Il nuovo corso delle relazioni fra Egitto e Israele

In passato gli arabi vedevano Israele, nella migliore delle ipotesi, come una stazione di passaggio sulla strada per Washington. Oggi è Israele la destinazione, un attore regionale legittimo, dotato di peso e influenza

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

L’Egitto celebra in questi giorni l’ottavo anniversario della caduta del presidente Hosni Mubarak, ma non si tratta di una festa normale. Molti egiziani sarebbero felici di cancellare quella data dai libri di storia e rinunciare alle “piacevolezze” che, alla fine, ne derivarono: una instabilità che sconfinò nell’anarchia nelle strade e negli anni del dominio dei Fratelli Musulmani.

Mubarak, il deposto tiranno in disgrazia, processato e persino incarcerato, è tornato alla ribalta come un personaggio legittimo e addirittura gradito. Recentemente è stato convocato in tribunale non come imputato, ma come testimone nelle udienze contro coloro che usurparono il suo potere. Mubarak, le cui supposte pessime condizioni di salute erano diventate vivo argomento di discussione nelle fasi successive al suo governo, è apparso in ottima forma. Dopotutto, la sua ex prigione è ora occupata da molti di quei giovani rivoluzionari che hanno provocato la sua caduta.

Ma in Egitto, come sempre, c’è posto per un solo sovrano, e oggi quella persona è Abdel Fatah al-Sissi, che è determinato a trasformare l’Egitto in un paese moderno e avanzato. Non in quanto alle pratiche in materia di diritti umani, ci mancherebbe, ma per quanto riguarda la capacità di garantire stabilità e di soddisfare i bisogni quotidiani di base di oltre cento milioni di cittadini. Per questo, molti egiziani concorderebbero col tipico ritornello mediorientale secondo cui il diritto al pane, a una casa e alla vita stessa fa premio sul diritto di dire ciò che si vuole: soprattutto se il diritto di dire ciò che si vuole è incompatibile con gli altri diritti vitali, come dimostrano le recenti esperienze in Siria e nello stesso Egitto.

Le bandiere israeliana ed egiziana al valico di frontiera di Nitzana fra Negev israeliano e Sinai egiziano

Lo scorso giugno, al-Sissi ha iniziato il suo secondo mandato quadriennale. La costituzione egiziana, modificata sulla scia della rivoluzione, vieta attualmente un terzo mandato. Non sorprende che si stia svolgendo un dibattito pubblico, e una campagna di propaganda orchestrata dal governo, per ribaltare quell’emendamento che costringerebbe al-Sissi a farsi da parte fra tre anni. Il nodo è evidente. Al-Sissi ha descritto il governo di Mubarak come un successo, ma troppo lungo. Tuttavia al-Sissi è un governante ancora relativamente giovane, dinamico e vigoroso, per cui la sua rappresentazione di Mubarak non si applica necessariamente a lui.

Un fronte su cui al-Sissi sta cercando di promuovere gli interessi dell’Egitto, senza dare molto credito all’opinione pubblica interna, è il rapporto con Israele. Mubarak preservò il trattato di pace con Israele, ma non vide mai la necessità di rafforzare e approfondire le relazioni: probabilmente perché temeva il contraccolpo pubblico di qualsiasi misura di normalizzazione o di miglioramento della sicurezza e dei rapporti economici con Israele. Al-Sissi non teme questo tipo di critiche e, a quanto pare, l’opinione pubblica egiziana – certamente le élite che controllano il paese – non si oppone al rafforzamento dei legami di sicurezza, economici e persino diplomatici con Israele, se questo serve gli interessi dell’Egitto.

L’Egitto non è il solo. Gli stati del Golfo (che ufficialmente non hanno rapporti diplomatici con Israele ndr) stanno seguendo le sue orme, e forse in certi campi hanno persino aperto la strada. E presto diversi paesi del Nord Africa si uniranno alla parata. A dire il vero, non si tratta di relazioni calorose né di legami pienamente normalizzati con il governo israeliano. Ma a quanto sembra, i rapporti israelo-arabi hanno fatto effettivamente un vero passo avanti.

Se in passato la disponibilità araba a intrattenere relazioni pacifiche con Israele si limitava – quando c’era – a riconoscere la necessità di porre fine al conflitto e di venire a patti malvolentieri con l’esistenza di Israele, ora stiamo passando a una fase che vede il riconoscimento da parte araba dei concreti benefici, per entrambe le parti, connaturati al miglioramento rapporti con Israele.

Non basta. Se in passato gli arabi vedevano Israele solo come una stazione di passaggio sulla strada per arrivare a Washington, ora è Israele la destinazione. In effetti, per molti in Medio Oriente Israele è diventato un attore regionale legittimo, dotato di peso e della capacità di influenzare: un paese con cui le relazioni meritano d’essere migliorate. Si può presumere che questa tendenza andrà intensificandosi alla luce della volontà di Washington di disimpegnarsi dalla regione e all’ombra intimidatoria dell’Iran, che rappresenta una minaccia significativa non solo per Israele ma per molti dei suoi vicini arabi.

(Da: Israel HaYom, 3.2.19)