Il vero apartheid contro i palestinesi? Date un’occhiata in Libano

Privati di elementari diritti in un paese di cui condividono lingua cultura e religione, i profughi palestinesi servono come un’arma puntata in eterno contro Israele

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Non capita molto spesso l’opportunità di considerare il “problema palestinese” da una prospettiva diversa: c’è un problema, ed è anche un problema molto serio. Ma non ha nulla a che fare con Israele.

Sì, la nakba è avvenuta. Delle persone fuggirono o vennero espulse. Circa 700.000 arabi residenti in Palestina divennero profughi. Non erano i soli. Decine di milioni di persone divennero profughe in quegli stessi anni. Tra loro, anche 850.000 ebrei espulsi o fuggiti da paesi arabi e musulmani. Una nakba ebraica. Decine di milioni di profughi nella prima metà del XX secolo furono il risultato di innumerevoli conflitti che portarono a scambi di popolazione, tutti forzati.

La potente esplosione di un deposito di armi di Hamas all’interno del campo palestinese di Burj Shamli a Tiro, in Libano, mette in luce questo problema. Il deposito, va notato, era nascosto sotto una moschea. Ma il conflitto non è con Israele. Israele è solo un pretesto per Hamas e per il gruppo terroristico libanese Hezbollah. Il conflitto è interno. È tra Hamas, Fatah e altre fazioni armate, anche in altri campi palestinesi. È anche un conflitto tra i palestinesi e il resto della popolazione libanese.

Perché c’è un conflitto? Perché questi eventi in Libano sono legati a un fenomeno ben più ampio. Più del 90% dei conflitti nel mondo musulmano non sono con il mondo esterno. Certo, tutte le organizzazioni islamiste hanno un unico nemico dichiarato: l’America, Israele, l’Occidente. Ma alla fine, i conflitti sono tra musulmani e altri musulmani. Boko Haram, a-Shabab, i talebani e la maggior parte delle organizzazioni jihadiste uccidono quasi esclusivamente musulmani. È auto-oppressione. La furia omicida è diretta verso l’interno.

L’esplosione del deposito di armi di Hamas sotto una moschea nel campo palestinese di Burj Shamli, in Libano

I profughi palestinesi in Libano non sono che uno dei gruppi oppressi, come molti altri gruppi etnici, tribali o religiosi nel mondo musulmano. Sembra che il mondo sia più preoccupato per i palestinesi che per tutti gli altri sventurati gruppi etnici del mondo messi assieme. Ma è solo un’illusione. Il mondo non è realmente interessato ai palestinesi. I palestinesi interessano al mondo solo quando servono per puntare il dito accusatorio contro Israele. Un caso evidente è quello del gruppo di palestinesi più oppresso al mondo, quasi mezzo milione di persone secondo i dati Unrwa: quello che vive in Libano.

A onor del vero, nel corso dei decenni alcuni palestinesi cristiani sono riusciti a ottenere la cittadinanza libanese. Non è nemmeno chiaro se si identifichino come palestinesi. Farlo può solo danneggiarli. Ma restano i musulmani sunniti, che rappresentano la stragrande maggioranza dei profughi palestinesi. Qual è stata la loro sorte? Il 56% è disoccupato, secondo uno studio pubblicato alla fine del 2019, indipendentemente dall’attuale crisi in cui versa il Libano. Vivono mediamente con sei dollari al giorno. Il 50% non ha la minima formazione che permetta di trovare un lavoro. Tutto questo a causa della decisione storica presa da quasi tutti i paesi arabi di negare ai palestinesi la cittadinanza. L’obiettivo apertamente dichiarato era quello di perpetuare il loro status di profughi in modo che si potesse continuare a usarli come arma nella lotta contro Israele, e perché non abbandonassero mai nemmeno per un momento la battaglia per il “diritto al ritorno”, con lo scopo di aprire la strada alla distruzione di Israele.

Manifestanti in Libano al confine con Israele sventolano bandiere palestinesi e Hezbollah: relegati allo status di profughi eterni e puntati come un’arma contro lo stato ebraico

Il Libano ha fatto anche di più, integrando la negazione della cittadinanza con una serie di leggi draconiane che impediscono ai palestinesi di guadagnarsi da vivere in tutta una lista di professioni, relegandoli a vivere nei campi profughi e negando loro l’accesso al sistema scolastico pubblico. Per dirla in termini più chiari: un apartheid a tutti gli effetti.

Gli arabi che giunsero in Libano dalla Palestina non erano stranieri: hanno la stessa lingua, la stessa cultura e la stessa religione (spesso la stessa famiglia era in parte palestinese e in parte libanese). Ma furono sottomessi all’apartheid ancorato nelle leggi. Eppure, nonostante quell’apartheid, non si sentono né vedono proteste, indignazione, condanne. Ogni tanto viene pubblicato un articolo da qualche organizzazione per i diritti umani, e la cosa finisce lì. Il Consiglio Onu per i diritti umani non ha mai condannato il Libano, nemmeno una volta. Human Rights Watch ha diffuso la diffamatoria affermazione che Israele è uno stato di apartheid, anche se le condizioni degli arabi palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde sono di gran lunga migliori di quelle che subiscono i palestinesi in Libano. E i profughi? Continueranno ad ammucchiare armi nei depositi sotto le moschee in Libano, esattamente come a Gaza. Il tutto in nome della lotta contro Israele. E chi ne paga il prezzo? I profughi stessi. Sia a Gaza che in Libano.

(Da: YnetNews, 21.12.21)