Il vero scontro nel nuovo Medio Oriente

La battaglia per il predominio è fra il blocco persiano/sciita e il blocco arabo/sunnita.

Di Barry Rubin

image_3376La nuova battaglia strategica in Medio Oriente si fa incandescente, ed è solo l’inizio. Una battaglia che non ha nulla a che fare con Israele, e tutto a che fare con due linee di scontro più gravi: arabi contro persiani, e musulmani sunniti contro musulmani sciiti.
Il conflitto arabo-israeliano o israelo-palestinese diventa sempre meno importante, nonostante l’odio contro Israele delle sempre più potenti forze islamiste. La vera lotta verte su chi controllerà i singoli stati a maggioranza islamica e su chi guiderà il Medio Oriente: entrambe questioni che non hanno quasi nulla a che fare con Israele. Allo stesso tempo, Israele non ha praticamente alcun ruolo da giocare in queste lotte, salvo assicurarsi che Hamas non prenda il controllo su Cisgiordania e Autorità Palestinese.
La posizione arabo-sunnita è stata espressa molto chiaramente da Amr Moussa, un veterano del nazionalismo arabo e candidato alla presidenza in Egitto: “Il Medio Oriente arabo – ha ammonito – non sarà governato dall’Iran o dalla Turchia”. Si noti che Amr Moussa non menziona nemmeno Israele, in netto contrasto a come la questione sarebbe stata posta nei decenni scorsi (la minaccia di un controllo sionista sull’intera regione). L’Iran è sotto governo persiano (benché solo circa metà della sua popolazione sia di etnia persiana) e musulmano sciita. La Turchia è governata da turchi sotto il profilo etnico, ma è prevalentemente musulmana sunnita.
Quello a cui assistiamo di nuovo – trent’anni dopo che l’allora presidente egiziano Anwar al-Sadat mise in cima alle sue priorità l’interesse nazionale, la pace con Israele e l’alleanza con gli Stati Uniti – è un tentativo da parte dell’Egitto di porsi alla testa del mondo arabofono e dell’intera regione. Su questo punto egiziani di sinistra, nazionalisti e islamisti sono tutti d’accordo. E nel primo round della partita, la battaglia per il controllo sul gruppo islamista palestinese Hamas che controlla la striscia di Gaza, l’Egitto ha vinto e l’Iran ha perso. Si noti che ciò non ha nulla a che vedere con i militari che attualmente controllano l’Egitto, e che si allontaneranno dal potere prima della fine di giungo. Si tratta di una battaglia di lungo termine condotta da politici civili, innanzitutto islamisti. E si tratta di un programma sul quale gli islamisti possono unire il paese dietro di sé in un’ondata da fervore patriottico, arabo e sunnita. Basarsi su quest’agenda, spesso utilizzata in modo demagogico, richiede però anche che il Cairo prenda le distanze dagli Stati Uniti. Ecco un altro punto da tenere a mente. Il capo della commissione affari esteri del parlamento egiziano è ora Essam al-Arian, uno degli esponenti dei Fratelli Musulmani più apertamente estremisti. Arian è esplicitamente a favore della distruzione di Israele e contro gli interessi Usa nella regione. E non è che un esempio fra quelli innumerevoli che attestano l’estremismo della Fratellanza Musulmana e la rotta di collisione con Washington. Allo stesso tempo, Arian è fortemente anti-Iran, e preconizza il rovesciamento del regime di Tehran con una rivoluzione interna. Quando un esponente della Fratellanza Musulmana dice una cosa del genere, la sua non è un’analisi: è un auspicio. Un altro esempio dell’ostilità della Fratellanza, e dell’Egitto, verso il blocco guidato dall’Iran è dato dal fatto che l’Egitto ha attirato Hamas nella sua orbita. La Fratellanza appoggia i suoi fratelli siriani nella loro rivolta contro il regime filo-iraniano di Damasco, sostiene il governo del Bahrain contro i suoi oppositori sciiti e in Libano è ostile agli Hezbollah (sciiti filo-iraniani). Così, nonostante l’Iran abbia ora offerto all’Egitto aiuti finanziari di cui il paese ha grande bisogno, l’Egitto ignora l’offerta. Gli islamisti egiziani non vogliono essere in debito con Tehran più di quanto non vogliano esserlo con gli Stati Uniti.
