Il parassitario “turismo della sofferenza” degli attivisti anti-israeliani

Cercano ossessivamente di piegare ogni protesta alle esigenze della loro propaganda, in totale spregio delle vere vittime delle cause di cui si appropriano

Di Emily Schrader

Emily Schrader, autrice di questo articolo

Per ogni ingiustizia percepita, ai danni di qualunque soggetto in particolare in Occidente, non mancano mai, immediatamente a ridosso, degli attivisti anti-israeliani pronti a sequestrare ogni e qualsiasi causa per dirottarla al servizio della loro agenda. Che sia il Primo Maggio o la Marcia delle donne  o qualunque altra cosa, gli attivisti anti-israeliani sembrano del tutto incapaci di solidarizzare sinceramente con le afflizioni di chiunque senza distorcerne la causa allo scopo di attirare tutti i riflettori su se stessi.

Il caso più recente si è avuto con il processo e l’assoluzione di Kyle Rittenhouse, un adolescente americano responsabile della morte di due uomini (bianchi) e del ferimento di un altro uomo (bianco) nel mezzo delle rivolte Black Lives Matter a Kenosha, nel Wisconsin. La corte ha stabilito che Rittenhouse ha agito per legittima difesa e la giuria lo ha dichiarato non colpevole.

Coloro che non erano d’accordo con il verdetto si sono mobilitati in piazza e sui social network per affermare che si tratta di un’ingiustizia razziale perché l’imputato è un ragazzo bianco mentre, dicono, un ragazzo nero nella stessa situazione non se la sarebbe cavata allo stesso modo. Non è il merito della questione che ci interessa qui discutere, ma soltanto sottolineare che non ha assolutamente nulla a che fare con la Palestina. Il che non ha impedito a vari attivisti come la giornalista israelo-americana Mairav Zonszein di esternare immediatamente ridicole sciocchezze, come il tweet che diceva: “Quaggiù in Israele-Palestina è sentenza Kyle Rittenhouse praticamente ogni giorno”.

Bandiera palestinese sventolata a una manifestazione contro la sentenza Kyle Rittenhouse, a Brooklyn

Non è chiaro a cosa si riferisse esattamente, visto che in luoghi come la striscia di Gaza molti palestinesi, accusati di crimini come “collaborare con Israele”, non hanno nemmeno il lusso di un vero processo basato sulla presunzione di innocenza e vengono semplicemente giustiziati da Hamas. Le cose non sono molto diverse a Ramallah, sotto Autorità Palestinese, dove oppositori del governo come Nizar Banat vengono picchiati a morte dalla polizia anziché essere giudicati in un processo equo con una giuria indipendente come è avvenuto nel caso di Kyle Rittenhouse. Forse Zonszein si riferiva a Israele, dove per la verità è avvenuto proprio il contrario quando, con regolare processo, un soldato israeliano è stato condannato per aver ucciso un terrorista palestinese sul luogo dell’attentato quando il terrorista era già stato gravemente ferito e messo in condizione di non nuocere. Il soldato (che ha sostenuto di temere che il ferito potesse ancora farsi esplodere, ma non è stato creduto dalla Corte ndr) ha poi scontato la pena in carcere.

“Britney e Palestina libere”

Insomma, da qualunque parte lo si guardi il caso Rittenhouse non è in alcun modo riconducibile alla situazione israelo-palestinese. Ma gli attivisti anti-israeliani non si preoccupano della realtà dei fatti quando si tratta di impadronirsi di una qualunque causa. Nel mezzo delle proteste successive alla sentenza Rittenhouse sono stati filmati attivisti filo-palestinesi che inneggiavano alla distruzione dello stato d’Israele e invocavano esplicitamente una nuova intifada. E’ lo stesso fenomeno a cui si assiste letteralmente in ogni singola protesta, ogni singolo problema globale e ogni singolo caso di ingiustizia razziale. Com’è come non è, gli ebrei e Israele vengono sempre tirati in ballo, anche nei modi più assurdi.

Diverse settimane fa, durante la conferenza mondiale sul cambiamento climatico si sono visti a Glasgow manifestanti sventolare bandiere palestinesi e innalzare cartelli che sostenevano che la Palestina è una questione di cambiamento climatico. Il mese scorso, attivisti anti-israeliani teoricamente preoccupati per i diritti LGBTQ, hanno bullizzato i registi che intendevano partecipare con le loro opere al festival cinematografico LGBTQ di Tel Aviv, dove venivano presentati film sia israeliani che palestinesi, senza minimamente darsi pensiero per il fatto che i palestinesi non possono nemmeno pensare di tenere un film festival LGBTQ nei territori sotto controllo palestinese.

Sull’onda delle proteste per la controversa tutela paterna di Britney Spears sono comparsi graffiti che proclamavano “Britney e Palestina libere”. Durante la partita di calcio Scozia-Israele dei manifestanti hanno issato cartelli che chiedevano di annullare la partita a causa dell'”apartheid israeliano”, e poco importa se quasi la metà della nazionale israeliana è composta da giocatori arabi. I fan della partita sono riusciti persino a farsi multare dalla FIFA per aver fischiato l’inno nazionale israeliano. Da almeno un mese, gli attivisti anti-israeliani hanno trasformato finanche il concorso Miss Universo in un dibattito israelo-palestinese, molestando e maltrattando Miss Sudafrica perché rinunciasse a parteciparvi per il semplice fatto che il concorso si svolgerà in Israele.

Il conflitto israelo-palestinese non ha nulla a che fare con la Marcia delle donne, nulla a che fare con Black Lives Matter, nulla a che fare con il cambiamento climatico, con le brutalità della polizia americana, con i crimini d’odio contro gli asiatici, con Miss Universo, con Britney Spears, con la sentenza Kyle Rittenhouse. I cinici sforzi volti a sequestrare tutte le cause e piegarle alla causa dei palestinesi è una sorta di canagliesco “turismo della sofferenza” praticato dagli attivisti anti-israeliani in totale spregio delle vittime delle cause di cui cercano di appropriarsi. C’è una bella differenza tra dimostrare solidarietà verso una causa oppure approfittare in modo parassita della risonanza di una causa per promuovere la propria propaganda. Questi attivisti anti-israeliani non dovrebbero essere accolti in luoghi e spazi dove non mostrano affatto autentica solidarietà, e il loro cinico comportamento non fa che smascherare il loro vero volto.

(Da: Jerusalem Post, 22.11.21)