Il necessario collegamento

Contro l'antisemitismo occorre un collegamento come quello che venne imposto al blocco sovietico dal processo di Helsinki.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_259L’attenzione suscitata dal fatto che le Nazioni Unite hanno tenuto il loro primo convegno sull’antisemitismo in quasi sessant’anni di storia ricorda la classica notizia dell’uomo che morde il cane. Il fatto che sia considerato degno di nota che l’Onu si oppone all’antisemitismo dà di per sé la misura del problema.
Accogliamo con favore questo convegno considerandolo, nel migliore dei casi, un piccolo passo rispetto ai balzi da gigante che l’Onu dovrebbe fare per affrontare davvero il problema dell’antisemitismo, e il ruolo che l’Onu stesso ha avuto in questo problema.
Meno di tre anni fa, a Durban (in Sudafrica), l’Onu tenne una conferenza internazionale su “Razzismo, xenofobia e intolleranza” che si trasformò in un moltiplicatore propagandistico esattamente di questo: dell’odio e del pregiudizio contro ebrei e Israele. Per spiegare come mai gli Stati Uniti si sentirono in dovere di abbandonare quella conferenza, il segretario di stato Colin Powel disse: “Quello che so è che non si combatte il razzismo con conferenze dai cui scaturiscono dichiarazioni piene di parole di odio, alcune delle quali indicano un ritorno ai giorni infausti dell’equazione sionismo uguale razzismo, o dando corda all’idea che si parli troppo di Olocausto, o suggerendo che in Israele esista un regine di apartheid, o isolando un solo paese in tutto il mondo – Israele – per calunniarlo e condannarlo”.
La conferenza di Durban fu un vivido esempio di come odio e delegittimazione contro Israele, inaccettabili di per sé, si riversino del tutto naturalmente in antisemitismo. Non sorprende che la campagna per togliere ogni legittimità ad Israele sia costantemente accompagnata dal tentativo di minimizzare o negare non solo gli atti di antisemitismo, ma il concetto stesso.
Le Nazioni Unite, se vogliono seriamente combattere l’antisemitismo, devono adottare misure concrete. Devono approvare una risoluzione che condanni l’antisemitismo, nonostante l’opposizione di regimi arabi. Devono definire l’antisemitismo una violazione dei diritti umani, come le altre forme di odio, pregiudizio e intolleranza, e non come un derivato del conflitto arabo-israeliano. Devono smetterla di applicare un grossolano doppio standard contro Israele, come quando la Commissione Onu per i Diritti Umani dedica di gran lunga più tempo a condannare Israele rispetto a qualunque altro paese del mondo. Infine, devono smetterla di chiudere gli occhi di fronte alla massiccia propaganda governativa anti-ebraica che imperversa nel mondo arabo.
Sabato scorso il principe ereditario saudita Abdullah, intervistato da NBC News a proposito dell’ondata di terrorismo che ha colpito il suo paese, ha dichiarato: “C’è dietro il sionismo, ora è chiaro. Non al 100 per cento, ma al 95 per cento ci sono le mani dei sionisti dietro a quanto è successo”.
Calunnie del sangue contro ebrei e Israele sono di routine nei mass-media e nei sistemi scolastici strettamente controllati dai governi dei regimi arabi, compresi quelli considerati “moderati e filo-occidentali” come l’Arabia Saudita e l’Egitto. Non si tratta solo del serial televisivo basato sui “Protocolli dei Savi di Sion” mandato in onda in Egitto, ma anche della riedizione degli stessi Protocolli ad opera di un editore di proprietà del governo egiziano. Lo stesso editore che nel 2002 ha pubblicato un libro intitolato “I crimini degli ebrei contro le religioni monoteistiche”, nella cui introduzione si legge: “Esistono decine di libri pubblicati in arabo e altre lingue che descrivono ampiamente la storia degli ebrei, dei figli di Israele o del sionismo. La maggior parte di loro ignora o volutamente omette qualunque riferimento ai gravi crimini che questa razza di gente ha commesso, sia contro se stessa e i propri profeti, sia contro altri popoli e nazioni”.
Naturalmente non è realistico aspettarsi che le Nazioni Unite, trasformate dai paesi del blocco arabo in uno strumento antisemita, cambino al punto da arrivare a condannare i paesi arabi proprio su questo terreno.
Ciò che si può sperare è che il recente riesame di questo tema che si è avuto a Berlino e a Washington riesca a imporre conseguenze concrete alle nazioni che fomentano antisemitismo.
Lo scorso aprile l’Ocse ha emesso la Dichiarazione di Berlino, che invoca una serie di misure per combattere l’antisemitismo, separandolo dal conflitti arabo-israeliano. Questo mese, il ministro israeliano Natan Sharansky ha parlato al Congresso americano della necessità di collegare strettamente il livello di relazioni fra Stati Uniti e paesi arabi al trattamento che questi ultimi riservano ai loro dissidenti e al fatto se combattano o meno l’antisemitismo: un collegamento simile a quello che venne imposto con successo a suo tempo al blocco sovietico dal processo di Helsinki e dall’emendamento Jackson-Vanik.
Questo collegamento è la chiave del problema. L’odio antiebraico, come ogni altro crimine, può essere contrastato solo imponendo severe conseguenze agli individui e ai regimi che lo commettono.

(Da: Jerusalem Post, 22.04.06)

Nell’immagine in alto: vignetta antisemita su “Al-Hayat Al-Jadida”, 5 aprile 2003

Sul tema antisemitismo e Israele, vedi anche il seguente articolo (e la successione di articoli linkati):
Persino peggio dell’anti-ebraismo tradizionale

http://israele.net/prec_website/analisi/17024rbn.html