Il tempo della responsabilità

L’appello del presidente d’Israele ai cittadini ebrei e arabi perché condannino la violenza e creino nuovi spazi di dialogo nel rispetto reciproco

Di Reuven Rivlin

Reuven Rivlin, presidente d'Israele, autore di questo articolo

Reuven Rivlin, presidente d’Israele, autore di questo articolo

Mai prima d’ora un appello alla responsabilità tra tutti i cittadini israeliani era stato appropriato o importante quanto lo è in questi giorni dolorosi e difficili. Questi sono momenti in cui noi che viviamo qui, ebrei e arabi, ci guardiamo a vicenda con sospetto rafforzato dalla collera.

Troviamo tutte le buone ragioni per trincerarci nella convinzione d’essere nel giusto, per tenerci stretta la nostra repulsione, per consentire alla paura e all’odio di dettare il corso delle nostre relazioni reciproche.

Ma ora più che mai dobbiamo chiederci – in tutta onestà – se è questo il futuro che abbiamo in mente per i nostri figli. Se invece siamo pronti ad accettare che i nostri destini sono intrecciati per sempre, dobbiamo fare adesso di quel destino il nostro obiettivo.

Come società, il compito più urgente che abbiamo di fronte è la creazione di un nuovo spazio di dialogo, uno spazio che permetta ai cittadini israeliani di parlare gli uni con gli altri, e soprattutto di ascoltarsi l’un l’altro. In questi tempi dobbiamo imparare di nuovo a parlare, a conversare, a dissentire senza rifiutare, a discutere anche se non siamo d’accordo.

Le tensioni nella società israeliana non capitano nel vuoto. Lo Stato d’Israele vive in una regione del mondo dura e violenta, e al nostro interno le difficoltà non mancano.

Perdiamo figli, perdiamo fratelli e perdiamo amici. La società in cui viviamo è tutt’altro che razionale. Nonostante tutto, e forse proprio per questo, dobbiamo dichiarare con convinzione che la violenza non è la nostra via. La violenza non è la via dello Stato d’Israele. La violenza non è la via del popolo d’Israele.

È giunto il momento che noi tutti, ebrei e arabi di questo paese, ci assumiamo la responsabilità per le nostre vite, il nostro futuro, le nostre case, le nostre strade e la comunità. La responsabilità per la nostra vita intera, qui, come cittadini. La responsabilità per lo Stato in cui viviamo e per la struttura civile che ci unisce.

Se non ci assumeremo questa responsabilità, nessuno lo farà per noi.

(Da: YnetNews, 10.11.14)

Dan Margalit

Dan Margalit

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: La recente ondata di manifestazioni violente ed attacchi terroristici, alimentata dall’istigazione degli estremisti a Gaza e a Gerusalemme est, richiede un dialogo urgente con la Giordania e con l’Autorità Palestinese. Tutte le parti, ad eccezione degli estremisti, hanno interesse a mantenere la calma. Le leadership responsabili da entrambe le parti capiscono che molotov e coltelli potrebbero sfociare in un’altra operazione “Scudo Difensivo”, che lascerebbe dietro di sé altre ferite sanguinanti. Venti paurosi soffiano nel mondo arabo e fra i palestinesi, le voci degli estremisti si fanno più forti e una catastrofe globale si è abbattuta sull’islam nel momento in cui i suoi due leader più attivi sono l’ayatollah in Iran e il capo terrorista dello “Stato Islamico”. Anche in Israele soffia un vento violento, e minaccia di diventare uno tsunami ad ogni nuovo accoltellamento e ad ogni attacco terroristico, a Tel Aviv come a Gush Etzion, ed anche ad ogni nuovo tumulto che oggi contrassegna i quartieri arabi in Israele. Il presidente Reuven Rivlin, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Moshe Ya’alon si sono già impegnati a mandare un messaggio di calma e autocontrollo a coloro che esigono di esercitare il diritto degli ebrei, certo insindacabile, di recarsi sul Monte del Tempio a Gerusalemme. Ma nelle attuali condizioni, l’invito quasi disperato alla moderazione e alla pazienza sembra cadere nel vuoto. Se presidente, primo ministro e ministro della difesa non riusciranno nella loro missione, allora le due parti si scontreranno, il che è un male per tutti. E Israele non potrà attenersi a lungo a una politica di auto-contenimento mentre violenza e terrorismo prevalgono fra la popolazione araba in Israele, e non solo nei territori. Il momento del dialogo è adesso, prima che il dado sia tratto. Se la violenza si diffonde come un’epidemia, Israele non avrà altra scelta che andare a smantellare le cellule terroristiche sin dentro le città palestinesi, come fece dodici anni fa nei quaranta giorni dell’operazione “Scudo Difensivo”. La forza sarà sempre il modo efficace per contrastare il terrorismo, e se non sarà sufficiente verrà usata più forza. Israele non avrebbe alternative. Non avrebbe altra vera scelta. Uno scenario da evitare. (Da: Israel HaYom, 11.11.14)