Il ritiro Usa dalla Siria sta già cambiando il Medio Oriente: in peggio. E Israele deve stare molto attento

Non sono buone notizie per il primo ministro israeliano, ma non si tratta solo di Trump: gli errori iniziarono con Obama

Di Amos Harel

Amos Harel, autore di questo articolo

La famosa conversazione telefonica tra Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan sta dando risultati catastrofici. Il via libera che il presidente degli Stati Uniti ha dato alla sua controparte turca lo scorso 6 ottobre (anche se Trump in seguito ha goffamente cercato di ridimensionarne il significato) ha prodotto scosse che hanno completamente cambiato la situazione nel nord della Siria, e stanno già influenzando il quadro strategico in tutto il Medio Oriente.

Ecco un rapido bilancio degli ultimi giorni. Gli Stati Uniti hanno tradito i curdi, i loro principali alleati nella sconfitta dello Stato Islamico (ISIS), e hanno evacuato le loro truppe dalle aree curde in Siria, come Trump aveva promesso a Erdogan. La Turchia è penetrata in Siria per 30 chilometri, costringendo alla fuga decine di migliaia di civili. Centinaia di curdi sono stati uccisi da incursioni aeree turche, e non sono mancati casi di crimini di guerra ad opera dei soldati turchi e dei loro alleati della milizia siriana (come l’assassinio di una politica curda e l’esecuzione di prigionieri davanti alla telecamera). Nel frattempo, centinaia se non migliaia di prigionieri dell’ISIS sono fuggiti dai campi controllati dai curdi. In preda alla disperazione, i leader curdi hanno fatto appello a Bashar Assad chiedendo al regime siriano di assumere il controllo di alcune aree curde nella convinzione che il sanguinario regime di Damasco sia comunque meno peggio di ciò che li aspetterebbe sotto gli stivali dei turchi.

Famiglie di profughi in fuga dalla zona di combattimento tra le forze guidate dalla Turchia e i combattenti curdi delle Forze Democratiche Siriane, dentro e attorno la città siriana di Ras al-Ain, al confine con la Turchia

Si tratta di un nuovo capitolo della lunga tragedia conosciuta come guerra civile siriana, di cui stanno beneficiando tutte i protagonisti peggiori: non solo Erdogan, che ha abbandonato i ribelli sunniti nel mezzo della guerra allineandosi con la Russia mentre si riconciliava con il regime di Assad. C’è anche l’ISIS, che ora sarà in grado di rialzare la testa. Si può facilmente supporre che le conseguenze del ritorno in libertà dei prigionieri ISIS si faranno sentire presto sotto forma di attentati terroristici nell’area e forse in tutta la Siria e oltre. Anche l’asse che sostiene Assad, capeggiato dall’Iran, sta guadagnando terreno. Innanzitutto, il regime sta espandendo la sua sfera di potere nella Siria orientale. In secondo luogo, gli iraniani saranno ben contenti di venire a sapere di una nuova decisione di Trump: rimuovere le truppe statunitensi non solo dalle aree curde, ma anche da altre aree della Siria orientale.

Sin quasi dal primo giorno la politica estera di Trump è stata capricciosa, priva di una cognizione approfondita e spesso contaminata da considerazioni non pertinenti. Il cambiamento in peggio, questa volta, è che con tutta evidenza il danno palese si fa sentire immediatamente. Questo spiega gli sforzi dei membri repubblicani del Congresso di varare sanzioni contro la Turchia solo pochi giorni dopo che il presidente aveva lasciato che Ankara lanciasse la sua campagna.

La vignetta di Shlomo Cohen su Israel HaYom

Nondimeno, il furore espresso dagli ex alti funzionari dell’amministrazione Obama è alquanto ipocrita. Il fallimento americano in Siria iniziò durante il mandato del presidente democratico, che decise di non intervenire quando il regime di Assad massacrava i civili, e persino quando venne dimostrato che Assad usava armi chimiche nonostante lo stesso Barack Obama l’avesse definita una “linea rossa” (un limite invalicabile ndr). In Siria, i fallimenti di Trump non sono maggiori di quelli di Obama, a parte il fatto che l’attuale presidente agisce con brutale disprezzo.

