Il papa alla tomba di Herzl chiude un cerchio storico e attesta il successo del sionismo

Sono passati 110 anni da quando Pio X disse: “Gerusalemme non deve cadere nelle mani degli ebrei”

Di Uri Heitner

Il 23 gennaio 1904, sei mesi prima di morire, un esausto Theodor Herzl incontrò papa Pio X. Il fondatore e leader del moderno sionismo politico, in grado di parlare molte lingue, voleva capire se il Papa avrebbe sostenuto il movimento sionista e cercò di persuaderlo parlando in italiano. Ma la risposta del Papa fu inequivocabile: era del tutto contrario all’idea che venisse fondata una “casa ebraica” in Terra d’Israele e si opponeva in linea di principio all’idea stessa di riconoscere il popolo ebraico. “Gli ebrei – disse – non hanno riconosciuto il nostro Signore e dunque non possiamo riconoscere il popolo ebraico”. Nonostante questa posizione, Pio X non era contrario al fatto che degli ebrei immigrassero in Terra d’Israele. “Noi preghiamo per loro – disse – affinché le loro menti siano illuminate. E così, se verrete in Palestina a insediarvi la vostra gente, vi saranno chiese e preti pronti a battezzare tutti voi”. Pio X sottolineò in particolare che Gerusalemme “non deve cadere nelle mani degli ebrei”, e concluse: “Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, fino ad oggi non lo hanno fatto”.

«Herzl ottenne finalmente l’udienza di papa Pio X grazie a un pittore, il conte De Lippay, incontrato per caso a Venezia. Il 22 gennaio 1904 Herzl fu ricevuto dal Segretario di Stato vaticano, Merry del Val. Questi disse che la Chiesa era disposta a dare protezione agli ebrei poiché essi erano necessari alla Chiesa come testimoni della punizione divina. Ma la Chiesa non accettava che gli ebrei governassero di nuovo la Palestina. Tre giorni dopo Herzl fu ricevuto in udienza da papa Pio X. Questi fu almeno franco e disse : “Non possiamo favorire gli ebrei nel possesso dei Luoghi Santi. O gli ebrei rimarranno attaccati alla loro antica fede e allora essi negano la divinità di Gesù e noi non possiamo aiutarli, oppure andranno lì senza nessuna religione, e allora meno che mai possiamo avere a che fare con loro. La fede ebraica è stata il fondamento della nostra, ma è stata sostituita dall’insegnamento di Cristo”.» (Da: Sergio Minerbi, Il Vaticano, la Terra Santa e il Sionismo, 1988).

Circa 110 anni dopo, papa Francesco ha compiuto una visita ufficiale in Israele, lo stato nazionale del popolo ebraico, e nella sua capitale Gerusalemme. Tutti gli emblemi della sovranità sono stati bene in mostra, durante questa visita. Il Papa ha incontrato il presidente Shimon Peres, il primo ministro Benjamin Netanyahu, e i due Gran Rabbini d’Israele. Ha visitato la Sala della Memoria a Yad Vashem e il Muro Occidentale (o Muro del Pianto). Ma a mio avviso, ciò che ha veramente coronato la sua visita è stata la sosta alla tomba di Theodor Herzl, sul Monte Herzl a Gerusalemme, perché con quella sosta si è chiuso un cerchio storico. Quella sosta ha un significato unico e generale: il sionismo ha trionfato.

Lunedi scorso papa Bergoglio è stato il primo Papa nella storia ad aver deposto una corona di fiori bianchi e gialli (i colori della bandiera del Vaticano) sulla tomba di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, sul Monte Herzl di Gerusalemme

Lunedi scorso papa Bergoglio è stato il primo Papa nella storia a deporre una corona di fiori bianchi e gialli (i colori della bandiera del Vaticano) sulla tomba di Theodor Herzl, a Gerusalemme

Il riavvicinamento tra la Santa Sede e lo Stato di Israele è stato lungo e laborioso. La visita di papa Paolo VI in Israele nel 1964, che durò appena 11 ore, rappresentò una pietra miliare che fece ben sperare per le relazioni bilaterali giacché apriva a un riconoscimento de facto dello stato ebraico. Ma il Papa si rifiutò di incontrare i leader israeliani a Gerusalemme, perché ciò sarebbe stato interpretato come un riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele. Il presidente israeliano Zalman Shazar e il primo ministro Levi Eshkol misero da parte l’orgoglio e accettarono di incontrarlo a Megiddo. Solo 30 anni più tardi Israele e la Santa Sede avrebbero annunciato l’apertura ufficiale di relazioni diplomatiche. Ci sono poi voluti altri sei anni perché un Papa si recasse in Israele in visita ufficiale.

Israele viene spesso raffigurato come uno stato paria, un’entità trasformata in una sorta di reietto mondiale dal suo controllo su un territorio conteso. Ma questa non è affatto la reale posizione d’Israele sulla scena mondiale. Nel 1964, tre anni prima che Israele si trovasse costretto a combattere la guerra dei sei giorni, quando Gerusalemme era ancora divisa con la parte est sotto occupazione giordana insieme ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania), la posizione di Israele era assai peggiore di quello che è oggi. La visita di papa Paolo VI e il modo in cui si comportò durante quel pellegrinaggio ne sono una conferma.

La visita di papa Francesco al Monte Herzl è stata un omaggio al visionario che preconizzò la creazione dello stato ebraico. Il predecessore di papa Francesco si era rifiutato di fare questo gesto. Dunque Herzl ha vinto, la sua visione si sta realizzando. E’ vero che Israele, a quasi sette decenni dalla sua fondazione, deve ancora fare i conti con una pesante campagna di delegittimazione (una campagna abbracciata anche da alcuni all’interno di Israele). Ma la sua posizione complessiva sulla scena mondiale è in ascesa. Non per niente i leader mondiali continuano a venire in Israele (sembra quasi che ci sia un incessante ponte aereo), e qui fanno tappa i più grandi interpreti e artisti. Di più. Israele gode anche di un grande impulso nei suoi rapporti economici con tutto il mondo.

Questo è il successo del sionismo. Ed è questo che ha testimoniato la sosta del Papa al Monte Herzl.

(Da: Israel HaYom, 27.5.14)

 

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VIDEO: Lo scambio fra Netanyahu e papa Francesco sulla lingua parlata da Gesù. Incontrando papa Francesco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto ricordare l’ebraicità di Gesù dicendo: “Gesù era qui, in questa terra, e parlava ebraico”. “L’aramaico”, ha osservato il Papa. E Netanyahu ha prontamente precisato: “Parlava aramaico, ma conosceva l’ebraico”.

“Hanno ragione entrambi – spiega il professor Gilad Zuckerman, esperto di linguistica – La madre lingua di Gesù era l’aramaico, ma conosceva bene l’ebraico perché conosceva i testi religiosi scritti in quella lingua”. Secondo Zuckerman, ai tempi di Gesù le classi popolari parlavano ebraico “ed erano quelle le persone a cui Gesù voleva rivolgersi”.

Una cosa è comunque certa, per la Chiesa Cattolica: “Gesù è ebreo e lo è per sempre”, come si legge nel Sussidio per una corretta interpretazione dell’ebraismo del 1986, firmato dal card. Giovanni Willebrands, da mons. Pierre Duprey e da mons. Jorge Mettia.

(Da: jerusalemonline, israele,net, 26-27.5.14)