Il problema con i despoti

Non sono come tutti noi

Di Clifford D. May

Clifford D. May, autore di questo articolo

Si tende a credere che coloro che governano le nazioni, per quanto dispotici possano essere, non siano poi così diversi da noi. Anche loro sicuramente soppesano costi e benefici, sono aperti al compromesso e preferiscono la pace alla guerra. I fatti supportano questa convinzione? Non credo.

Si pensi all’approccio del presidente Trump a Kim Jong-un. Trump disse al dittatore nordcoreano che se solo avesse adottato politiche più moderate, avrebbe potuto ottenere “una prosperità come non ha mai visto” e diventare “l’eroe del suo popolo”. Fece anche sapere che se Kim avesse rifiutato questa offerta, avrebbe potuto ritrovarsi con missili americani che gli piovevano sulla testa. Voi non sareste stati tentati da quella carota e spaventati da quel bastone? Penso proprio di sì. Ma Kim non è come voi.

Allo stesso modo, il presidente Obama offrì ai teocrati iraniani rispetto, potere e lucro. Chiedeva solo che si impegnassero a ritardare – non a cessare – il loro programma per armi nucleari, non capendo che per la Guida Suprema Ali Khamenei, “morte a Israele” e “morte all’America” non sono semplici slogan. Sono gli obiettivi della rivoluzione a cui ha dedicato tutta la vita, e farà tutto ciò che occorre per conseguire quegli obiettivi: incluso, in questo momento, uccidere, torturare e imprigionare donne iraniane che ne hanno abbastanza della sua atroce interpretazione della legge islamica.

Il presidente Biden e i suoi consiglieri hanno denunciato la brutalità di Khamenei. Ma continuano a offrirgli miliardi di dollari perché accetti una versione edulcorata dell’accordo sul nucleare, che non ostacolerebbe seriamente le ambizioni nucleari del regime contribuendo invece a finanziare il terrorismo all’estero e le atrocità in patria. Allora, perché Khamenei non accetta l’accordo? Forse pensa di poter ottenere ancora di più. O forse non vuole nemmeno sembrare associato in qualche modo con i Satana americani. Khamenei non è come noi, e non vuole che nessuno pensi che lo sia.

Luglio 2022: il presidente russo Vladimir Putin (a sinistra) ricevuto a Teheran dalla Guida Suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei

Passiamo a Vladimir Putin. Come sostengo da tempo, si crede uno zar dei giorni nostri. Il suo obiettivo è ripristinare l’impero russo che, nel bellicoso discorso pronunciato dal Cremlino a fine settembre, ha chiamato “la grande Russia storica”. E stava facendo progressi verso questo obiettivo. Nel 2008 ha tagliato via due province della Georgia. Nel 2014 si è preso la Crimea dall’Ucraina e ha avviato un’insurrezione nel Donbas. La Bielorussia e l’Armenia sono diventate satelliti russi.

A febbraio molti analisti dubitavano che avrebbe invaso l’Ucraina, perché anche solo il minaccioso tintinnio di sciabole avrebbe quasi sicuramente portato a restrizioni della sovranità dell’Ucraina e a una chiara vittoria per Putin. Quando ha mandato i carri armati oltre il confine, molti analisti si aspettavano soltanto una “incursione limitata”, che gli Stati Uniti e i loro alleati avrebbero deplorato in tono grave e poi rapidamente dimenticato.

Invece è risultato che Putin non intendeva più accontentarsi di procedere per fette di salame. Riteneva, come la maggior parte degli analisti occidentali, che le sue truppe avrebbero facilmente sopraffatto l’esercito ucraino e sottomesso gli ucraini che, sostiene, non sono altro che fratellini disobbedienti che meritano una punizione per essersi rifiutati di riunirsi alla madrepatria. Ovviamente, invece, gli ucraini hanno combattuto, con incredibile coraggio e abilità, per difendere le loro terre e l’indipendenza. Volodymyr Zelenskyy, un comico diventato politico, è emerso come il loro leader ispiratore.

Yahya Sinwar, capo di Hamas a Gaza: “I nostri rapporti con la Repubblica Islamica sono eccellenti” (clicca per il video)

Di recente, Putin ha annunciato l’annessione di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, territori ucraini dove ha organizzato dei referendum farlocchi e dove le sue forze stanno, in questo momento, perdendo terreno. Ha anche dato libero sfogo alle recriminazioni che alimenta da anni, denunciando come “nemici” i “circoli che governano il cosiddetto Occidente” e accusando “gli anglosassoni” d’aver sabotato “il gasdotto internazionale Nord Stream” (la mia ipotesi: li ha fatti saltare lui per poter sostenere d’essere stato attaccato direttamente dagli Stati Uniti e/o dalla Nato).

Strizzando l’occhio alla sinistra occidentale, ha recitato il dogma standard sulla schiavitù, il genocidio, i “razzisti occidentali”, il “sistema neo-coloniale” americano, “il totalitarismo, dispotismo e apartheid”. Per buona misura ha aggiunto “il saccheggio dell’India, dell’Africa, le guerre dell’Inghilterra e della Francia contro la Cina”. E ha detto che gli Stati Uniti “occupano” Germania, Giappone e Corea del Sud.

Poi, strizzando l’occhio alla destra occidentale, ha aggiunto: “Vogliamo davvero che si inculchi ai bambini nelle nostre scuole che ci sono altri presunti generi oltre a donne e uomini, e che venga data ai bambini la possibilità di sottoporsi a operazioni di cambio di sesso?”. Se siete così sprovveduti da credere che Vladimir Putin sia l’uomo giusto per contrastare le degenerazioni dell’ideologia woke, beh c’è un ponte sul fiume Dnepr (o un Colosseo a Roma) che potrei vendervi facilmente.

Più sinistramente, Putin ha dichiarato che i territori che sta annettendo sono ora terre russe, il che implica che potrebbe usare armi nucleari per difenderle, appellandosi al fatto che il ricorso americano a tali armi nel 1945 ha “creato un precedente”.

Capisco il desiderio, sia a destra che a sinistra, di “una soluzione diplomatica”. E capisco perché molte persone credono che Putin debba per forza desiderare una “via d’uscita”: perché è quello che vorremmo noi se fossimo al suo posto. Ma nulla di ciò che ha detto o fatto finora fa pensare che sia così. E se avrà l’impressione che le sue minacce stanno costringendo l’Occidente in ritirata, si sentirà appagato o ulteriormente incoraggiato? Se vedrà che i leader occidentali tendono all’appeasement, perché non dovrebbe continuare a insistere? Perché dovrebbe porre fine a una guerra che crede di vincere? E quali lezioni trarranno i governanti dispotici della Corea del Nord, dell’Iran e della Cina dalle nostre azioni o non azioni, dai rischi che siamo disposti a correre a dai rischi che invece scansiamo? Perché, permettetemi di ricordalo, quei despoti non sono come tutti noi.

(Da: jns.org, 6.10.22)