Israele non può e non vuole intervenire a difesa dei curdi, al di là delle tante espressioni di solidarietà da Gerusalemme. Dal punto di vista di Israele, le immediate implicazioni pratiche dell’abbandono americano dei curdi non sono critiche. La questione cruciale, per Gerusalemme, è la presenza continua di truppe americane nella base di Al-Tanf, che esercita un impatto sul corridoio terrestre che collega l’Iran e l’Iraq alla Siria e al Libano. Finora le notizie dicono che le truppe sono rimaste. L’eventuale sgombero di quella base preoccuperebbe molto Israele.

A più lungo termine, ciò che è preoccupante è il modo chiaramente caotico in cui il presidente degli Stati Uniti conduce la sua politica. Sembra impegnato solo verso se stesso. In questo contesto, è quasi divertente notare il crescente numero di sostenitori di Trump, in Israele, che devono arrampicarsi un po’ sugli specchi per giustificare le azioni del supposto difensore di Israele che attualmente siede alla Casa Bianca.

Naama Issachar, la 26enne israeliana condannata a 7 anni e mezzo di carcere per 9,5 grammi di hashish trovati nella sua borsa durante uno scalo a Mosca, lo scorso aprile, lungo un volo dall’India in Israele. In pratica Issachar è ostaggio dei russi per ottenere la liberazione del criminale informatico Aleksey Burkov

La condotta di Trump è preoccupante nel più ampio contesto della lotta regionale contro l’Iran. La crisi nel Golfo è tutt’altro che finita perché Teheran non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi: la revoca delle sanzioni dure in cambio di una ripresa dei colloqui con Washington sul nucleare. Le crepe nell’alleanza sunnita schierata con gli Stati Uniti si vanno allargando, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che sondano il terreno per vedere se è possibile arrivare a una qualche sistemazione con l’Iran. Si può scommettere che Benjamin Netanyahu lo ha capito da parecchio, quando ha ribadito che Israele deve fare affidamento solo su se stesso, anche se nei suoi discorsi ha fatto solo allusioni indirette a questo scenario.

Le cattive notizie, per il primo ministro israeliano, non sono legate solo a Washington. Lo slogan della sua campagna elettorale “Con Netanyahu in serie A”, accompagnato da foto di lui in compagnia dei massimi leader mondiali, probabilmente non verrebbe ripetuto se si dovesse votare di nuovo a breve.

La vignetta di Amos Biderman su Ha’aretz

Non è solo Trump. C’è anche Putin, che sta dimostrando di non essere esattamente un amico fidato. L’arresto a Mosca di Naama Issachar, una giovane israeliana sorpresa all’aeroporto di Mosca con una piccola quantità di hashish, ha implicazioni ben più ampie. Issachar è stata condannata a sette anni e mezzo di prigione. In realtà i russi la stanno usando come riscatto per ottenere il rilascio di Aleksey Burkov, un hacker russo detenuto in Israele. Burkov venne arrestato nel 2015 su richiesta degli Stati Uniti, che perseguono la sua estradizione per crimini informatici. La fortissima pressione esercitata dalla Russia per ottenere il suo rilascio dimostra che Burkov ha informazioni sulle cyber-attività russe culminate nelle elezioni presidenziali americane del 2016. Netanyahu ha tentato più volte di convincere Putin a far rilasciare Issachar, senza risultato. Potrebbe ancora riuscirci. Alla vigilia di Sukkot anche il presidente israeliano Reuvin Rivlin ha fatto appello a Putin in questo senso. Indubbiamente la vasta esperienza accumulata da Netanyahu gli ha aperto le porte dei principali leader mondiali. Ma il tentativo dei suoi sostenitori di descriverlo come qualcuno dotato di un’influenza quasi magica sui leader mondiali si rivela quantomeno esagerato.

Mentre Trump sta a guardare i danni che ha creato, Putin sta organizzando un’insolita visita amichevole negli stati del Golfo: Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Il New York Times ha appena pubblicato un servizio che accusa la Russia d’aver bombardato deliberatamente quattro ospedali, la scorsa primavera, in aree controllate dai ribelli siriani. E’ la stessa Russia che ha acquisito così tanta influenza in Medio Oriente grazie al ritiro di Obama e Trump. Non dovrebbero sussistere più illusioni riguardo a Mosca: quello non è un luogo dove si coltivi comprensione per le vitali preoccupazioni d’Israele e le circostanze eccezionali in cui Israele si trova a operare.

(Da: Ha’aretz, 15.10.19)