Il Sinodo pastorale sul Medio Oriente si è dato alla (pessima) politica

Ipocrita fare del conflitto israelo-palestinese il problema numero uno per i cristiani della regione.

Di Lisa Palmieri-Billig

image_2969L’incontro in Vaticano di più di duecento vescovi cattolici provenienti da paesi musulmani per un Sinodo di due settimane sul Medio Oriente terminato domenica scorsa è destinato a lasciare il segno. Gli arabi cristiani vedono Israele e il dialogo con l’ebraismo in termini più estremisti di quanto non faccia la Curia romana. Nonostante il tentativo del Papa e di vari funzionari e portavoce vaticani di lasciare fuori dalla porta la politica (Benedetto XVI ha definito “pastorale” il carattere del Sinodo), evidentemente la politica è rientrata dalla finestra.
Le difficoltà e i pericoli che devono affrontare le minoranze cristiane che vivono sotto legge islamica e, soprattutto, il conflitto israelo-palestinese hanno occupato gran parte dello spazio a margine delle conferenze stampa e dei dibattiti organizzati dentro e fuori il Vaticano. L’assenza di libertà e diritti umani e la persecuzione e l’assassinio di cristiani in paesi musulmani come Turchia, Iraq, Egitto, e l’esodo di più di due milioni di profughi cristiani dall’Iraq, ora ridotti in povertà e schiavitù economica in paesi come il Libano, sono stati ampiamente dibattuti e individuati come le maggiori cause alla base dell’ emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente. Ma nel messaggio finale e nella annessa lista di proposte, nonché nel messaggio stesso del Papa, sono rimaste solo generiche allusioni a tutte queste ingiustizie: vi compaiono solo dei generici riferimenti ai “diritti di cittadinanza, libertà di coscienza, libertà di culto e libertà in materia di istruzione, insegnamento e uso dei mass-media”. Sparito l’appello, ripetuto nelle discussioni del Sinodo, per una separazione fra religione e stato, per uno “stato laico” e una “società civile”. Evidentemente hanno prevalso la cautela e la paura di rappresaglie sulle minoranze cristiane.
Benché durante il Sinodo le discussioni sull’“occupazione” israeliana siano state condotte per lo più fuori orario in sale private, o con giornalisti a caccia di notizie, i documenti finali del Sinodo danno ampio risalto a una condanna unilaterale di quella “occupazione”. Ecco cos’ha da dire a tal proposito il rabbino David Rosen, direttore dell’American Jewish Committee per gli affari interreligiosi, che ha tenuto una relazione il 13 ottobre in qualità di speciale ospite ebreo del Sinodo: “Dispiace che i vescovi, nella loro dichiarazione conclusiva, non abbiamo avuto il coraggio di affrontare le minacce più gravi con cui devono fare i conti i cristiani in Medio Oriente. Quand’anche lo Stato d’Israele non esistesse, il prosciugamento della presenza cristiana non sarebbe affatto diverso. Fare del conflitto israelo-palestinese la questione numero uno è ipocrita”.
Alcune ambiguità e contraddizioni che sono sorte verranno risolte solo col tempo, dopo l’esame delle raccomandazioni del Sinodo da parte di papa Benedetto e dopo che questi avrà emesso le sue conclusioni ufficiali. Ma ciò che ha calamitato i titoli dei mass-media in tutto il mondo sono stati i commenti fatti nella conferenza stampa di sabato in Vaticano dall’arcivescovo americano greco-melchita Cyril Salim Bustros (che presiedeva la Commissione per il messaggio conclusivo), col risultato di distogliere l’attenzione dalle proposte fortemente positive circa il dialogo interreligioso come strumento per contenere gli estremismi.
Interpretando la Sezione VII del Messaggio del Sinodo – l’Appello alla Comunità Internazionale – che sposa la “soluzione a due stati” per il conflitto israelo-palestinese, raccomanda di adottare “le necessarie misure giuridiche per porre fine all’occupazione delle diverse terre arabe” e definisce “inaccettabile” il “ricorso a posizioni bibliche che usano la Parola di Dio per giustificare erroneamente delle ingiustizie”, Bustros ha aggiunto che il riconoscimento degli ebrei come il “popolo eletto” da Dio a ricevere la “Terra Promessa” è stato annullato dall’avvento del Cristo.
L’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Morechday Lewy, afferma al Jerusalem Post che trova queste parole “insolenti e bizzarre”, ed ha sottolineato come esse siano in contraddizione con il Punto 8 dello stesso Messaggio del Sinodo, che recita: “Noi crediamo nelle promesse di Dio e nella sua alleanza con Abramo e con voi (ebrei). Noi crediamo che la Parola di Dio è eterna”. “Si tratta di una regressione alla teologia della sostituzione – dice l’ambasciatore – che pensavamo fosse stata definitivamente accantonata, quella teologia che predicava che l’ebraismo è stato rimpiazzato dal cristianesimo”. Lewy trova una “enunciazione problematica” anche nell’Appello alla Comunità Internazionale, che auspica “una patria indipendente e sovrana” per “il popolo palestinese” e “pace e sicurezza” per “lo Stato d’Israele all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. “A prima vista – spiega – non sembra che vi sia alcun problema; ma da questa frase, unita al rifiuto dell’arcivescovo Bustros di definire Israele uno ‘Stato ebraico’, alla sua speranza che ‘tutti i profughi palestinesi facciano infine ritorno’ e alla mancanza nell’Appello di qualunque riferimento al ‘popolo ebraico’, consegue che, essendo Israele una democrazia e non essendovi nessun intrinseco diritto ebraico ad uno Stato, i semplici mutamenti demografici, con il ‘ritorno’ dei profughi, l’avranno vinta”.
Il Messaggio del Sinodo e la lista di 44 proposizioni – molte legate al sostegno della vita e unità dei cristiani in Medio Oriente – verranno vagliate e revisionate da papa Benedetto per apparire successivamente sottoforma di “esortazione post-sinodale” papale. Alcune proposte sono già state accettate, come l’aggiunta dell’arabo alle lingue ufficiali del Vaticano. Un’altra innovazione di fatto è stata la creazione di un sito web in lingua ebraica che è stato operativo per tutta la durata del Sinodo sotto la direzione di Hana Bendcowsky, program director del Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations, reclutata per l’occasione dal Vaticano. La crescita in Israele di una popolazione cristiana di lingua ebraica, legata soprattutto all’immigrazione, ha spronato tale decisione.

(Da: Jerusalem Post, 25.10.10)

Il Sinodo vaticano sul Medio Oriente è stato “preso in ostaggio da una maggioranza anti-israeliana”, ha detto il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon, definendone alcune osservazioni come “attacchi politici nel segno della migliore tradizione della propaganda araba”. In un comunicato diffuso domenica sera, Ayalon si è detto “particolarmente indignato” dalle affermazioni di Cyrille Salim Bustros secondo cui Israele sfrutterebbe il concetto biblico di Terra Promessa per giustificare i diritti territoriali degli ebrei ed “espellere i palestinesi”. Parole da cui Israele ha chiesto alla Santa Sede di “prendere le distanze”, sottolineando che “i governi israeliani non si sono mai serviti della Bibbia” a questi scopi.