Il trucco palestinese all’Onu

La paventata dichiarazione di indipendenza unilaterale serve solo a mettere sotto pressione Israele.

Di Moshe Dann

image_3157La lotta palestinese volta a cancellare Israele, sebbene faccia sempre i titoli sulle prime pagine dei giornali, non è mai stata più che uno spettacolo marginale nel mondo arabo. Comodo strumento usato dai dittatori arabi per distogliere l’attenzione dagli abusi e dalla corruzione interna, essa non comporta e non comporterà importanti conseguenze. Il mondo arabo ha cose ben più importanti di cui preoccuparsi.
Questo è il motivo per cui esagerare le conseguenze delle manovre palestinesi per un riconoscimento (unilaterale) alle Nazioni Unite distorce la realtà e crea un falso senso di disastro incombente per gli israeliani e per il mondo. Montare le trovate palestinesi e gli sforzi volti a delegittimare e demonizzare Israele sono per l’appunto gli espedienti usati dalla propaganda che mira all’annichilimento di Israele.
Si tratta di metodi che sono stati comunemente usati in tutta la storia, sotto forme diverse – calunnie del sangue, teorie razziste, sproloqui nazisti, falsi Protocolli, negazioni della Shoà – diffusi da chiese e moschee. Per alcuni, un vero e proprio stile di vita.
Tuttavia, nonostante tutto il can-can e la spasmodica attenzione dei mass-media, l’impulso per l’indipendenza palestinese rimane un evento minore nel mondo arabo, che sta esplodendo in manifestazioni di massa, rivolte, guerre civili. In termini reali, il marginale show diplomatico dei palestinesi non può competere con le centinaia di persone uccise ogni giorno da forze di sicurezza arabe in Medio Oriente e nord Africa, con rivoluzioni e contro-rivoluzioni senza fine.
Dal momento che godono già del riconoscimento diplomatico di circa 150 paesi, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, che cosa cerca ancora l’Olp con il riconoscimento di uno stato alle Nazioni Unite? L’auto-definizione politica dei palestinesi racchiude in sé il non-riconoscimento di Israele e annovera le fazioni terroristiche antisemite come Hamas. L’indipendenza, oltretutto, comporta una capacità effettiva di controllare il territorio rivendicato, ragionevoli e legittime istituzioni civili, l’aspirazione a relazioni pacifiche e – nel caso dell’Olp – la chiusura della questione dei “profughi palestinesi”.
Ancora più significativo è il fatto che l’attuale dirigenza palestinese ha deciso di andare alle Nazioni Unite prima d’aver tenuto le sue elezioni, già a lungo rinviate, il che suscita seri quesiti sulla guerra di potere al suo interno e sui suoi futuri leader. Secondo molti esperti, sarà Hamas che finirà per prendere il potere. Nel mezzo della guerra civile in corso fra Fatah e Hamas, a dispetto della loro temporanea “riconciliazione”, le fughe in avanti dei palestinesi verso l’indipendenza non sono solo premature, sono immature.
L’odio verso gli ebrei non cambierà, con o senza riconoscimento dell’indipendenza palestinese. L’Olp e Hamas continueranno a perseguire il loro obiettivo di eliminare Israele, supportati da islamisti, jihadisti, Fratelli Musulmani e quant’altri. Hezbollah continuerà ad ammassare missili, anche se già ora il suo arsenale, stimato a 50mila tra missili e razzi, è più che sufficiente per fare terra bruciata d’Israele. E noncuranti della richiesta del presidente Obama che diano delle risposte chiare su punti cruciali del contenzioso, i capi palestinesi potranno continuare a starsene zitti, mentre predispongono il conflitto.
Esagerare le mosse palestinesi per il riconoscimento all’Onu è particolarmente pericoloso se serve a farne derivare la pressante richiesta a Israele di “fare subito qualcosa”, incoraggiando gli avversari di Israele a premere sullo stato ebraico perché faccia concessioni “per sventare lo tsunami (diplomatico) in arrivo”. Ancora peggio, questo sposta su Israele tutto l’onere di prevenire le violenze e promuovere la pace.
In fondo, se i palestinesi faranno questa mossa, essa non avrà effetti pratici o diplomatici. Avrà piuttosto un solo effetto sostanziale: la cancellazione degli accordi di Oslo.

(Da: YnetNews, 31.5.11)

Nella foto in alto: Moshe Dann, autore di questo articolo