Israele di apartheid?

(Da: Times of Israel, 14.4.22)