Il triste Natale dei cristiani sotto Autorità Palestinese

Uomini che hanno seviziato e ucciso ragazze cristiane godono di asilo politico in Irlanda, Spagna, Italia.

image_1011Turisti e pellegrini che sono stati a Betlemme qualche anno fa si sono sicuramente imbattuti in Farid Azizeh, un commerciante arabo cristiano che insieme alla moglie gestiva un piccolo bar in Piazza della Mangiatoia. Il locale era famoso per il succo d’arancia fresco e il caffè turco che serviva ai propri clienti. Alla vigilia del Millennium, molti giornalisti stranieri convenuti a Betlemme trasformarono il suo locale in un centro stampa di fortuna. Il bar di Azizeh era uno dei pochi esercizi commerciali rimasti aperti a Betlemme dopo lo scoppio della cosiddetta seconda intifada, nel settembre 2000. “Un giorno la situazione tornerà normale – rispondeva Azizeh a chi gli domandava dell’ondata di violenze – Un giorno qui ci sarà la pace, perché questa è la città della pace e il luogo di nascita di Gesù”. Ma la vita di Azizeh, che per anni è stato anche consigliere comunale nella municipalità di Betlemme, non è più tornata normale. Circa tre anni fa alcuni palestinesi armati e col volto coperto hanno aperto il fuoco contro la sua auto in una della strade principali della città, colpendolo alla testa. Poco dopo l’aggressione, grazie anche all’aiuto di alcuni amici israeliani, Azizeh venne trasferito all’ospedale Hadassah dell’Università di Gerusalemme, dove i medici riuscirono a salvargli la vita. Ma non riuscirono a salvargli la vista. Da allora il piccolo bar sulla piazza della Mangiatoia è chiuso e Azizeh, conosciuto per il suo carattere gioviale e socievole, non esce quasi mai di casa. I suoi aggressori sono tuttora a piede libero, sebbene molti conoscano perfettamente la loro identità. Pochi giorni prima dell’aggressione, Azizeh si era rifiutato di ritirare un esposto che aveva inoltrato contro un autista musulmano che aveva causato la morte di due suoi parenti in un incidente d’auto. Si dice che la famiglia dell’autista avesse chiesto aiuto ai miliziani locali di Fatah per “persuadere” Azizeh a fare marcia indietro.
Indipendentemente dai motivi contingenti, il caso del 72enne Azizeh viene letto da molti cristiani nel quadro di quella che ritengono una campagna condotta dai musulmani contro la minoranza cristiana di Betlemme. Azizeh, dicono, non sarebbe stato aggredito se fosse stato membro di uno dei grandi e influenti clan famigliari musulmani della città. “Qui i cristiani vengono considerati facili prede – protesta un eminente uomo d’affari cristiano – Negli ultimi anni vi è stata un’impennata degli attacchi contro i cristiani di Betlemme”.
I leader politici musulmani e cristiani negano con forza l’esistenza di una campagna anti-cristiana organizzata, sostenendo che le violenze sarebbero per lo più causate da liti per “motivi personali” senza alcun legame con la religione. Le vittime dei crimini sarebbero sia cristiani che musulmani, aggiungono, e accusano Israele e varie organizzazioni ebraiche di diffondere bugie su una presunta “persecuzione islamica” a danno dei cristiani. “Le notizie relative ad aggressioni di musulmani contro cristiani sono ampiamente esagerate – afferma Omar al-Khatib, imam della moschea di Betlemme – e bisogna stare attenti a non fare il gioco della macchina propagandistica israeliana. I rapporti fra musulmani e cristiani non sono mai stati così buoni”.
