In democrazia la maggioranza è autorizzata a governare, ma deve anche ascoltare critiche e obiezioni

Se e quando necessarie, riforme fondamentali come quella del sistema giudiziario vanno fatte perseguendo il più ampio dialogo e consenso possibile

Editoriale del Jerusalem Post

Il ministro della giustizia israeliano Yariv Levin in conferenza stampa alla Knesset, a Gerusalemme, lo scorso 4 gennaio

Migliaia di israeliani sono scesi in pizza, sabato sera a Tel Aviv, per protestare con toni molto accesi contro la riforma giudiziaria proposta dal ministro della giustizia Yariv Levin, da alcuni persino definita una sorta di “colpo di stato”.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa sta realmente accadendo. Innanzitutto, al livello più basilare va sottolineato che il fatto stesso che si tenga una manifestazione come questa – e con ampia copertura mediatica – è un segno che la democrazia in Israele è viva e vegeta.

In secondo luogo, cosa importante, la riforma giudiziaria non è che giunga come un fulmine a ciel sereno. Nessuna sorpresa. Yariv Levin sta lavorando da anni alle sue idee circa la magistratura, e il Likud, che ha ottenuto il maggior numero di seggi nelle ultime elezioni, aveva inserito la riforma giudiziaria nel suo programma così come aveva fatto il partito Sionista Religioso, suo principale partner di coalizione. Le nomine promosse dal primo ministro Benjamin Netanyahu – Levin come ministro della giustizia, Amir Ohana come presidente della Knesset e Simcha Rothman a capo della Commissione costituzione, legge e giustizia della Knesset – confermano la sua intenzione: sono tre avvocati che da anni invocano riforme del sistema giudiziario.

Viene facile collegare tutta la faccenda della riforma giudiziaria ai problemi legali di Netanyahu, ma in realtà le voci che chiedono cambiamenti nel settore risalgono a molto prima. Da anni la destra è mobilitata contro quello che negli anni ’90 l’allora presidente della Corte Suprema Aharon Barak considerava il necessario “attivismo legale” in base al quale le Corti assumevano il potere di rovesciare leggi approvate dalla Knesset, a volte in nome di un indefinito principio di “ragionevolezza”. Man mano che le Corti diventavano più “attiviste”, cresceva la contro-reazione politica.

Quindi, sebbene sia perfettamente legittimo protestare – le persone devono sempre essere autorizzate a farlo, nelle democrazie – nessuno può onestamente affermare che non si sapeva che sarebbe successo.

Veduta aerea della sede della Corte Suprema d’Israele, a Gerusalemme

La riforma giudiziaria è stata parte integrante della campagna elettorale, e sia il Likud che il partito Sionista Religioso non hanno nascosto le loro intenzioni. Gli elettori sapevano che questo era il progetto. Quello che dovrebbero capire ora è che votare o non votare (o disperdere il voto) comporta delle conseguenze. In un sistema democratico ci sono dei vincitori, e quando i vincitori varano il loro governo, spesso acquisiscono l’autorità e la capacità di attuare i cambiamenti che perseguivano.

Tuttavia, ciò non significa che il governo debba semplicemente respingere ciò che l’opposizione ha da dire. La protesta di sabato scorso – che ha portato più di 10mila cittadini in piazza Habima a Tel Aviv – è solo un sintomo di come un segmento molto ampio della popolazione israeliana consideri queste riforme allarmanti e pericolose. Molti temono che l’abolizione dei necessari contrappesi possa determinare la perdita di diritti civili fondamentali (secondo il noto concetto di “dittatura della maggioranza” come possibile deriva patologica della democrazia). In combinazione, ad esempio, con le osservazioni estremiste fatte da alcuni membri del nuovo governo sulla comunità LGBT, queste preoccupazioni appaiono tutt’altro che infondate.

In questa prospettiva, è importante che la coalizione di governo riconosca il fatto che queste riforme giudiziarie sono estremamente rilevanti e delicate, giacché possono potenzialmente modificare il carattere dello stato di Israele e l’equilibrio tra i diversi poteri dello stato. Per questo la coalizione di governo, pur avendo numericamente la capacità di attuarle, è necessario che ne faccia oggetto di dibattito e di dialogo con tutti i diversi soggetti coinvolti. Un cambiamento così significativo e di vasta portata deve essere fatto prestando ascolto a tutti coloro che potrebbero essere interessati, assicurandosi che il minor numero possibile di persone si senta deprivato.

Levin ha affermato che la Commissione di Rothman terrà udienze e inviterà tutte le parti interessate e coinvolte a esprimere le proprie opinioni. Ci auguriamo che questo accada veramente. Più il governo coinvolgerà l’opinione pubblica, più facile sarà accettare il cambiamento.

Inoltre, esortiamo il governo ad essere aperto e disposto a modificare i suoi progetti. Respingere in toto le opinioni e preoccupazioni di una parte dell’opinione pubblica è proprio una delle cose che ha portato Israele a questo punto. Si faccia tesoro di questa esperienza e si intavoli un dialogo sincero, restando aperti ad accogliere indicazioni dall’altra parte. E’ questo che significa essere una democrazia.

(Da: Jerusalem Post, 9.1.23)