Il vero test

Chi ha provocato la devastazione su Gaza non deve ottenere le armi per farlo di nuovo

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2383Nel momento in cui Barack Obama entra in carica, martedì, come 44esimo presidente degli Stati Uniti, probabilmente non c’è più un israeliano nella striscia di Gaza, tranne Gilad Shalit. E quando Obama avrà trascorso la sua prima giornata alla Casa Bianca, Hamas starà già preparandosi per la prossima conflagrazione.
Senza dubbio non sarà sfuggito al nuovo presidente americano il discorso del “ringraziamento” tenuto in tv dal premier di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, che ha detto: “Allah ci ha concesso una grande vittoria: non per una fazione, un partito o una zona, ma per il popolo intero”. Parlando ai giornalisti, i rappresentanti di Hamas sostengono d’aver perduto per il fuoco israeliano 48 miliziani (altri 50 li avrebbe perduti il gruppo Jihad islamica), di aver lanciato 1.300 razzi e obici, d’aver ucciso 80 soldati israeliani, d’averne catturati alcuni e d’aver anche abbattuto un elicottero. Con tali successi in tasca, la fabbricazione e il traffico di armi, che i capi di Hamas definiscono “un sacro lavoro”, riprenderà subito là dove è stato interrotto.
I normali abitanti di Gaza, avvezzi come sono a identificarsi nell’illusorio e falso trionfalismo di Hamas, vedranno tuttavia ridimensionata la loro soddisfazione trovandosi faccia a faccia con il prezzo pagato per i “successi” di Hamas, che ammonterebbero – ma sono i dati di quelle stesse fonti palestinesi delle cifre di cui sopra – a 1.300 morti, più di 5.000 feriti, 90.000 senzatetto e danni economici per più di un miliardo di dollari.
Checché ne dica Hamas, nessun soldato israeliano è stato catturato. I soldati morti sono stati dieci, diversi dei quali colpiti per errore da “fuoco amico”. Una cinquantina i feriti. Tre i civili hanno che perso la vita. I bombardamenti di Hamas – 852 ordigni imbottiti di proiettili – hanno ferito più di 700 israeliani. Quattordici civili sono ancora ricoverati, compreso Orel Yelizarov, di sette anni, con gravi lesioni da schegge al cervello.
Sapremo presto se la controffensiva anti-Hamas nella striscia di Gaza ha conseguito i suoi scopi. Il test, però, non verrà tanto dal fatto che prevalga la “calma” nel sud del paese mentre le organizzazioni terroristiche si prendono un intervallo. Il vero test sarà vedere se a Hamas verrà permesso di realizzare il suo “sacro” progetto di riarmo.
Facendo ricorso a tutte le loro capacità di intelligence, le Forze di Difesa israeliane dovranno intervenire nel momento in cui le officine di Gaza riprenderanno a fabbricare Qassam, nell’istante in cui i suoi laboratori rinnoveranno la produzione di esplosivi, nell’attimo in cui i tunnel sotto il Corridoio Philadelphia (tra Egitto e striscia di Gaza) riprenderanno a funzionare per il traffico di armi e munizioni. Non agire immediatamente riporterebbe Israele all’intollerabile situazione che prevalsa negli ultimi otto anni, fino alla controffensiva del 27 dicembre scorso.
Ci ha fatto piacere sentire il ministro degli esteri Tzipi Livni annunciare a Israel Radio che aveva raggiunto un’intesa con l’amministrazione Bush in base alla quale Israele, in caso di riarmo di Hamas, potrà agire senza aspettare l’effettiva apertura del fuoco da parte dei terroristi. Israele si riserva il diritto, ha spiegato la Livni, di operare lungo il Corridoio Philadelphia se l’impegno egiziano e di altri paesi di bloccare il traffico di armi non verrà mantenuto. Se poi Hamas dovesse riprendere gli attacchi, ha avvertito la Livni, allora si tirerà addosso un’altra dose della ricetta servita dalle forze israeliane nelle scorse tre settimane.
Bisognerà ricordare a qualcuno la visita flash, prima a Sharm e-Sheikh e poi a Gerusalemme, di sei leader europei, fra i quali il presidente francese Nicolas Sarkozy? Gli europei sono venuti espressamente per sostenere il cessate il fuoco, e il governo israeliano è ora convinto d’avere il loro solido appoggio contro Hamas. Ciascun leader ha garantito a Olmert che Israele ha tutto il diritto di difendersi. Purtroppo, però, non sembra altrettanto evidente che tutti loro pensassero veramente ciò che dicevano.
Sia come sia, oltre a fare ciò che ovviamente va fatto – accertarsi che chi ha provocato la devastazione su Gaza non ottenga, riarmandosi, gli strumenti per farlo di nuovo – l’Europa e la comunità internazionale dovranno anche dominarsi e non fare di Hamas il project manager e il chief financial officer delle ricostruzioni nella striscia. Il Commissario alle relazioni esterne dell’Unione Europea Benita Ferrero-Waldner sembra aver fatto suo questo concetto, quando ha indicato che sarà difficile ricostruire a Gaza finché gli islamisti che la controllano continuano ad opporsi alla pace.
In effetti, finché Hamas rimane un nemico giurato della pace, finché resta totalmente votata alla violenza, finché si rifiuta di riconoscere il diritto del popolo ebraico ad avere una sede nazionale in qualunque parte del mondo, finché non rispetterà gli impegni internazionali sottoscritti dai palestinesi, Hamas non potrà mai legittimamente far parte della soluzione a Gaza. Neanche sotto l’eventuale foglia di fico di un governo d’unità nazionale palestinese.

(Da: Jerusalem Post, 20.01.09)

Nella foto in alto: bambini palestinesi portati in corteo, con armi e uniformi militari, alla “marcia della vittoria” indetta martedì a Gaza da Hamas.