Tuttavia, a registratore spento, molti cristiani di Betlemme intervistati nelle scorse settimane danno voce a una profonda preoccupazione per il crescente numero di aggressioni contro membri della loro comunità ad opera di musulmani. Anzi, molti dicono d’aver preso in seria considerazione l’ipotesi di trasferirsi altrove: negli Stati Uniti, in Canada o in America latina dove molti di loro hanno già dei parenti. Jihad, un commerciante cristiano che da più di trent’anni anni tratta mobili antichi nella vicina cittadina di Beit Jala, dice d’aver pensato di trasferirsi sul serio in Cile, dove oggi vivono almeno ottantamila suoi concittadini. “Ci sono meno di diecimila cristiani oggi a Beit Jala – spiega – Qui non abbiamo futuro a causa del deteriorarsi delle condizioni economiche”. Il suo amico George, un tempo proprietario di un negozio di souvenir, dice che pensa di trasferirsi nelle prossime settimane in Perù, dove vivono da quindici anni i suoi fratelli e le sue sorelle. Entrambi hanno chiesto di essere indicati solo col nome di battesimo, e si mostrano estremamente cauti quando viene sollevato il tema dei rapporti fra cristiani e musulmani. “E’ vero che ci sono stati casi di violenze contro i cristiani – nota George – ma parlando in generale la situazione non è poi così brutta”. Altri cristiani di Beit Jala non sono d’accordo. Secondo un medico del posto, sfortune dei cristiani si sono aggravate in generale negli ultimi dieci anni, e in particolare da quando è scoppiata l’intifada cinque anni fa. “Dopo l’arrivo dell’Autorità Palestinese nel 1995 – dice – molti musulmani di Hebron e da altre patri della Cisgiordania sono venuti a stabilirsi a Beit Jala. La cosa preoccupante è che alcuni di loro si sono impadroniti illegalmente di terreni privati. Quando uno dei proprietari cristiani si è rifiutato di vendere il suo terreno a un alto ufficiale dei servizi di sicurezza palestinesi, è stato chiuso in prigione per diversi giorni”. Un’altra volta, un cristiano di 60 anni è stato incarcerato per un breve periodo da uno degli apparati di sicurezza palestinesi perché aveva proibito a sua figlia di vedersi con un ufficiale palestinese. Altri cristiani, che nel primo anno dell’intifada al-Aqsa avevano cercato di far cessare le sparatorie di Fatah da Beit Jala verso le case ebraiche del quartiere Gilo di Gerusalemme sud, si è saputo che più tardi sono stati picchiati o minacciati dai miliziani. Gli stessi miliziani responsabili delle sevizie e dell’assassinio di due sorelle adolescenti cristiane della famiglia Amr. Gli aggressori hanno successivamente sostenuto che le due sorelle erano state uccise in quanto “prostitute” e “collaborazioniste” delle forze di sicurezza israeliane, accusa risolutamente smentita dai parenti delle vittime e da molti abitanti della città. “I gangster hanno assassinato le due sorelle perché non dicessero chi le aveva stuprate – dice uno dei famigliari – Alcuni di quegli assassini sono stati poi uccisi dall’esercito israeliano, ma altri vivono oggi al sicuro in Europa dopo che si sono salvati occupando la Chiesa della Natività. È assurdo che uomini musulmani che hanno seviziato e ucciso delle ragazzine cristiane godano di asilo politico in paesi cristiani come l’Irlanda, la Spagna e l’Italia”.
