In cinque mesi, zero attentati

La barriera anti-terrorismo tra Israele e Cisgiordania settentrionale sta dando frutti insperati.

image_228A giudicare dal sorriso, Danny Attar è un uomo soddisfatto. La campagna che il capo del Consiglio regionale della regione Gilboa (nord Israele) aveva contribuito a lanciare, tre anni fa, per chiedere la costruzione di una barriera tra Israele e Cisgiordania sta dando frutti insperati. Attar snocciola le cifre mentre guida lungo la barriera anti-terrorismo che corre ai margini della Cisgiordania settentrionale: “Avevamo seicento attacchi terroristi all’anno, da queste parti. Negli ultimi cinque mesi, zero. Decine di migliaia di palestinesi clandestini venivano a lavorare illegalmente qui ogni anno. Negli ultimi cinque mesi, zero. E intanto, pensa un po’, sono diminuiti anche i furti”.
L’armamentario polemico dell’anno scorso – accuse al governo di negligenza criminale per non aver costruito abbastanza rapidamente la barriera – è stato sostituito dalle nuove statistiche, e qualche sorriso. Benché via via più ottimisti, sia Attar che Yitzhak Meron, sindaco di Afula, non possono certo spingersi fino ad affermare che l’economia delle loro zone sia in piena ripresa. Ma entrambi attribuiscono ai duecento chilometri di barriera di rete e cemento il migliore stato d’animo fra la loro gente, il rinnovato senso di sicurezza e una certa ripresa economica. Nella nuova atmosfera, per dirla con le parole di Attar, “anche i fiori diventano più belli”.
Secondo Attar, il Consiglio regionale Gilboa sta registrando una crescita esponenziale del mercato immobiliare. “In alcuni luoghi, come Ramat Zvi – dice – non era stata venduta una sola casa per tutti i primi tre anni di ‘intifada’. Ora, in cinque mesi, ne sono state acquistate cinquanta. Sono cose che non hanno solo un valore percentuale”.
Non sono che i primi segni visibili della ripresa economica, aggiunge mentre guida una delegazione di stranieri per un tour nel cantiere di quello che sarà un nuovo valico di passaggio tra Israele e Jenin, che il ministero della difesa conta di completare entro settembre. Attar è convinto che, una volta operativo, il nuovo terminal darà nuova vita a tutta la zona.
Jenin è una città di circa trentamila abitanti con alle spalle le colline di Samaria (Cisgiordania settentrionale) e stesa davanti a lei la valle israeliana di Jezreel. Fino a tutta l’estate 2003 c’erano solo fertili campi a separare questa zona dai venticinque e più attentatori suicidi partiti da Jenin dall’ottobre 2000 in poi.
Ad Afula, città israeliana di quarantamila abitanti, non va altrettanto bene che ai suoi vicini rurali. Fino a poco fa, spiega il sindaco Meron, l’atmosfera era tetra. ”L’economia della città è stagnante, ma perlomeno stabile. La gente sta ancora cercando di superare le ferite, ma se non altro ora non hanno paura di saltare in aria in ogni momento”. Afula ha subito una mezza dozzina di attentati suicidi nell’arco di trenta mesi di violenze, con quindici morti e centinaia di feriti e mutilati. A un certo punto la stazione centrale degli autobus si era trasformata in una zona off limits, senza più passaggio di pedoni. L’ultimo attentatore ha colpito il 19 marzo 2003, nella via pedonale Ammakim. Alcune settimane dopo veniva completata la barriera fra Afula e Jenin, e da allora Afula non ha più subito un attentato.
Se ad Afula gli affari vanno ancora a rilento, intanto i furti sono scesi ai livelli più bassi da un decennio a questa parte. Un portavoce della polizia dice che il furto di veicoli privati e agricoli è crollato “principalmente perché non hanno più modo di portare la roba rubata nelle città palestinesi”.
“Con il calo del terrorismo, dei furti e dei clandestini, e con le Forze di Difesa israeliane che non devono più spingersi dentro Jenin ogni giorno, possiamo iniziare a rimettere insieme i pezzi”, dice Attar.
Il test del ministero della difesa sarà il Terminal Crossing Jalame da 30 milioni di shekel (ca. 5,4 m di euro), afferma un ufficiale durante una visita sul posto. Si tratta di un vasto complesso che dovrebbe essere pronto per il prossimo settembre: più un valico di frontiera che un check-point. Per la fine dell’estate dovrebbe dare lavoro a quattrocento abitanti della regione Gilboa. Con la sua apertura, a settembre, permetterà di far passare 2.800 palestinesi ogni ora attraverso i necessari controlli di sicurezza. Le sue strutture “connesse”, che permettono il passaggio di beni da camion palestinesi a camion israeliani, potranno gestire fino a quattrocento camion al giorno.
Se tutto va bene, conclude Attar, investitori e donatori aiuteranno a creare una zona industriale di più di 600 ettari che darà lavoro a diecimila palestinesi e a circa 2.500 israeliani. “Questo sì che potrebbe cambiare l’atmosfera in questa regione”. Ma ciò che conta, per Attar, è che “la barriera sta facendo il suo lavoro, salvando vite umane. E per questo sono contento”.

(Matthew Gutman su Jerusalem Post, 2.06.04)

Vedi anche:
La barriera e i suoi “effetti collaterali”

https://www.israele.net/sections.php?id_article=62&ion_cat=18