Il problema non è (solo) l’ossessione anti-ebraica di Abu Mazen

Impossibile la pace, finché narrativa e identità palestinese si fondano su negazione del popolo ebraico, dottrina del “peccato originale" d’Israele e teorie del complotto antisemite

Di Ben Cohen, Yossi Kuperwasser

Ben Cohen, autore di questo articolo

Per quanto benvenute siano le svariate condanne del recente discorso antisemita del presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen al Consiglio Nazionale palestinese (dalla nuova direttrice dell’Unesco, al New York Times, all’European External Action Service), c’è un punto più sostanziale che generalmente queste condanne non colgono. Abu Mazen – il mondo ha finalmente iniziato a rendersene conto – è caratterizzato da un’ininterrotta propensione per le teorie cospirative sugli ebrei, le loro origini e i loro eccezionali poteri. Ha dato dimostrazione di questa sua tendenza più e più volte nel corso dei suoi 13 anni in carica (nove dei quali, detto per inciso, sono frutto del prolungamento indefinito del suo mandato presidenziale dopo il 2009). Le mezze scuse che Abu Mazen ha avanzato venerdì non hanno fatto alcun cenno a questa sua devozione per gli stereotipi complottisti anti-ebraici giacché farlo comporterebbe minare i pilastri della sua dottrina e ideologia.

Naturalmente, il fatto che un gerontocrate come Abu Mazen si sia sforzato di scusarsi per il suo disgustoso discorso – “nel caso abbia offeso qualcuno” – è di per sé notevole. Ma ciò non può mettere in ombra qualcosa di più fondamentale, e cioè che non è possibile separare le grottesche visioni di Abu MAzen sulla presunta colpevolezza degli ebrei per la Shoà dalle sue altrettanto grottesche visioni sulle origini dello stato di Israele. La demonologia così penosamente evidente nelle sue opinioni sulla Shoà è la stessa demonologia su cui si basa il suo anti-sionismo viscerale.

Abu Mazen è forse il più noto esponente della teoria del “peccato originale” che macchierebbe Israele dalla nascita. Come si legge nella Carta fondamentale dell’Olp, questa teoria sostiene che i pionieri sionisti “invasero” la Palestina un secolo fa. Il loro piano era cancellarne il carattere nazionale arabo in modo da far posto a un popolo straniero privo di qualsiasi legame storico-culturale con quella terra. Questo è appunto il “peccato originale”, per come la vede Abu Mazen, sfociato nella naqba, cioè nella “catastrofe” della creazione di Israele nel 1948.

30 aprile 2018: intervento del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) al Consiglio Nazionale palestinese riunito a Ramallah

E’ con questa immagine di Israele che Abu Mazen approccia i negoziati con i rappresentanti israeliani e americani. Questa radicata convinzione che Israele sia il prodotto di un enorme inganno ispirato da ebrei impostori che hanno manipolato e ingigantito la Shoà, spiega piuttosto bene come mai quei negoziati falliscono invariabilmente.

Ben venga il ritrovato consenso internazionale sulle stravaganti e insolenti opinioni di Abu Mazen sulla Shoà. Ma bisogna capire che la sua convinzione che Israele abbia pianificato la “pulizia etnica” degli arabi di Palestina e che sia l’unico responsabile per i profughi palestinesi della guerra del 1948 non è meno stravagante e insolente della sua convinzione che i leader sionisti siano responsabili per la Shoà più degli stessi nazisti. Eppure, quando Abu Mazen parla del “diritto al ritorno” di 5 milioni di discendenti dei profughi del ’48 (al prezzo della cancellazione dell’esistenza sovrana di Israele), all’improvviso ridiventa uno statista. Quando accusa Israele di voler profanare e distruggere i luoghi santi musulmani a Gerusalemme, le sue accuse vengono ciecamente riportate senza fare una piega. Così facendo, si alimenta l’impressione che ogniqualvolta Abu Mazen dice qualche ignobile corbelleria sulla Shoà, sta solo esprimendo esasperazione politica: insomma uno scatto di nervi, una sorta di lapsus infelice a cui porre rimedio con poche parole di scuse. E intanto si continua a prendere sul serio il resto delle sue affermazioni.