A ottobre Beit Jala è stata di nuovo teatro di tensioni religiose quando una donna cristiana ha denunciato d’essere stata molestata da uomini musulmani del villaggio di Beit Awwa, nell’area di Hebron. “Questo genere di incidenti sono diventati un fenomeno quotidiano – dice Mary, che gestisce una piccola drogheria nella cittadina – Molte famiglie cristiane hanno già mandato le figlie all’estero per paura che subiscano aggressioni da parte di musulmani”. All’inizio di quest’anno le tensioni fra cristiani e musulmani a Betlemme avevano toccato un picco quando una famiglia cristiana aveva denunciato il rapimento di una figlia sedicenne da parte di un musulmano. Dopo alcuni giorni in un villaggio presso Hebron, grazie all’intervento di alti ufficiali palestinesi e leader musulmani la ragazza è stata restituita alla famiglia. Con l’aiuto di un diplomatico americano, gazza è stata poi rapidamente trasportata negli Stati Uniti dove ha potuto iniziare una nuova vita con alcuni parenti e amici.
Alcuni cristiani accusano i mass-media e diplomatici stranieri di ignorare le loro sventure per “ragioni politiche”. “Anche se la maggior parte dei giornalisti e diplomatici stranieri sono cristiani – dice Bishara, un cristiano che lavora come guida turistica – non prestano sufficiente attenzione a ciò che sta accadendo ai cristiani di Betlemme. Evidentemente hanno paura di danneggiare le loro relazioni con l’Autorità Palestinese”.
Sebbene sia quasi impossibile trovare un cristiano disposto ad esporre pubblicamente tali lamentele, una notevole eccezione è rappresentata da Samir Qumsiyeh, giornalista di Beit Sahur. Lo scorso settembre ha detto a chiare lettere al quotidiano italiano Corriere della Sera che i cristiani subiscono stupri, sequestri, estorsioni ed espropri di terreni e proprietà. Qumsiyeh (irraggiungibile per un’intervista perché all’estero al momento in cui è stato scritto questo articolo) guida un’emittente televisiva locale chiamata Al-Mahd (Natività). Con una decisione coraggiosa, Qumsiyeh ha compilato una lista di 93 casi di soprusi anti-cristiani avvenuti fra il 2000 e il 2004. “Il dossier è incompleto e non aggiornato”, ha detto al giornalista italiano. Une esempio è il caso della 17enne Rawan William Mansour, di Bet Sahur, che nella primavera di due anni fa è stata violentata da quattro miliziani di Fatah. Nonostante la denuncia, nessuno dei quattro è stato mai arrestato. La famiglia fu costretta a emigrare in Giordania per la vergogna. Quasi tutti i 140 casi di espropriazione di terre degli ultimi tre anni sono stati commessi da militanti dei gruppi islamici e da agenti della polizia. Qumsiyeh dice che sta preparando un libro sulle condizioni della minoranza cristiana palestinese. “Lo intitolerò Razzismo all’opera – dice – Il razzismo contro di noi sta aumentando vertiginosamente. Nel 1950 la popolazione cristiana di Betlemme era il 75%. Oggi arriva a malapena al 12%. Se continua così, tra vent’anni a Betlemme non ci sarà più un cristiano”.

