In Medio Oriente, la maggioranza silenziosa vuole la normalizzazione con Israele

Mentre Israele e paesi arabi costruiscono fiorenti relazioni, gli acerrimi nemici di ogni normalizzazione, che sia l'Iran o l'Isis, vengono gradatamente esclusi dalla scena. E diventano sempre più violenti

Di Emily Schrader

Emily Schrader, autrice di questo articolo

Israele ha subìto un’ondata di attacchi terroristici che ha causato la morte di undici innocenti [ad oggi 14 ndr], ed è diventato dolorosamente evidente che questi attentati prendono di mira tutti gli israeliani, ebrei e non ebrei. Oltre all’assassinio di sette israeliani ebrei, il bilancio delle vittime annovera anche due lavoratori ucraini, il poliziotto arabo cristiano Amir Khoury e l’arabo druso Yazan Falah, agente della polizia di frontiera.

Da questi tragici eventi si può trarre un’importante conclusione: i nemici della pace si sentono sempre più minacciati nel momento in cui le popolazioni di Israele e del Medio Oriente si muovono verso la riconciliazione e la pace. Molti fattori possono aver contribuito a scatenare i recenti atti di terrorismo, ma sicuramente non è un caso che un attentato perpetrato da terroristi schierati con l’Isis sia avvenuto contemporaneamente allo storico Vertice del Negev, che ha visto per la prima volta riuniti in Israele quattro ministri degli esteri di stati arabi.

I rapporti di Israele con il mondo arabo stanno diventando di giorno in giorno sempre più forti, con la firma quasi ogni settimana di nuovi accordi e memorandum d’intesa accademici, commerciali, tecnologici, turistici ed anche sulla difesa. In parte sono accordi basati su valori profondamente condivisi e reciprocamente vantaggiosi, in parte sono frutto di un’alleanza d’interessi contro l’Iran e i suoi attacchi violenti e destabilizzanti in tutta la regione. Mentre Israele e paesi arabi costruiscono fiorenti relazioni, gli acerrimi nemici di ogni normalizzazione – che si tratti dell’Iran o dell’Isis – vengono gradatamente esclusi dalla scena. Per una volta, la via del futuro in Medio Oriente non è l’estremismo, ma la cooperazione.

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E’ dal 1948 che Israele si batte per essere accettato da un mondo arabo che lo rigettava in gran parte a causa dell’ideologia panaraba (e panislamica), che usava cinicamente i palestinesi come semplici pedine politiche. La logica era che se il mondo arabo avesse continuato a rifiutare di avere relazioni o anche solo di riconoscere Israele (compreso il rifiuto di assistere e riabilitare i profughi palestinesi e i loro discendenti), ciò avrebbe creato un’enorme pressione su Israele, indebolendolo e isolandolo fino a quando il mondo arabo non fosse stato in grado di cancellarlo dalla carta geografica. Questa dottrina del rifiuto si è rivelata più dannosa e improduttiva per il mondo arabo e per i palestinesi che non per chiunque altro. Contro ogni previsione, Israele ha avuto grande successo. Ora, dopo più di settant’anni di una politica insensata e autolesionista, il mondo arabo sembra averne abbastanza.

Gli Accordi di Abramo non sono semplicemente un accordo di pace con Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan e Marocco. Sono il simbolo e la traduzione in pratica dell’accettazione contrapposta al rifiuto, dell’opzione per il progresso anziché per la stagnazione. L’effetto collaterale di questa svolta, tuttavia, è che gli estremisti si sentono sempre più messi alle corde. L’Iran e i suoi gregari, come gli Houthi nello Yemen e gli Hezbollah in Libano, diventano sempre più aggressivi e violenti, anche contro stati arabi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Allo stesso tempo, mentre la regione volta pagina, organizzazioni terroristiche come Hamas e Isis si sentono sempre più respinte.

Così, mentre era in corso il Vertice del Negev, gli estremisti hanno cercato di deragliare il convoglio della pace. Ma i loro attentati, per quanto strazianti e intollerabili, nei fatti hanno dimostrato che la nuova intesa di Israele con il mondo arabo è autentica. Per la prima volta si sono visti i ministri degli esteri di paesi arabi condannare immediatamente e senza mezzi termini gli atti di terrorismo contro israeliani, e parlare apertamente dell’importanza della pace fra le popolazioni per prevenire e fermare l’estremismo. Nei giorni successivi al summit del Negev, si è anche vista la Turchia condannare “con forza” il terrorismo contro Israele, nonostante anni di tensioni e di sostegno ai terroristi di Hamas, nonché la visita in Giordania del ministro della difesa Benny Gantz e del presidente d’Israele Isaac Herzog per incontrare re Abdullah.

Nello stesso tempo, un fenomeno analogo si sta verificando all’interno di Israele: la società israeliana e la generazione più giovane di arabi israeliani si muovono sempre più verso l’unità, man mano che va crescendo la consapevolezza che gli israeliani sono davvero un solo popolo e che coloro che ci attaccano, ci attaccano tutti indistintamente. Ciononostante, frange di estremisti nella società araba israeliana cercano di impossessarsi del discorso pubblico per dirottare e osteggiare questa realtà. E’ quello che è accaduto lo scorso maggio con i tumulti e gli scontri iter-etnici, ed è quello che accaduto l’altra settimana quando i terroristi non hanno esitato ad ammazzare anche loro concittadini arabi.

Naturalmente Israele deve fare tutto il possibile per bloccare questa ondata di terrorismo, ma abbiamo buone ragioni per nutrire fiducia poiché l’impeto della corrente continua a dirigersi nella direzione giusta, sia a livello regionale che all’interno di Israele. Il percorso verso la normalizzazione non è facile, ma a questo punto appare inesorabile.

La società israeliana è variegata e unica, composta da ebrei arabi e drusi, la stragrande maggioranza dei quali vuole essere israeliana e vivere insieme in pace. Col passare del tempo prevarrà la maggioranza silenziosa che sostiene la normalizzazione.

(Da: Jerusalem Post, 4.4.22)