Il nuovo Libano?

Le distinzioni artificiose fra libanesi e Hezbollah spazzate via dallo spettacolo di odio unanime

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2196Mettendo da parte decenni di spaccature settarie, politiche e personali, tutto il corpo politico libanese si è riunito la sera di mercoledì scorso in una genuina manifestazione di unità nazionale: Samir Kuntar era stato riportato a casa.
Dopo quasi trent’anni di assenza eccolo là, davanti a moltitudini in estasi, questo vero figlio del Libano la cui iniziazione all’età adulta è passata dal minorenne delinquente fuori controllo, all’adolescente infanticida fino al maturo terrorista senza un’ombra di rimorso; eccolo là in uniforme militare, sull’attenti davanti alle bandiere libanesi e di Hezbollah, il braccio teso nel saluto di Hezbollah, negli occhi un bagliore da psicopatico: un autentico rampollo del suo paese.
In un flash si è svelato il vero volto del nuovo Libano. Mentre la musica celebrativa contribuiva ad esaltare la folla e Kuntar, insieme agli altri terroristi scarcerati, se ne stava sul palco come materiale di scena, Hassan Nasrallah, il vero eroe nonché personificazione del nuovo Libano , compariva per alcuni attimi per la sua prima apparizione in pubblico dallo scorso gennaio. Kuntar, druso di nascita, spontaneamente baciava il suo raggiante eroe. Nasrallah non ricambiava.
“L’era delle sconfitte è finita – proclamava Nasrallah alla folla in visibilio – E’ arrivata l’era delle vittorie. Oggi questo popolo ha dato una grande e chiara immagine ai suoi amici e ai suoi nemici di come non può essere sconfitto”. Subito dopo veniva rapidamente potato via dalle sue guardie del corpo verso il bunker da dove ha fatto arrivare il resto del suo discorso, trasmesso su uno schermo gigante installato nella piazza di Beirut sud dove si teneva la cerimonia di benvenuto.
“Una delle più grandi fortune – continuava Nasrallah – è che il governo di unità nazionale ha accolto con il suo benvenuto i prigionieri liberati”. Poco prima, un tappeto rosso era stato steso all’aeroporto internazionale di Beirut dove politici e signori della guerra libanesi appartenenti a fazioni ferocemente rivali fra loro avevano accolto come eroi nazionali Kuntar e gli altri terroristi scarcerati.
Il leader druso Walid Jumblatt ha ricordato con orgoglio che suo padre Kamal (assassinato dai siriani nel 1977) era stato all’avanguardia per la causa palestinese in Libano. Il presidente cristiano maronita Michel Suleiman ha richiamato l’unità libanese nella lotta contro lo stato degli ebrei e l’impegno a far “tornare tutti i palestinesi nella loro terra”. Non potevano mancare Nabih Berri, presidente del parlamento e boss del movimento sciita Amal, e Fuad Saniora, il primo ministro “filo-occidentale”, musulmano sunnita. Completavano la rappresentanza d’onore il leader della maggioranza parlamentare sunnita Saad Hariri (anche suo padre Rafiq è stato assassinato dai siriani nel 2005) e il leader dell’opposizione cristiana Michel Aoun. Tutti hanno messo da parte i contrasti e i conflitti con Nasrallah per offrire a ciascuno dei “militanti” tornati a casa il proprio bacio e abbraccio.
C’è un insegnamento che gli strateghi israeliani devono trarre da questo nauseabondo spettacolo di perversa unità: Libano e Hezbollah sono una cosa sola. Se, il cielo non voglia, dovesse esserci un’altra guerra, le Forze di Difesa israeliane dovranno combatterla con la massima determinazione: non come vuole Hezbollah, ma su tutto il campo di battaglia libanese.
Sin dalla guerra in Libano del giugno 1982 le forze armate israeliane hanno dovuto combattere il Libano a mani legate. La copertura spesso manipolata e tendenziosa che i mass-media internazionali fecero di quella guerra, unita alla contrarietà dell’occidente e americana in particolare a colpire le infrastrutture del paese, misero Israele nell’impossibilità di sconfiggere i suoi nemici. Tra gli stessi israeliani si consolidò la percezione del Libano come di una società essenzialmente pacifica presa in ostaggio da fazioni violente e non rappresentative. Alla fine questa valutazione prevalse su tutte le altre, impedendo alle Forze di Difesa israeliane di farla finita con Yasser Arafat. L’Olp fu solamente espulsa da Beirut e dalle sue roccaforti nel Libano meridionale e confinata in Tunisia. Ma le conseguenze non volute di quella guerra portarono a un risultato ancora peggiore: l’islamismo sciita sostenuto dall’Iran e l’ascesa di Hezbollah.
Ora che il Libano e Hezbollah sembrano essersi fusi, devono finire le interdizioni autodistruttive delle Forze di Difesa israeliane. All’inizio della seconda guerra in Libano (luglio 2006), l’allora capo di stato maggiore Dan Halutz avvertì in modo altisonante che Israele avrebbe “portato indietro l’orologio del Libano di vent’anni” se non fossero stati restituiti Ehud Goldwasser ed Eldad Regev. Nessuno lo prese sul serio: Israele non avrebbe mai punito il “buon Libano” per i crimini dei “cattivi Hezbolah”. Le forze aeree israeliane si limitarono a bersagliare più che altro roccaforti islamiste.
Ma se il Libano e Hezbollah sono ora una cosa sola, Israele deve rivedere radicalmente la sua strategia per vincere una guerra su suolo libanese. Le distinzioni artificiose fra obiettivi “libanesi” e “Hezbollah” sono state spazzate via dall’inverecondo spettacolo di barbarica unità nazionale di mercoledì scorso. Il Libano si è rivelato nel suo odio unanime. Israele deve interiorizzare quell’unanimità d’intenti carica di odio, e sconfiggerla senza esitazioni.

(Da: Jerusalem Post, 18.07.08)