Il trionfo del monoculturalismo nel Medio Oriente

La scomparsa degli ebrei nel nord Africa

Di Seth J. Frantzman

Nel 1948 c’erano 250.000 ebrei in Marocco. Oggi sono meno di 4.000. In tutto il nord Africa le più antiche ed importanti comunità ebraiche scomparvero negli anni 1940- 1970. In febbraio, quando “Tanghir-Jerusalem, echoes of the mellah” fu proiettato in un teatro a Tangeri, una folla di parecchie centinaia di persone si radunò per protestare. Il film era opera di Kamal Hachkar e voleva esplorare la storia degli ebrei che avevano lasciato il Marocco per stabilirsi in Israele. In marzo l’Egitto proibì la proiezione di un film sugli ebrei in Egitto. Come il film di Hachkar, il documentario tracciava le vite degli ebrei egiziani negli anni ’50 quando la comunità lasciò il paese.
In tutto il nord Africa, e nel resto del mondo musulmano, c’è un rifiuto a menzionare la storia ebraica nella regione. Nello stesso tempo c’è una lenta, stridente distruzione di tutte le vestigia rimaste della storica vita ebraica. Per esempio, la sinagoga Eliahu Hanabi a Damasco, che risale all’ottavo secolo, fu gravemente danneggiata nei combattimenti del 3 marzo. Il 27 gennaio, 68 pietre tombali furono profanate e distrutte nel cimitero ebraico della città di Sousse in Tunisia.
Raphael Luzon, un ebreo libico, fu arrestato a luglio dell’anno scorso perché era ritornato nel paese per tentare di restaurare una sinagoga.
Non è abbastanza che le comunità ebraiche non esistano più in questi paesi, ma la gente cerca addirittura di cancellare l’idea che siano mai esistite.
Questo modello di “monoculturalismo,” l’avanzamento della storia ed esistenza di una sola cultura, è attuato in tutta la regione. Negli anni’50 molte grandi città in Medio Oriente erano metropoli piene di vita e di diversità culturali. Per esempio, Tunisi era 20 percento ebraica, e nella capitale e nei suoi dintorni vivevano anche 100.000 italiani e 13.000 maltesi.
Alessandria aveva grandi comunità di armeni, greci, maltesi e gente di tutto il mondo. Oggi queste comunità sono scomparse, le loro proprietà sono state nazionalizzate da quando sono stati etichettati come “stranieri.”
L’odio verso di esse covava nel cuore di parte della popolazione musulmana locale.
Nell’affascinante libro Jewish Culture and Society in North Africa, uno scrittore osserva, “Nel contesto della rivalità militare [degli anni ‘40] crebbe l’italofobia… I musulmani accusarono anche i 13.000 maltesi della Tunisia di essere lacché dell’imperialismo inglese.” Nel mondo arabo carico di cospirazioni, l’odio per l’altro era coltivato, cosicché ogni gruppo che non fosse musulmano era accusato di collaborare con qualche potere esterno, o di avere troppo potere finanziario.
Quando la gente scrive sulla distruzione e la scomparsa di ogni antico gruppo minoritario nel Medio Oriente, dai cristiani assiri agli yazidi iracheni, noi vediamo dietro ciò una politica di monoculturalismo.
Ma quello che è affascinante è il grado in cui queste società, che si sono omogeneizzate sradicando gli ebrei ed altri dalle loro case negli anni ’50 e ’60, oggi rifiutino anche la nozione che gli ebrei siano mai esistiti nei loro paesi.
La reazione di Egitto e Marocco a film simili è solo un esempio. Un altro esempio è la proibizione da parte dell’Egitto dei pellegrinaggi di ebrei alla tomba di Rabbi Ya’akov Abuhatzeira. Un tribunale del Cairo proibì i pellegrinaggi mentre un mukhtar locale osservava, “Proibiamo agli ebrei di visitare la tomba perché ci identifichiamo on il popolo palestinese e perché non vogliamo offendere le sensibilità del popolo egiziano.”
Allo stesso modo in Marocco i protestanti gridavano contro la “normalizzazione” con Israele.
Le “sensibilità” nella regione sono così estreme che perfino un film sulla storia o un pellegrinaggio sono così offensivi che devono essere proibiti. La semplice menzione di una comunità che, mentre viveva tra la popolazione maggioritaria era soggetta ad insulti, discriminazione e vessazioni, è considerata inaccettabile. Immaginate le “sensibilità” americane secondo cui la sola menzione del fatto che gli indiani d’America siano mai esistiti, per non parlare di essere stati uccisi o cacciati dalle loro case, era “offensiva.”
