“Il mondo non capisce, vogliono aiutare noi palestinesi e finiscono per farci del male”

Come dice Scarlett Johansson, palestinesi e israeliani lavorano insieme nella fabbrica tanto odiata dai boicottatori

Daniel Birnbaum tra impiegati arabi ed ebrei

Daniel Birnbaum tra impiegati arabi ed ebrei

La fabbrica SodaStream, situata appena fuori l’autostrada che scende da Gerusalemme al Mar Morto, è balzata alle cronache di tutto il mondo per la contestazione della sua testimonial, l’affascinante Scarlett Johansson, ad opera dei boicottatori anti-israeliani. Domenica scorsa il carismatico amministratore delegato di SodaStream, Daniel Birnbaum, ha intrattenuto parecchi giornalisti presentando con orgoglio l’impianto che produce le celebri macchinette per fabbricarsi in casa bibite frizzanti, con grande risparmio di inquinanti bottiglie di plastica, colpevole di sorgere (poco) al di là della ex linea armistiziale che divideva Israele e Giordania nel periodo 1949-’67.

Un monumento all’ingresso dell’impianto racchiude, secondo Birnbaum, lo spirito dell’azienda con le immortali parole del profeta Isaia: “E spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”.

Il monumento all'ingresso della fabbrica con le parole di pace del profeta Isaia

Il monumento all’ingresso della fabbrica con le parole di pace del profeta Isaia

Gli affari di SodaStream sono cresciuti in modo esponenziale da quando Birnbaum è stato assunto dalla società di private equity che ha acquisito l’azienda nel 2007. Prima, SodaStream produceva 20-30mila macchinette al mese; ora ne produce la stessa quantità ogni giorno. Mentre si allargava il mercato di SodaStream, allo stesso modo si ampliava il suo fabbisogno di manodopera. Oggi l’impianto di Mishor Adumim, il primo di otto impianti che si trovano in Israele cui si sono aggiunti altri 22 stabilimenti nel resto del mondo, impiega 1.300 lavoratori: 950 arabi (di cui 450 arabi israeliani e 500 arabi palestinesi), e 350 ebrei israeliani. Stipendi e benefits, spiega la direzione e confermano gli operai, sono uguali per tutti i lavoratori a parità di mansioni, senza distinzioni di etnia o cittadinanza. La fabbrica, aggiunge il Direttore operativo Yossi Azarzar, garantisce permessi di lavoro israeliani ai propri dipendenti palestinesi, e le trasferte da e verso casa.

Per i fautori della campagna del boicottaggio qualsiasi azienda israeliana che operi al di là della ex linea armistiziale del ‘49 nota come Linea Verde è per definizione illegale, di bieco sfruttamento e contro la pace. Per questo hanno attaccato con virulenza Scarlett Johannson quando l’attrice ha accettato di fare da testimonial dell’azienda. Ma la Johannson ha respinto agli attacchi dichiarando che “SodaStream è una società impegnata non solo a favore dell’ambiente, ma anche nella costruzione di un ponte di pace tra Israele e Palestina”.

Birnbaum parla con orgoglio di coesistenza arabo-ebraica stando in piedi accanto a una giovane operaia araba col velo sulla testa impegnata alla catena di montaggio, a sua volta seduta di fronte a una donna più anziana, con un copricapo scuro, immigrata in Israele dall’ex Unione Sovietica nel 1993.

Poco distante, un’altra giovane palestinese sta montando valvole di plastica su un grande vassoio di metallo. Si chiama Fares Nahida, ha 28 anni, si è laureata come maestra all’Università A-Najjah di Nablus. Ha iniziato a lavorare per aziende israeliane due anni fa, non riuscendo a trovare lavoro nel suo settore a Ramallah, dove vive con il marito e il figlio appena nato. “Non ci sono opportunità di lavoro in Cisgiordania – dice Fares – Anche nei posti di lavoro che ci sono, non pagano più di 1.500-2.000 shekel (430-570 dollari) al mese”. Fares ora guadagna tre volte tanto. Il marito di Fares, sottotenente nella prestigiosa Forza di Sicurezza Preventiva dell’Autorità Palestinese, guadagna 2.000 shekel (570 dollari) al mese dopo dieci anni di servizio.

Un'operaia palestinese in SodaStream

Un’operaia palestinese in SodaStream

Visti i livelli relativamente bassi di violenza politica degli ultimi anni, tra il 2010 e il 2012 le autorità israeliane hanno aumentato di circa il 37% il numero di permessi di lavoro in Israele per palestinesi di Cisgiordania. Tuttavia, come misura anti-attentati suicidi, i palestinesi che entrano Israele per lavorare devono avere più di 24 anni, essere sposati e avere almeno un figlio. Invece, per lavorare in un insediamento israeliano in Cisgiordania un palestinese basta che abbia più di 18 anni e la fedina penale pulita.

Fares ha iniziato a lavorare in una lavanderia automatica nella zona industriale di Mishor Adumim (dove si trova SodaStream), ma se n’è andata perché, dice, maltrattata dalla direzione. In SodaStream è molto più contenta. Lavora su un turno di 12 ore, dalle 7 alle 19, con pause di 15-30 minuti ogni due ore di lavoro. Il cibo nella mensa è buono, dice, mentre mostra la valvola a cui sta lavorando e che è, afferma con orgoglio, “la componente più importante del distributore di soda”.

Un’altra dipendente, Sa’ida, 28 anni, ha cominciato a studiare l’ebraico a Gerico, la sua città, ma ha iniziato a usarlo solo nello stabilimento, dove è entrata in contatto per la prima volta con ebrei israeliani. Qui ebrei e arabi si mescolano liberamente “e addirittura si cambiano d’abito insieme”, aggiunge arrossendo.

Sa’ida preferisce non parlare delle implicazioni politiche del suo delicato posto di lavoro a Mishor Adumim (lavorare negli insediamenti è illegale per la legge dell’Autorità Palestinese), ma dice che lei e i suoi colleghi si domandano come mai proprio la SodaStream, fra tutte le aziende della zona industriale di Ma’ale Adumim, sia stata presa di mira dai mass-media. “E’ per via di Scarlett Johansson”, le hanno detto. (Elhanan Miller in: Times of Israel, 3.2.14)

Operai palestinesi e israeliani

La fabbrica SodaStream si trova in un sito che fino a 18 anni fa apparteneva alle Industrie Militari Israeliane. Quando l’azienda ha iniziato la sua attività nessuno parlava di boicottaggi e i palestinesi della zona, come oggi, si affrettarono a trovarvi lavoro. “Quelli che vorrebbero aiutare noi palestinesi finiscono per farci del male – dice Nabil Bashrat, 40 anni, residente a Ramallah, impiegato in SodaStream – Questa fabbrica fornisce reddito a centinaia di famiglie, interi villaggi. Pace è ciò che accade qui dentro, e non fuori. Quelli che sono all’estero non capiscono i nostri rapporti e di fatto sabotano il processo. La fabbrica ci avvicina. Anche nei periodi di instabilità, come durante la guerra a Gaza, qui tutto andava avanti come al solito”. Interpellato circa le critiche che gli potrebbero essere rivolte perché lavora in una fabbrica israeliana, Bashrat risponde: “Non ci sono problemi. Ho camminato per le strade di Ramallah con addosso la mia uniforme SodaStream. Ci sono molte altre persone che vorrebbero venire a lavorare qui. Quando vengo al lavoro, io non devo passare per un posto di blocco. Sono gli israeliani che vengono qui a lavorare che devono passare attraverso il checkpoint”. (Noam Dabul Dvir in: YnetNews, 2.3.14)