(Khaled Abu Toameh, su: Jerusalem Post, 25.10.05)

Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” (5.09.05):

NOI CRISTIANI IN TERRA SANTA
BERSAGLIO DELL’ODIO ISLAMICO

«Macché difficoltà tra Israele e Vaticano! I problemi per noi cristiani in Terra Santa sono altri. Quasi ogni giorno, lo ripeto quasi ogni giorno, le nostre comunità sono vessate dagli estremisti islamici in queste regioni. E, se non sono gente di Hamas o della Jihad islamica, avviene che ci si scontri con il muro di gomma dell’Autorità Palestinese, che fa poco o nulla per punire i responsabili. Anzi, ci è capitato di venire a sapere che in alcuni casi tra loro c’erano gli stessi agenti della polizia di Mahmoud Abbas [Abu Mazen] o i militanti del Fatah, il suo partito, che sarebbero addetti alla nostra difesa. Sono talmente scoraggiato di sentire le lamentele che talvolta non guardo neppure più i dossier». Padre Pierbattista Pizzaballa non riesce a trattenere la frustrazione. Quarantenne, dinamico neo-custode di Terra Santa, è ben lontano dai modi bizantini, i silenzi diplomatici, il desiderio del quieto vivere, di tanti tra i suoi predecessori. Eravamo venuti a trovarlo nel suo ufficio a Gerusalemme per cercare di capire di più sui contenziosi fiscali e giuridici che ancora avvelenano i rapporti tra Santa Sede e Israele. Pizzaballa rappresenta la Custodia, l’istituzione francescana che dalla bolla di Papa Clemente VI del 1342 si occupa appunto di rappresentare, difendere e garantire gli interessi e le proprietà della Chiesa in Terra Santa. Ma già dalle prime battute è ovvio che per il Custode le preoccupazioni più gravi sono altre. «Qui ho una lista di 93 casi di ingiustizie di vario tipo commesse ai danni dei cristiani nella regione di Betlemme tra il 2000 e il 2004. L’ha compilata Samir Qumsieh, direttore di Al Mahdeh, che in arabo significa Natività, una piccola televisione locale che sta diventando la voce delle nostre comunità. Ma con difficoltà. Nelle ultime settimane una banda di Bet Sahur, dove lui ha casa e ufficio, sta infatti cercando di rubargli il terreno dove vorrebbe installare un ripetitore in grado di allargare le regioni coperte dall’emittente», spiega Pizzaballa.
Una situazione che rilancia un tema antico: l’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente. Avviene per i copti dell’Alto Egitto, per assiri e caldei in Iraq, in parte per i maroniti in Libano. Ma soprattutto in Israele e Cisgiordania. «Nel 1948, l’anno della nascita di Israele, i cristiani costituivano circa il 14 per cento della popolazione, ora sono ridotti a malapena al due. Oggi siamo in 170.000, di cui 80.000 cattolici. Circa il 60 per cento abita in Israele, il resto nei territori occupati nel 1967, inclusa Gerusalemme est», ricorda ancora il Custode. A Betlemme è lo stesso Samir Qumsieh a darci una copia del dossier. «E’ parziale, perché negli ultimi dodici mesi ho registrato numerosi nuovi casi di abusi», dice. Un uomo coraggioso. Tra le sue battaglie anche quella contro la diffusione delle moschee nella zona di Betlemme: «I loro muezzin gridano più forte vicino alle chiese. Una provocazione, dove una volta suonavano le campane ora si sentono soltanto le preghiere musulmane con gli altoparlanti a tutto volume». Più volte il nunzio apostolico, Pietro Sambi, l’ha consigliato di essere prudente. Qualche mese fa Samir voleva far diffondere il suo dossier da Asia News, un sito web curato da padre Bernardo Cervellera, ben noto tra gli addetti ai lavori. Sambi era riuscito a fermarlo. «Potresti venire assassinato», gli aveva detto. Ora però Samir vuole andare avanti: «Occorre denunciare, basta tacere!». A leggere il suo dossier c’è solo l’imbarazzo della scelta. Stupri, rapimenti, rapine, terre e proprietà rubate, case occupate, abusi e soprattutto offese. Un numero crescente di offese da parte dei musulmani. Vedi il caso della sedicenne Rawan William Mansour, abitante del villaggio di Bet Sahur, che nella primavera di due anni fa veniva violentata da quattro miliziani di Fatah. Nonostante la denuncia, nessuno di loro fu arrestato. La famiglia fu costretta a emigrare in Giordania per evitare la vergogna. Un anno prima due sorelle della famiglia Amre (di 17 e 19 anni) vennero assassinate a colpi di pistola da un gruppo di uomini armati vicini all’Autorità Palestinese. L’accusa: prostituzione. Più tardi l’autopsia rivelò che le ragazze erano vergini. Ma erano state torturate nelle parti intime con sigarette accese, prima dell’«esecuzione». Ma c’è molto altro. Quasi tutti i 140 casi di espropriazione di terre avvenuti negli ultimi tre anni sono stati perpetrati da militanti dei gruppi islamici e da agenti della polizia. Samir sta preparando un libro-denuncia. «Lo intitolerò Razzismo in pratica », dice. Le conclusioni sono amare: «Il razzismo contro di noi sta aumentando vertiginosamente. Nel 1950 Betlemme era per il 75 per cento cristiana, oggi non arriva al 12. Se continua così, tra vent’anni non ci saremo più».

Nella foto in alto: Maggio 2002, terroristi e criminali palestinesi che si sono sottratti all’arresto da parte delle forze di sicurezza israeliane occupando armi alla mano la Basilica della Natività di Betlemme, ne escono grazie a un’intesa per la loro protezione accordata da paesi europei.