Il terrorismo paga. Letteralmente.

Ecco come il denaro dei contribuenti occidentali alimenta il terrorismo e allontana la pace

Ramallah, 30 ottobre 2013: il presidente palestinese Abu Mazen festeggia terroristi scarcerati da Israele

Husni Najjar, un palestinese di Hebron già condannato per attività terroristiche, ha rivelato alla polizia d’aver progettato un secondo attentato, fittizio, contro israeliani perché sapeva che, una volta incarcerato, avrebbe ricevuto un cospicuo stipendio dall’Autorità Palestinese. La confessione firmata dal palestinese lo scorso agosto è stata diffusa domenica da Palestinian Media Watch. “A causa della mia difficile situazione finanziaria – afferma Najjar – ho deciso di inventarmi un piano per essere arrestato e beccarmi una condanna a più di cinque anni perché in questo modo avrei ricevuto uno stipendio fisso dall’Autorità Palestinese che mi avrebbe permesso di pagare i miei debiti e coprire le spese per il mio matrimonio”. Nel suo primo periodo di detenzione per terrorismo, Najjar aveva ricevuto in tutto 45.000 shekel (circa 9.400 euro), mentre ora puntava a ricavarne almeno 135.000 (ca. 28.000 euro).

La deposizione di Husni Najjar nel rapporto della polizia israeliana

Secondo Palestinian Media Watch, i detenuti palestinesi condannati a più di cinque anni per attività terroristiche ricevono dall’Autorità Palestinese uno stipendio fisso di 4.000 shekel (ca. 830 euro) durante i loro mesi di detenzione e nei tre anni successivi alla loro scarcerazione. Najjar è attualmente in carcere in attesa di processo. “La testimonianza di questo palestinese – sottolineano in una nota Itamar Marcus, direttore di Palestinian Media Watch, e l’analista Nan Jacques Zilberdik – conferma la nostra tesi secondo cui la politica dell’Autorità Palestinese di versare cospicui stipendi (coi soldi degli aiuti internazionali) ai palestinesi condannati per terrorismo, durante e dopo la loro detenzione in Israele, non solo premia il terrorismo che miete vittime innocenti fra civili indifesi, ma costituisce anche un forte incentivo per nuove attività terroristiche”, che sono in sé criminali ad anche un formidabile ostacolo sulla via della pace. (Da: PMW Bulletin, Times of Israel, 16.2.14)

Edwin Black

Edwin Black

“Un palestinese può passare da essere un nessuno a essere qualcuno, dalle stalle alle stelle, semplicemente facendo esplodere un autobus israeliano o facendo irruzione in una casa e tagliare la gola a qualche bambino israeliano. Appena viene condannato, comincia automaticamente a percepire uno stipendio-premio dall’Autorità Palestinese, tanto più alto quanto peggiore è il suo crimine e maggiore la condanna”. Lo ha spiegato l’editorialista americano Edwin Black, un figlio di sopravvissuti alla Shoà impegnato da quasi mezzo secolo nel movimento per i diritti umani, che ha presentato questo mese ad alcuni parlamentari europei e poi a quelli israeliani il suo ultimo libro Finanziare l’incendio: come donazioni esentasse e denaro pubblico alimentano la cultura dello scontro e del terrorismo contro Israele. La condanna al carcere, spiega Black, non è un deterrente: nessuno crede di dover scontare davvero tutta la pena perché il rilascio dei detenuti è in vetta all’agenda di ogni trattativa e/o ricatto dei palestinesi. E comunque, nel frattempo i soldi aiutano la famiglia.

Questa tragica farsa viene gestita dal Ministero dell’Autorità Palestinese per gli affari dei prigionieri ed è inscritta nella legislazione dell’Autorità Palestinese. Secondo Black, “si tratta di cifre che vanno da 5 a 7 milioni di dollari al mese, circa il 6% del budget dell’Autorità Palestinese. Se si aggiungono gli esborsi per pagare ai terroristi le spese di matrimoni, eventi sociali, bonus speciali, borse di studio ecc., si arriva al 16% del bilancio dell’Autorità Palestinese. E da dove viene tutto questo denaro? Dai contribuenti americani ed europei, naturalmente. “Fino a quando la legge soldi-in-cambio-di-sangue non verrà cancellata – conclude Black – non ci potrà essere pace tra palestinesi e israeliani”. (Da: Israel HaYom, 21.2.14)