Il rifiuto palestinese di negoziare con Israele e Trump è un errore fatale e codardo

Il severo, amaro appello di un ex negoziatore palestinese alla sua vecchia élite politica, stantia e fallimentare

Di Bishara A. Bahbah

Bishara A. Bahbah, autore di questo articolo, già direttore del quotidiano di Gerusalemme Al-Fajr, è stato membro della delegazione palestinese ai colloqui multilaterali di pace sul controllo degli armamenti e la sicurezza regionale, ed è fondatore del Palestine Center di Washington (Usa)

L’autoproclamata dirigenza palestinese a Ramallah – il Comitato esecutivo dell’Olp e il Comitato centrale di Fatah – si è riunita domenica 31 maggio 2020 per discutere come rispondere alla paventata annessione israeliana della Valle del Giordano. Benjamin Netanyahu e i suoi alleati di destra interpretano, infatti, il piano di pace di Trump come un nulla osta per estendere la sovranità di Israele sul 30% della Cisgiordania nel luglio 2020, qualora i palestinesi si rifiutassero di impegnarsi in negoziati di pace.

Com’era prevedibile, al di là di rifiuto e condanna, la dirigenza palestinese non ha nient’altro da offrire: è in uno stato di paralisi mentale. Deprimente e dannosa, questa condizione va contro gli interessi del popolo palestinese.

Ecco allora alcune raccomandazioni che la dirigenza palestinese dovrebbe fare proprie, e andare avanti. Prima che troppo vada perduto.

Occorrono nuove leve. Gli stessi fallimentari capi palestinesi sono alla guida da quattro decenni. Nonostante i loro fallimenti, hanno mantenuto le loro posizioni o sono addirittura saliti di grado. Ben pochi palestinesi produttivi e rispettabili desiderano far parte di quel gruppo di politici falliti. Dato che i palestinesi istruiti e di successo si trovano nel settore privato, nel settore pubblico succede il contrario. Ampliate, invece, il gruppo dei negoziatori di pace palestinesi e includete consiglieri da Egitto, Giordania, paesi arabi e paesi amici.

Fate qualcosa oppure date le dimissioni. Se il Comitato centrale di Fatah e il Comitato esecutivo dell’Olp non sono capaci di prendere decisioni costruttive e cruciali in merito al futuro della Palestina a parte dire sempre di no, allora che per favore si dimettano. Ci sono giovani palestinesi ventenni e trentenni che sarebbero in grado di prendere decisioni meglio ponderate e coraggiose. Sono loro che dovrebbero essere al comando.

Non fare nulla e dire sempre di no dà a Israele luce verde per agire. Dire no al piano di pace di Trump e/o non fare nulla per rispondere al quel piano equivale a dare a Israele il via libera per annettere la Valle del Giordano nel luglio 2020. In quel momento, infatti, in base all’accordo di coalizione, Netanyahu potrà presentare la questione dell’annessione al gabinetto e alla Knesset perché venga esaminata e approvata.

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Potrebbero non esistere accordi migliori. Nel 2000, 2008 e 2014 l’Autorità Palestinese ha rifiutato proposte di pace basate sulla formula a due stati. Non esiste un accordo di pace perfetto e non esiste un accordo di pace “giusto”. Bisogna imparare a convivere con i dettami della vita e le realtà sul terreno. A confronto, le proposte di pace precedenti appaiono molto allettanti rispetto al piano di pace di Trump. Non sprecate la vita del popolo palestinese nell’eterna attesa che si presenti una proposta migliore. Potrebbe non accadere mai.

Rifiutate pure, ma proponete un’alternativa. Ovvero impegnatevi. Il presidente Donald Trump e la suo ambasciatrice presso le Nazioni Unite, Kelly Craft, hanno definito il loro piano di pace “una base per i negoziati”. Non hanno detto “prendere o lasciare”. Si sa che i palestinesi hanno respinto il piano Trump. Perché non sedere al tavolo dei negoziati mettendo sul tappeto, come controproposta, l’iniziativa di pace araba del 2002? Una siffatta risposta palestinese costringerebbe gli Stati Uniti e Israele a congelare l’allargamento degli insediamenti in Cisgiordania e, forse, rimanderebbe a tempo indefinito la possibilità di Israele di annettere la Valle del Giordano.

Joe Biden non sarebbe meglio di Trump. Non pensate che una vittoria di Biden a novembre sarebbe positiva per i palestinesi. Si potrebbe persino affermare che una vittoria di Trump sarebbe meglio, per loro. Trump esercita un’influenza enorme sui politici israeliani. Può persino intimorirli e quindi potrebbe strappare concessioni a favore dei palestinesi. Biden non sarà in grado di fare ciò che Trump potrebbe fare grazie a quello che l’attuale presidente ha già fatto per Israele.

Create una dirigenza unitaria. Il mondo ha opportunisticamente tollerato una dirigenza palestinese spaccata: Autorità Palestinese a Ramallah e Hamas a Gaza. Che sia mediante elezioni, mediazioni o riconciliazioni, mettete insieme una dirigenza palestinese unitaria. Se negoziate divisi, siete più deboli e meno credibili agli occhi di Israele e del mondo. Mettete da parte il vostro ego, mettete una buona volta al primo posto gli interessi della vostra popolazione.

Fate attenzione ai vostri uomini. A conti fatti, l’élite politica palestinese sta economicamente benone con ottimi stipendi mensili, auto, autisti e soprattutto con i pass da VIP rilasciati da Israele. Il resto della popolazione palestinese, a Gaza e in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nei campi profughi, non ha questi lussi. Patiscono, e vedono quello che avete voi dirigenti. Fate molta, molta attenzione a cosa potrebbe essere capace di fare la gente “affamata”. (…)

Presidente Abu Mazen, se mi è consentito rivolgermi direttamente a lei che è riuscito a diventare il decisore ultimo tra i capi politici palestinesi. E questo in parte perché tutti i suoi potenziali successori sono impegnati a promuovere se stessi come futuro leader, o si combattono fra loro per prendere il suo posto. Pertanto spetta a lei elevarsi al di sopra della mischia e farsi interprete della ragione e di una chiara visione. Il suo retaggio potrà essere quello di lasciare i palestinesi nel limbo dove sono adesso, oppure imboccare la strada ardua e coraggiosa della ripresa dei negoziati di pace. La scelta è tra un triste futuro per tutti i palestinesi o la speranza di uno stato palestinese indipendente e prospero.

(Da: Haaretz, 2.6.20)