Il significato della Dichiarazione di Gerusalemme

Il documento sottoscritto da Biden e Lapid non contiene novità assolute, ma è importante (a cominciare dal suo nome) per il contesto e il momento in cui è stato firmato

Di Kenneth Jacobson

Kenneth Jacobson, autore di questo articolo

Sotto un certo aspetto, la Dichiarazione di Gerusalemme firmata dal presidente americano Joe Biden e dal primo ministro israeliano Yair Lapid durante la recente visita di Biden in Israele è semplicemente una riaffermazione delle relazioni e delle politiche che legano i due paesi. Si potrebbe obiettare che in sé questa non è mai una cosa negativa e che dunque merita di essere applaudita, pur senza esagerare. Ciò, tuttavia, significherebbe sminuire il significato della dichiarazione congiunta, se si considera invece la sua tempistica e il suo contesto.

La Dichiarazione giunge sullo sfondo di una crescente tendenza dell’America a minimizzare il proprio ruolo di leadership nel mondo, e in particolare in Medio Oriente. Vi sono stati vari segnali in questo senso sia nell’amministrazione Obama che in quella Trump, sebbene si siano manifestati in modi molto diversi. Il tema della necessità che gli Stati Uniti si concentrino sulle loro sfide interne, senza subordinarle a futili esercizi come cercare di riparare il caos e le disfunzionalità di altre aree del mondo come il Medio Oriente, stava mettendo sempre più radici sia a destra che a sinistra. In tale contesto la Dichiarazione di Gerusalemme rappresenta un’importante dichiarazione di intenti circa la leadership degli Stati Uniti. L’impegno a fare di tutto per impedire all’Iran di ottenere l’arma nucleare è una componente importante di questa leadership assertiva.

14 luglio 2022: il presidente Usa Joe Biden (a sinistra) e il primo ministro israeliano Yair Lapid firmano la Dichiarazione di Gerusalemme

In secondo luogo, è di grande importanza anche il fatto stesso che un presidente Democratico abbia preso questa iniziativa, quando all’interno del suo stesso partito vi sono molte voci anti-israeliane. I sentimenti anti-israeliani che emergono in alcuni ambienti Democratici non sono purtroppo limitati a poche personalità di estrema sinistra che non esitano a delegittimare e demonizzare lo stato ebraico sconfinando talvolta nella sfera dell’antisemitismo. Emergono anche nei sondaggi condotti tra individui che si identificano come Democratici, dove il sostegno a Israele appare in declino.

In effetti, quando l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu pronunciò il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti sulla minaccia iraniana senza consultare il presidente Democratico né la leadership democratica del Congresso, non solo quella scelta fu il riflesso della percezione nella leadership israeliana che i Democratici stessero effettivamente diventando un problema per Israele, ma essa stessa a sua volta esacerbò il problema. Quindi, che il fatto che il presidente Democratico Biden si sia impegnato in questa iniziativa con Israele invia, non solo agli israeliani e agli altri attori della regione, ma anche e soprattutto all’elettorato Democratico americano il chiaro messaggio che lo storico sostegno bi-partisan a Israele non appartiene al passato ma è materia di politica attuale.

Il primo ministro israeliano Yair Lapid appende la “Dichiarazione di Gerusalemme” nella sede del governo, a Gerusalemme

In terzo luogo, la Dichiarazione di Gerusalemme invia un messaggio anche a coloro che cercano di demonizzare Israele etichettandolo come un reietto, uno stato marchiato da apartheid, crimini di guerra, genocidio e via dicendo. Il contrasto tra queste affermazioni (ad esempio, mentre il presidente stava arrivando in Israele Amnesty International ha twittato di nuovo che lo stato ebraico sarebbe come tale un’entità di “apartheid”), da una parte, e dall’altra la collaborazione strategica e morale tra due grandi democrazie come Israele e Stati Uniti non potrebbe essere più chiaro e netto. E l’enfasi, posta nel documento, sul rafforzamento e l’allargamento degli Accordi di Abramo presenta una visione per il futuro della regione che è in netto contrasto con il cinismo amorale delle forze anti-israeliane che garantisce soltanto nuovi conflitti e nuove sofferenze.

Quarto. Una volta detto e assodato tutto questo, la Dichiarazione mette in chiaro che la visione futura della regione e dei rapporti Usa-Israele non è un mezzo per ignorare o evitare la questione palestinese, ma anzi offre un’opportunità e un’apertura per compiere progressi significativi verso una soluzione del problema. Sebbene sia un fatto in se stesso positivo che le relazioni arabo-israeliane non siano più tenute in ostaggio della questione palestinese, comunque la Dichiarazione di Gerusalemme chiarisce che il problema deve essere affrontato da entrambe le parti, per la futura sicurezza di Israele, nonché dei palestinesi e dei loro vicini. Anche questo è un messaggio che non si dovrebbe dare per scontato, poiché da entrambe le parti vi sono soggetti tentati di interpretare gli Accordi di Abramo come un segnale che la questione palestinese non ha più alcun corso nella regione.

Infine, va notato che il presidente americano ha inviato un messaggio importante a Israele chiamando il documento “Dichiarazione di Gerusalemme” anziché in qualsiasi altro modo: un inequivocabile riconoscimento dell’importanza di Gerusalemme per lo stato ebraico.

Quindi, sì, sotto certi aspetti la Dichiarazione di Gerusalemme non è poi così nuova. Tuttavia, date le tendenze in atto negli Stati Uniti e in molti ambienti del mondo, questa riaffermazione della leadership americana e della collaborazione israelo-americana non avrebbe potuto arrivare in un momento migliore. Ne prenderanno buona nota sia gli amici che i nemici dei due paesi.

(Da: Times of Israel, 15.7.22)