Il “negazionismo del Tempio” che spiana la via all’ISIS

L'attuale ondata di terrorismo palestinese è il culmine di decenni di “revisionismo storico” antiebraico alimentato da Arafat e Abu Mazen

Di Ruthie Blum

Ruthie Blum, autrice di questo articolo

Ruthie Blum, autrice di questo articolo

Due arabi, con in testa il proposito di fare una strage, hanno fatto irruzione martedì mattina in una sinagoga di Gerusalemme armati di pistole e mannaie. Sono riusciti a uccidere quattro fedeli ebrei e a ferirne diversi altri prima di essere abbattuti dalla polizia.

Subito i mass-media hanno etichettato l’attentato come una vendetta per la morte, domenica sera, di un autista di autobus arabo (dipendente della società israeliana Egged). L’esame autoptico condotto lunedì alla presenza di un medico legale arabo ha mostrato che il defunto si era suicidato impiccandosi. Ma famigliari e propagandisti palestinesi hanno continuato a sostenere che era stato assassinato “dagli ebrei”. Ne sono seguiti violenti scontri per le strade.

In realtà, proteste e scontri contro quelli che vengono percepiti (e propagandati) come “crimini israeliani” sono in corso da mesi. Ogni singolo incidente ha la sua specifica definizione, ma fanno tutti parte di quella che chiamerei “l’intifada del Monte del Tempio”.

Secondo i mass-media, quest’ennesima guerra di logoramento contro Israele sarebbe stata causata da un movimento di ebrei che desiderano modificare lo status quo in vigore nel sito ed essere autorizzati a pregare sulla spianata del Monte del Tempio. Ma i musulmani, che sono del tutto liberi di pregare alla moschea di Al-Aqsa, considerano questa rivendicazione come un’aggressione intollerabile. Per giustificare il loro rifiuto di qualunque forma di coesistenza religiosa sul luogo santo negano qualunque connessione del luogo con l’ebraismo.

Opuscolo stampato dal Waqf islamico contenente una completa negazione del Tempio ebraico (in contraddizione con quanto affermato dallo stesso Waqf negli opuscoli stampati prima della nascita dello stato d’Israele)

“Negazionismo del Tempio” è il termine coniato da Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, già ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite e attuale consigliere di politica estera del primo ministro Benjamin Netanyahu. Nel suo libro del 2007 La battaglia per Gerusalemme: l’Islam radicale, l’Occidente e il futuro della Città Santa, Gold definì con quel termine il tentativo da parte del capo dell’Organizzazione per la Liberazione palestinese Yasser Arafat di delegittimare Israele respingendo ogni rivendicazione ebraica sulla città santa.

Da allora Gold ha dimostrato come il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) abbia ripreso da dove Arafat aveva lasciato, continuando ad alimentare la campagna che mira a screditare ogni connessione di Israele con Gerusalemme in generale, e con il Monte del Tempio in particolare.

Quando Gold iniziò a mettere in guardia circa il “negazionismo del Tempio” come strumento di propaganda dotato di un messaggio pericolosamente contagioso, molti esperti fecero spallucce. Dopo tutto non c’è solo il legame religioso degli ebrei con il luogo più sacro del giudaismo (riconosciuto anche nella tradizione e dalla dottrina cristiana): vi sono ad attestarlo anche abbondanti riscontri archeologici, sul sito stesso e attorno al sito.

Non basta. Come Gold ha sottolineato su queste colonne (“Abbas’ Temple denial” 2.3.12)

«il grande paradosso di questa nuova versione palestinese della storia di Gerusalemme è che contraddice la stessa tradizione islamica originaria. Abu Ja’far Muhammad bin Jarir al-Tabari (839-923 e.v.), un autorevole commentatore del Corano conosciuto come uno dei più grandi storici dell’islam, nel suo resoconto della conquista di Gerusalemme da parte del secondo Califfo, Omar bin al-Khattab, descrive il Califfo mentre si dirige verso “l’area in cui i romani seppellirono il Tempio [bayt al-maqdis] all’epoca dei figli d’Israele”».

L’analisi e gli ammonimenti di Gold erano lungimiranti. L’attuale ondata di terrorismo palestinese rappresenta il culmine di decenni di “revisionismo storico” rilanciato da Arafat al termine del summit di Camp David del luglio 2000 (quando fece trasecolare Bill Clinton dicendo appunto che un Tempio ebraico a Gerusalemme non è mai esistito), e da allora implacabilmente alimentato dai suoi successori nell’Autorità Palestinese, e dappertutto dagli estremisti musulmani.

E’ anche questo ciò che permette allo “Stato Islamico” (ISIS) di prendere piede a Gerusalemme. Secondo il sito di notizie on-line Vocativ, sta circolando sui social network dell’ISIS una campagna chiamata “reclutamento per al-Aqsa”. “L’obiettivo di questa campagna santa – afferma il gruppo stesso – è quello di preparare attacchi jihadisti e suicidi contro gli ebrei … al fine di applicare la legge di Allah e liberare la prigioniera moschea al-Aqsa dalle mani degli sporchi ebrei”. Questa dichiarazione d’intenti è corredata da recapiti Skype, Twitter, telefonici, e-mail e da un appello per volontari e fondi che suona così: “I musulmani sia all’interno che all’esterno della Palestina condividono il dovere di liberare Gerusalemme. O fratello musulmano, se non puoi essere tu stesso un mujahid (combattente della jihad), allora devi sapere che i tuoi fratelli in Palestina hanno promesso ad Allah di intraprendere la strada della jihad. Non essere tirchio con i tuoi soldi”. Quando Vocativ ha chiamato il numero indicato sul post, ha risposto un uomo che ha detto che l’obiettivo è quello di reclutare 50 combattenti pagando a ciascuno uno stipendio di 2.500 dollari in contanti per coprire il costo di un kalashnikov, caricatori e proiettili. Ecco dunque che il Monte del Tempio viene utilizzato anche dai sostenitori dell’ISIS per attrarre reclute.

Stati Uniti ed Europa hanno sprecato energie e risorse preziose in “soluzioni” miopi a quello che è diventato un fenomeno globale quasi incontenibile. Incolpare Israele per qualsiasi cosa non solo puzza di antisemitismo: è anche totalmente controproducente. Il Monte del Tempio non è la causa della “controversia”, come non lo sono gli ebrei che insistono sul diritto di potervi pregare. E’ questo il dato di fatto che andrebbe riconosciuto e tenuto ben presente.

(Da: Israel HaYom, 18.11.14)