Il ritorno di Adriano a Gerusalemme

Il significato della mostra inaugurata all’Israel Museum può essere compreso solo conoscendo il rapporto fra l’imperatore romano, gli ebrei e la Terra d'Israele

Di Aron White

Aron White, autore di questo articolo

Aron White, autore di questo articolo

Nelle ultime settimane del 2015 è stata inaugurata una mostra altamente significativa presso l’Israel Museum di Gerusalemme intitolata “Adriano: un imperatore forgiato nel bronzo”, dedicata all’imperatore che governò l’Impero Romano nella prima metà del II secolo e.v.

Per la prima volta nella storia, le tre statue in bronzo esistenti di Adriano (una dal Louvre, una dal British Museum e una dallo stesso Israel Museum) vengono esposte insieme in una mostra che resterà aperta fino al 30 giugno 2016.

Il pieno significato di una mostra a Gerusalemme dedicata ad Adriano può essere compreso solo se si considera il rapporto fra Adriano, gli ebrei e la Terra d’Israele. Adriano salì al potere nel 117 e.v., pochi decenni dopo che i romani avevano distrutto il Tempio ebraico di Gerusalemme. Decise di mutare la Gerusalemme distrutta in Aelia Capitolina, una città dedicata a Giove: decisione che fece andare in collera gli ebrei. Guidati da Bar Kochba, gli ebrei si ribellarono contro i romani negli anni 132-135 e.v., e Adriano schiacciò la rivolta con una brutalità che lo ha reso tristemente famoso nella storia ebraica. Secondo lo storico romano Cassio Dione, 580mila ebrei furono uccisi dai romani (a un certo punto, quasi un terzo di tutto l’esercito romano era schierato in Giudea) e centinaia di città e villaggi ebraici vennero distrutti. La distruzione fisica fu accompagnata da severe restrizioni alla vita religiosa degli ebrei: vennero vietati l’insegnamento della Torah, la circoncisione, l’osservanza del sabato. Molti dei più importanti rabbini dell’epoca, colonna portante della Mishna (uno dei principali testi normativi ebraici), vennero messi a morte a causa delle loro attività religiose. Dopo circa un decennio di tale persecuzione, la vita ebraica in Terra d’Israele era drasticamente decimata. A peggiorare la distruzione, Adriano vietò agli ebrei l’ingresso a Gerusalemme e cambiò il nome stesso della Giudea in quello di “Siria Palestina” nel tentativo di annullare ogni connessione fra gli ebrei e la loro terra. Senza esagerare, si può dire che una persecuzione fisica e religiosa delle dimensioni di quella di Adriano forse non si sarebbe più vista fino ai tempi di Hitler.

L'imperatore Adriano, in mostra all'Israel Museum di Gerusalemme

Ritratti in bronzo dell’imperatore Adriano: dal British Museum (a sinistra), dall’Israel Museum (al centro) e dal Louvre (a destra)

Oggi, più di 1.800 anni dopo aver condotto una delle più grandi aggressioni nella storia ebraica contro il popolo ebraico e il suo paese, ecco che Adriano torna a Gerusalemme. E’ difficile descrivere quanto sia diversa la situazione, oggi, in Terra di Israele rispetto alle condizioni in cui l’aveva lasciata Adriano. Adriano fece di tutto per cancellare ogni legame degli ebrei con la loro terra e li aveva banditi da Gerusalemme: ma gli ebrei sono tornati nel loro paese, che nel corso dei millenni non avevano mai dimenticato, e oggi lo governano da Gerusalemme, la capitale d’Israele. La pratica e lo studio dell’ebraismo erano stati proibiti da Adriano, pena la morte: oggi Israele è il centro indiscusso della vita culturale e religiosa ebraica. Ai tempi di Adriano decine di migliaia di soldati romani costellavano il paese con le loro basi militari: oggi sono le basi delle Forze di Difesa israeliane che punteggiano e difendono la Terra d’Israele.

Questa mostra su Adriano va vista come parte di un filone spesso trascurato della narrazione sionista. Per i fondatori di Israele, il fatto che l’esilio degli ebrei fosse stato inflitto dall’Impero Romano era altamente significativo, ed essi vedevano nel ritorno degli ebrei in Israele una sorta di vittoria postuma sui dominatori romani. Questa idea si è fatta strada in gran parte dell’immaginario dello stato d’Israele. L’emblema nazionale dello stato è la Menorà, il candelabro ebraico, ma in particolare il candelabro così come è raffigurato sull’Arco di Tito a Roma. Il celeberrimo altorilievo su quell’arco nel Foro Romano raffigura la Menorà che era stata depredata dal Tempio di Gerusalemme e portata in trionfo a Roma dalle legioni romane. In qualche modo, per i fondatori del moderno Israele era come se il nuovo stato si riprendesse la Menorà dagli antichi conquistatori: la Menorà di conquista diventava la Menorà dell’indipendenza. Anche le monete israeliane riflettono questo immaginario. Sul retro della moneta da 10 shekel compare la frase “Per la libertà di Sion”: un chiaro calco della analoga moneta usata dai ribelli del II secolo come simbolo di rivolta contro la dominazione romana. L’allestimento di una mostra dedicata ad Adriano nel centro della Gerusalemme ebraica corrisponde perfettamente a questa narrazione: Adriano viene mostrato nella città che ha sfidato tutti i suoi piani.

Un'iscrizione dedicata all'imperatore Adriano, le cui due metà vennero rinvenute a Gerusalemme a più di un secolo di distanza l’una dall’altra, ora riunite all’Israel Museum

Un’iscrizione dedicata all’imperatore Adriano, le cui due metà vennero rinvenute a Gerusalemme a più di un secolo di distanza l’una dall’altra, ora riunite all’Israel Museum (clicca per ingrandire)

Ma la mostra su Adriano contiene un ulteriore messaggio altamente significativo. Non è solo la situazione politica degli ebrei ad essere notevolmente migliorata, oggi, rispetto ai tempi di Adriano. Anche la psicologia nazionale della nazione ebraica è radicalmente cambiata. Ascoltiamo le parole di un eminente rabbino dell’epoca di Adriano, cui era toccato in sorte di assistere alla carneficina del suo popolo. «Ha detto rabbi Elisha, figlio di Abuya: ora che viviamo sotto il perfido dominio di Adriano, e lui ha deliberato contro di noi duri decreti di sventura … dovremmo davvero smettere di sposarci e avere figli lasciando che muoia la discendenza di Abramo!»(Bava Batra 60b). Rabbi Elisha aveva visto la sua terra e le sue città distrutte, il suo popolo decimato, i suoi colleghi rabbini pubblicamente umiliati e uccisi. Non vedeva più alcuna speranza per il futuro ebraico, al punto da non vedere una ragione per mettere al mondo bambini ebrei.

Oggi in Terra d’Israele uno spirito ben diverso anima la vita ebraica, una visione ben più positiva sul futuro ebraico: una sensazione colta perfettamente dall’inno nazionale d’Israele, che si intitola Hatikvà (la speranza), le cui parole sono incise nel cuore dell’ebreo del XXI secolo: “Non è persa la nostra speranza, la speranza due volte millenaria di essere un popolo libero nella nostra terra, la terra di Sion e Gerusalemme”.

(Da: Jerusalem Post, 15.2.16)

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