E’ un problema che va al di là della persona Abu Mazen o, se è per questo, del suo eventuale successore. Se desideriamo davvero vedere il successo dei negoziati di pace, ciò può accadere solo se la dirigenza e l’opinione pubblica palestinese riusciranno a vedere Israele in modo diverso, innanzitutto abbandonando la teoria del suo presunto “peccato originale”. Questo non significa, ovviamente, che i palestinesi debbano smettere di vedere Israele come un antagonista. Ma le loro stesse rivendicazioni su questioni concrete come il territorio e la statualità avrebbero ben altra più credibilità e verrebbero viste in modo assai diverso una volta che si fossero finalmente liberati dal bagaglio dottrinario complottista e antisemita.

(Da: jns.org, 4.5.18)

Yossi Kuperwasser

Scrive Yossi Kuperwasser: Le vergognose parole sugli ebrei pronunciate lunedì scorso dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) avranno pure scosso il mondo, ma hanno anche mostrato il disinteresse della comunità internazionale per le posizioni tenute da Abu Mazen e dai palestinesi in generale. In realtà, bisognerebbe capire che le dichiarazioni di Abu Mazen non riflettono solo un’opinione personale, bensì tutto il sistema di convinzioni palestinese: esse stanno alla base della falsa narrativa palestinese secondo la quale non esiste una cosa che si possa definire “popolo ebraico”. Gli ebrei sono solo e unicamente un gruppo religioso e, di conseguenza, non hanno alcun diritto a uno stato nazionale. Dopo le tante condanne delle sue parole, Abu Mazen ha diffuso una dichiarazione in cui si è scusato non con il popolo ebraico, ma con “i membri della religione ebraica”. Gli ebrei, secondo questa narrativa, non hanno nessun legame storico con la Palestina e quindi la loro pretesa di vivere in Palestina ed esercitarvi una loro sovranità è, da questo punto di vista, totalmente infondata. Gli unici autoctoni sono gli arabi palestinesi che, secondo Abu Mazen, discendono dai Cananei. Inoltre gli ebrei sono esseri insopportabili (usurai ecc.), motivo per cui gli europei hanno inventato il sionismo allo scopo di sbarazzarsi di loro e ostacolare il rafforzamento delle nazioni arabe e islamiche. Bisognrebbe capire che la “marce del ritorno” nella striscia di Gaza e gli eventi della Giornata della nakba sono espressione dell’obiettivo a lungo termine palestinese di porre fine al sionismo. La lotta contro il sionismo sta alla base dell’identità palestinese, ed è allo stesso tempo di natura nazionale (araba) e religiosa (islamica). I palestinesi sono le sole e uniche vittime in questo conflitto e devono rafforzare questo status attraverso la perpetuazione della loro condizione di profughi “per nascita”. In quanto vittime, i palestinesi non ritengono di doversi assumere nessuna responsabilità per le loro scelte e la loro situazione. L’indottrinamento palestinese è tutto volto a inculcare questa narrativa nella loro coscienza individuale e nazionale. Le campagne per delegittimare Israele nell’arena internazionale rappresentano lo sforzo di inculcare questa narrativa anche nell’opinione pubblica globale. Stando così le cose, il punto non è sostituire Abu Mazen. Il punto è cambiare la narrativa palestinese: un obiettivo molto più arduo. Chi si illude di poter promuovere la pace in queste condizioni, presentando semplicemente un buon piano per il compromesso territoriale eventualmente accompagnato da qualche edificante sermone rivolto ai palestinesi su quanto sia inopportuno abbandonarsi a proclami antisemiti, evidentemente continua a non capire il nocciolo del problema. (Da: Israel HaYom, 6.5.18)