Ancora non viene diffusamente riconosciuto che quello appena trascorso è stato un anno disastroso per la strategia dell’Iran volta a conquistare la leadership regionale. Al di fuori di Siria, Bahrain e Iraq – dove Tehran sostiene forze che allo stato attuale non vanno molto bene – solo in Libano l’Iran esercita ancora una vera influenza. Il suo potenziale appeal si limita oggi ai musulmani sciiti largamente minoritari. Se anche solo due anni fa una bomba nucleare iraniana avrebbe scatenato un’ondata di reazioni pro-Iran in tutto il Medio Oriente, oggi avrebbe invece scarso effetto sull’opinione pubblica (arabo sunnita). Analogamente, due anni fa la minaccia di cancellare Israele dalla carta geografica fatta dall’Iran rendeva l’Iran più popolare, e lo stesso effetto faceva alla Turchia la sua nuova ostilità verso Israele. Oggi queste pose declamatorie non servono più a promuovere l’influenza nella regione di quei due paesi. Anche per la Turchia, la “primavera araba” mette fine alle ambizioni regionali del suo governo islamista. Nessuno ha bisogno che i turchi facciano da leader regionali. Anzi, gli sforzi volti a rivendicare tale ruolo hanno creato forte risentimento sia in Egitto che in Iran.
Per contro, la Fratellanza Musulmana ha allargato la propria influenza in misura notevole. A parte il suo prossimo probabile governo sull’Egitto, la Fratellanza può ora vantare come interne alla sua sfera di influenza la striscia di Gaza, la Tunisia e la Libia. Ed è anche il protettore dei rami della Fratellanza in Siria e Giordania.
Un altro effetto di questo processo è l’aver reso orfana l’Autorità Palestinese, che non ha più alcun protettore straniero. Iran, Egitto e Siria sostengono Hamas. I protettori dell’Autorità Palestinese dovrebbero essere i ricchi stati del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Kuwait. Ma l’Olp non si è mai riguadagnata il loro appoggio dopo la rottura causata dall’allora leader dell’Olp Yasser Arafat quando sostenne l’occupazione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein nel 1990-91. Una Olp indebolita non ha margini di manovra, se non per difendere le sue credenziali di militante rifiutandosi di negoziare o scendere a compromessi con Israele e adottando un linguaggio estremista.
Il processo di pace israelo-palestinese è di fatto defunto sin dal 2000, ma solo ora la maggior parte del mondo prende atto del necrologio. È questo il nuovo Medio Oriente, assai diverso dalla regione così come era stata interpretata negli ultimi sessant’anni. La battaglia per il predominio fra i tre regimi forti del nazionalismo arabo – Egitto, Iraq e Siria – ha lasciato il posto alla battaglia fra il blocco sunnita e il blocco sciita. Sempre più spesso le valutazioni da parte araba delle minacce che incombono dall’Egitto, a ovest, fino al Golfo Persico a est, a mala pena si ricordano di citare Israele.

(Da: Jerusalem Post, 4.3.12)

Nella foto in alto: Barry Rubin, autore di questo articolo

Si veda anche:

2012: sciiti e sunniti si combattono per la supremazia nella regione. E l’Autorità Palestinese, orfana di padrini, è spinta all’alleanza con Hamas

https://www.israele.net/articolo,3325.htm

Perché bisogna preoccuparsi per la Fratellanza Musulmana in Egitto. Una tradizione di antiebraismo, negazione della Shoà, ostilità verso la pace fra Israele ed Egitto

https://www.israele.net/articolo,3343.htm

Terrorismo islamista in Africa, dal Sahara alla Somalia. Sbaglia chi riduce le stragi nelle chiese a scusanti come la povertà e la criminalità comune

https://www.israele.net/articolo,3330.htm