Il soldato verosimilmente responsabile della morte di Abu Akleh era convinto di mirare a un terrorista armato

Israele ha condotto un'indagine approfondita e completa sull’uccisione della giornalista di al-Jazeera, ma l’asimmetria mediatica della vicenda garantisce che le accuse di “assassinio intenzionale” verranno rilanciate all’infinito

Terroristi palestinesi a Jenin. Quello al centro indossa un sudario con la scritta “Unità attentatori suicidi”

Ci sono voluti quasi quattro mesi, ma lunedì le Forze di Difesa israeliane hanno diffuso le conclusioni della loro indagine sull’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh: conclusioni – scrive Amos Harel su Ha’aretz – che appaiono come la cosa più ragionevole che si potesse pensare sin dal primo giorno dopo la tragedia.

L’esercito afferma che è molto probabile che la giornalista palestinese sia stata uccisa da fuoco israeliano. Le indagini hanno dimostrato che poco prima della sparatoria, Abu Akleh stava operando vicino a un’area da cui erano stati sparati colpi contro un convoglio di veicoli militari israeliani che stavano entrando a Jenin nel quadro di un’operazione per l’arresto di terroristi. Un soldato dell’unità delle forze speciali Duvdevan ha riferito d’aver avvistato una persona armata che aveva sparato al convoglio, di aver aperto il fuoco su di lui a una distanza di circa 200 metri e, a quanto pare, d’aver colpito quella che invece era Abu Akleh.

Il soldato ha usato un fucile ad alta precisione con mirino telescopico. Era seduto all’interno di un veicolo blindato per trasporto truppe e osservava la scena attraverso una piccola apertura. Il suo campo visivo era limitato e stava operando in un’area dove palestinesi armati dirigevano un fuoco intenso contro le forze israeliane. Il rapporto spiega che i soldati hanno operato per tutto il tempo sotto intenso fuoco nemico da ogni direzione, dovendo prendere decisioni in tempo reale in una situazione ad alto rischio e sotto pressione. Stando a una serie di risultanze dell’indagine, il soldato ha sparato in base a un’errata identificazione del obiettivo: non ha mancato il bersaglio, ma era convinto di avere nel mirino il bersaglio giusto (cioè un nemico armato). È questo che disse in contatto radio sia prima che dopo l’evento.

Trova la differenza. Due modi diversi di dare la stessa notizia. CNN: “L’esercito israeliano ammette per la prima volta che la giornalista americana-palestinese Shireen Abu Akleh è stata probabilmente uccisa da fuoco israeliano. Times of Israel: “Inchiesta israeliana trova altamente probabile che un soldato delle Forze di Difesa israeliane abbia ACCIDENTALMENTE sparato a Shireen Abu Akleh” (clicca per ingrandire)

Il risultato fu tragico. Ma l’errore in se stesso, afferma la catena di comando del soldato così come il procuratore militare, non rappresenta un’evenienza insolita, date le circostanze. Sono cose che possono sempre capitare quando si è sotto il fuoco nemico. In passato, in circostanze simili, sono rimasti feriti o uccisi giornalisti e passanti sia nei territori palestinesi che in altre zone di conflitto nel mondo.

Gli investigatori hanno esplicitamente scartato la possibilità che il soldato fosse consapevole che il bersaglio era una giornalista e che abbia deciso intenzionalmente di spararle. La procuratore capo militare, Yifat Tomer-Yerushalmi, era già arrivata a questa conclusione in base alle indagini preliminari e non ritiene che le ultime risultanze giustifichino l’apertura di un’indagine penale della polizia militare, giacché non risulta nulla che faccia sospettare che sia stato commesso un crimine di assassinio intenzionale.

Gli inquirenti, così come il procuratore capo militare, lasciano aperta la possibilità che la giornalista sia stata in effetti colpita da fuoco palestinese. L’analisi delle distanze, delle linee di visuale e dei documenti video e audio registrati durante lo scontro a fuoco puntano verso il soldato in questione, ma non escludono del tutto l’altro possibile scenario. Il proiettile che i palestinesi, dopo lunghe insistenze, hanno consegnato per l’esame forense israelo-americano, e che sarebbe quello estratto dal corpo di Abu Akleh, non ha sciolto l’enigma. L’esame balistico non ha prodotto risultati conclusivi a causa delle condizioni del proiettile stesso.

Le Forze di Difesa israeliane hanno condotto un’indagine approfondita e completa, basandosi anche su informazioni e tecnologie non del tutto disponibili per i mass-media (che nel frattempo hanno condotto loro inchieste più o meno artigianali). Ciò nondimeno, si può tranquillamente immaginare che dubbi, insinuazioni e accuse contro Israele persisteranno anche dopo che è stata condotta una indagine così esauriente. Gioca contro Israele l’asimmetria mediatica di fondo: un esercito che fa irruzione a Jenin in mezzo alla popolazione civile (sebbene per arrestare terroristi) e una celebre giornalista palestinese, per di più dotata anche di cittadinanza statunitense, che rimane uccisa mentre svolge il suo lavoro. Non c’è nessuna possibilità che vengano messe a tacere le accuse di “assassinio intenzionale” lanciate sin dalle prime ore dopo la tragedia.

Ma per l’opinione pubblica israeliana,questo non è un altro “caso Elor Azaria” (il soldato processato e condannato per “omicidio non premeditato”, avendo sparato a un terrorista già a terra ferito dopo che questi aveva accoltellato un suo commilitone, nel 2016 a Hebron). Quando si tratta, come in questo caso, di un soldato in evidente pericolo nel mezzo di un intenso scontro a fuoco coi terroristi, e non c’è nulla che dimostri che sapeva di mirare a un civile innocente (come confermano le sue stesse parole dette via radio in tempo reale), la giustizia e l’opinione pubblica israeliana non potrebbero mai sostenere l’avvio di un procedimento penale contro di lui per “assassinio intenzionale”, indipendentemente da quanti appelli in tal senso continueranno a lanciare palestinesi e soggetti internazionali.

(Da: Ha’aretz, Israel HaYom, israele.net, 5-6.9.22)