Il retaggio degli ebrei mizrahi come chiave di volta della riconciliazione in Medio Oriente

La cultura e le memorie degli ebrei mediorientali mostrano che sono indigeni di questa regione e che possono fare da ponte con i cugini arabi e musulmani

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

La vice sindaco di Gerusalemme Fleur Hassan-Nahoum è una figura chiave dietro ai rapporti in rapida crescita tra Israele e i paesi del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti. Co-fondatrice dell’UAE-Israel Business Council, ha ospitato delegazioni e parla praticamente ogni giorno dell’accordo di pace noto come Accordi di Abramo. Non solo. Insieme a un piccolo gruppo di altri come lei negli Emirati Arabi Uniti, in Israele e nel resto della regione, Hassan-Nahoum parla anche spesso di come il retaggio degli ebrei mizrahi (“orientali) e sefarditi (cacciati dalla Spagna alla fine del XV secolo e sparsi nel bacino del mediterraneo) sia una chiave fondamentale per la costruzione della pace e la creazione di ponti in tutta la regione.

Hassan-Nahoum fa parte di un gruppo di personalità pubbliche e di donatori che vogliono fondare un museo dedicato agli ebrei originari dei paesi arabi e musulmani. Ashley Perry si batte da anni per un maggiore riconoscimento e per la commemorazione del retaggio degli ebrei mediorientali. Attualmente è amministratore delegato dell’Heritage Center for Middle East and North Africa Jewry. “L’idea è quella di un centro che racconti la storia degli ebrei mizrahi”, spiega Perry. E sottolinea che, sulla scia degli Accordi di Abramo, è molto importante notare come “la maggior parte degli israeliani provenga dal Medio Oriente: i loro nonni parlavano arabo, conoscevano la mentalità e la cultura della regione e dovrebbero rappresentare un ponte naturale per la pace e la riconciliazione”.

La vice sindaco di Gerusalemme Fleur Hassan-Nahoum in un incontro lo scorso ottobre a Dubai con Khalaf Ahmad Al Habtoor, fondatore e presidente di Al Habtoor Group, grande conglomerata con sede negli Emirati Arabi Uniti

Perry ha contribuito a redigere la legge volta a commemorare questa comunità e si è adoperato per ottenere il sostegno del governo che ha portato a raccomandare la creazione di un museo e di un centro culturale. A suo parare, questo patrimonio storico costituisce una base culturale che gli ebrei possono e devono utilizzare per “fare da ponte verso la comprensione del mondo arabo in generale: la ricostruzione della tenda di Abramo fa parte di questo”. Il concetto della tenda di Abramo è che arabi ed ebrei sono cugini o fratelli, originari di questa regione di cui condividono il retaggio.

Oggi Hassan-Nahoum e Perry sono molto coinvolti con partner negli Emirati Arabi Uniti per promuovere le attività con colleghi impegnati nella storia e nel patrimonio della regione e che sostengono la pace. Il lancio del lavoro congiunto coincide con la scadenza del 30 novembre, la Giornata israeliana che commemora gli 850.000 ebrei costretti a fuggire dai paesi del Medio Oriente durante e dopo la nascita dello stato d’Israele. La parlamentare Michal Cotler-Wunsh ha detto che l’istituzione di questa giornata ha aiutato a ricordare le centinaia di migliaia di ebrei che subirono una vera e propria pulizia etnica. “Dobbiamo prendere atto di queste voci e incoraggiarle”, ha scritto Cotler-Wunsh.

La collaborazione con persone negli Emirati Arabi Uniti che hanno questo stesso approccio è una nuova e benvenuta iniziativa, afferma Hassan-Nahoum: “È una grande opportunità, e penso che per guardare a un futuro condiviso nella regione è importante valorizzare i punti in comune del nostro passato. Abbiamo alle spalle molti anni di buoni rapporti con i nostri cugini musulmani, e penso che alla fine il cerchio potrà chiudersi imparando ad apprezzare le cose che ci uniscono”. Il retaggio degli ebrei mizrahi è la chiave di volta di questo sviluppo. La famiglia di Hassan-Nahoum proviene dal Marocco con precedenti origini in Spagna. La famiglia di suo marito è irachena. “La mia filosofia – dice – è che gli ebrei mizrahi devono assumere un ruolo più attivo nella costruzione della pace perché abbiamo una cultura simile e le nostre storie mostrano che siamo indigeni di questa regione e di questa terra”.

(Da: Jerusalem Post, 30.11.20)