Benché in qualche modo la Primavera Araba abbia reso questa tendenza alla monoculturalizzazione più visibile, essa ha le sue origini nell’ascesa del socialismo arabo negli anni ‘50.
Anche guerre e conflitti sono costati molto cari alle comunità minoritarie.
Un esempio interessante di questo monoculturalismo è il caso di Samira Ibrahim. Era stata scelta per ricevere un International Women of Courage Award dal Dipartimento di Stato americano. Tuttavia risultò che aveva pubblicato una serie di tweet antisemiti. In uno elogiava un passo di Adolf Hitler: “Ho scoperto col passare dei giorni che nessun atto contrario alla moralità, nessun crimine contro la società avviene se non c’entrano in qualche modo gli ebrei.” Sosteneva anche che la monarchia saudita era“più sporca degli ebrei.”
Quando The Weekly Standard riferì i tweet, Ibrahim dichiarò che “qualunque tweet su razzismo e odio non è roba mia,” sostenendo che il suo account era stato violato. In seguito ritrattò dicendo “Mi rifiuto di scusarmi con la lobby sionista in America riguardo alle mie precedenti dichiarazioni antisioniste.”
Molti egiziani sarebbero probabilmente d’accordo; citare Hitler ed etichettare la gente come “peggio degli ebrei” non è antisemita, semplicemente antisionista.” Ibrahim stessa era stata consigliata da un simpatizzante su Twitter di definire come antisionista qualunque dichiarazione antisemita.”
Questo giochetto, di trasformare “ebreo” in “sionista,” significa che la profanazione di un cimitero ebraico non è parte di una campagna per cancellare la storia, ma è semplicemente “anti-sionista,” e proibire un film sui profughi ebrei è in effetti parte di “resistere alla normalizzazione col sionismo, anche se gli ebrei nel film o il cimitero non hanno alcuna connessione con Israele o il Sionismo.”
Quello che spaventa è che le scuse offerte per questo attacco monoculturalista sono infinite. In un’ intervista con Laura Bush, la conduttrice della CNN Erin Burnett chiese, “[Samira Ibrahim] è stata criticata anche per aver pubblicato tweet che sono anti-semiti, anti-americani.
Gli Usa hanno proprio bisogno di accettare questo, quando vogliamo cambiare?” L’idea è che si dovrebbe accettare nel Medio Oriente quello che non si accetterebbe mai a casa propria. Lo stesso vale per gli schizzi di svastiche su un manifesto del presidente Barack Obama a Betlemme.
Eccetto che dal Washington Post, questa storia non è stata molto raccolta negli USA. Ma se le svastiche fossero state dipinte sull’immagine del presidente in Europa o in Texas, sarebbero state notizie importanti.
L’idea è che le svastiche a Betlemme sono parte di “accettare l’ anti-semitismo” per “cambiare.”
Ma quando si accetta l’antisemitismo, si fa davvero qualche cambiamento? Il multiculturalismo e il monoculturalismo sono parenti. Precisamente nel momento in cui l’occidente cominciò ad accettare il multiculturalismo negli anni ‘60, il Medio Oriente cominciò a volgersi in modo disastroso verso ideologie monoculturali.
Numerosi articoli hanno parlato poeticamente dei vecchi tempi al Cairo, Teheran, Yemen, Kandahar e Gaza quando le donne indossavano gonne o bikini (non che l’essere poco vestiti sia sempre un segno di progresso, ma in questo caso può essere un criterio accettabile) e la gente era di mentalità molto più aperta di oggi.
La “sinistra laica” in Egitto, o in qualunque di questi paesi, tende ad essere piena delle stesse idee di Ibrahim o con le stesse “sensibilità” che fanno sì che un ebreo ortodosso non possa nemmeno visitare la tomba che i suoi antenati hanno visitato per generazioni.
Il monoculturalismo è la tragedia del Medio Oriente; mentre il resto del mondo diventava differenziato, il Medio Oriente diventava omogeneo, e quell’omogeneità è anche incoraggiata in Pakistan, Indonesia, Malaysia, Sudan, nord Nigeria, Kosovo, Turchia, Cecenia e in molti altri paesi che imparano troppo dall’esempio dell’ Arabia Saudita, e troppo poco dall’esempio degli Stati Uniti.

(Da: Jerusalem Post, 19.3.13)