In nome della pace, basta con la politica dei “pagati per uccidere”

L'Autorità Palestinese diffonde un messaggio molto chiaro: violenza e spargimenti di sangue pagano e arricchiscono, pace e riconciliazione no. La nuova legge israeliana punta a fermare questa assurdità

Di Elazar Stern

Elazar Stern, parlamentare di Yesh Atid, autore di questo articolo

Nel suo bilancio 2018, approvato a marzo dal presidente Abu Mazen, l’Autorità Palestinese ha destinato circa 360 milioni di dollari – pressappoco il 7% del suo budget – a due istituzioni che premiano terroristi condannati che scontano pene detentive in Israele, terroristi scarcerati e famiglie di terroristi: è quella che chiamiamo la politica del “pagati per uccidere”.

Quelle poche righe di bilancio apparentemente innocue, che potrebbero facilmente sembrare una banale questione amministrativa, vanno in effetti al cuore stesso del motivo per cui il conflitto israelo-palestinese non riesce a trovare una soluzione. Ciò che indicano quelle poche righe di bilancio, e i massicci fondi che vi stanno dietro, sostenuti da finanziamenti provenienti da tutto il mondo, compresi Stati Uniti e Israele, è che l’Autorità Palestinese, benché sostenga ufficialmente di perseguire la pace, in realtà finanzia e promuove il meccanismo del rifiuto violento e del conflitto interminabile, un conflitto che ha già mietuto troppe vite da entrambe le parti.

L’Autorità Palestinese e i suoi portavoce sostengono che questi fondi rispondono a bisogni sociali o di welfare, ma è falso. “Il programma chiaramente non è destinato alle famiglie più povere – ha dichiarato la Banca Mondiale – e il livello di risorse dedicate al Fondo per i Martiri non sembra giustificato da un punto di vista fiscale o assistenziale”. In effetti, il finanziamento non va ai più bisognosi sul piano socio-economico. Aumenta, invece, in modo incrementale e raccapricciante in base alla quantità di morti e distruzione che il terrorista riesce ad arrecare ai cittadini israeliani. Tutte le prove confermano chiaramente che i fondi vengono indirizzati ai terroristi e ai loro famigliari. Per esempio, al terrorista che l’anno scorso ha massacrato tre membri della famiglia Salomon, l’Autorità Palestinese finirà col versare, nel corso della sua vita, fino a 3 milioni e 478.000 dollari. Lascia sbalorditi il fatto che sovente il vitalizio versato ai terroristi è di molte volte superiore a ciò che riceverebbero come stipendio medio nei territori palestinesi.

Monumento a forma di “Palestina” (Israele è cancellato dalla carta geografica) eretto dall’Autorità Palestinese a Nablus nella piazza intitolata al terrorista Naif Abu Sharah, delle Brigate Martiri di al-Aqsa, responsabile fra l’altro del duplice attentato suicida che il 5 gennaio 2003 provocò la morte di 23 civili israeliani a Tel Aviv. L’immagine è tratta dal reportage del 17 luglio 2015 della tv Awdah di Fatah, il movimento che fa capo ad Abu Mazen

Per dirla in parole semplici, l’Autorità Palestinese dice alla sua gente in modo chiaro e forte che uccidere israeliani è letteralmente pagante. Per tutti coloro che perseguono speranzosi le possibilità di pace, questo aperto incentivo ad assassinare e mutilare costituisce, al di là di ogni considerazione morale, un ostacolo fondamentale. Esso spinge i palestinesi a garantirsi maggiore sicurezza economica uccidendo gli israeliani, assecondati e aizzati dai loro stessi leader. E agli occhi di moltissimi israeliani suona come la dimostrazione che i palestinesi non hanno alcun interesse alla pace, e che continueranno all’infinito la guerra contro di noi. L’Autorità Palestinese diffonde un messaggio molto chiaro: violenza e spargimenti di sangue pagano e arricchiscono, pace e riconciliazione no.

Per porre fine a questa assurdità, ho seguito le orme dei colleghi parlamentari americani che hanno recentemente approvato un disegno di legge, co-sponsorizzato al Senato, che prevede di bloccare gli aiuti economici degli Stati Uniti all’Autorità Palestinese fino a quando questa non modificherà le sue norme in modo che cessi il versamento di stipendi, attraverso il Fondo dei Martiri, a individui che commettono atti di terrorismo e alle famiglie dei terroristi morti commettendo attentati. Al disegno di legge è stato dato il nome di Taylor Force Act, dal nome di uno studente americano ferocemente ucciso a pugnalate da un terrorista palestinese nel 2016 a Tel Aviv. Poiché l’assassino di Taylor Force è morto nel corso dell’attentato, ai suoi parenti viene corrisposta una pensione mensile pari a diverse volte il salario medio mensile palestinese.

Ben venga il Taylor Force Act americano, ma in Israele non avevamo un dispositivo simile. Per questo mi sono fatto promotore di un disegno di legge che impone al governo israeliano di detrarre dalle tasse e tariffe che Israele riscuote per conto dell’Autorità Palestinese l’importo che l’Autorità Palestinese versa ai terroristi. La proposta è ora passata attraverso le tre letture alla Knesset ed è diventata legge.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in compagnia della terrorista Amana Muna, scarcerata nel quadro del ricatto palestinese per la liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit. Nel gennaio 2001 Amana Muna, con alcuni complici, sequestrò e uccise a sangue freddo il 16enne israeliano Ofir Rahum attirandolo in una trappola con profferte sessuali via internet.

Certo, la detrazione dei fondi non è prevista dal Protocollo di Parigi del 1994 sui rapporti economici tra Israele e palestinesi. Ma sono innanzitutto i premi in denaro ai terroristi a costituire una grave violazione di quel Protocollo. Di fatto, vanno esattamente nel senso opposto di quegli accordi, allontanando sempre più la prospettiva di una fine pacifica del conflitto. Gettano anzi benzina sul conflitto, spronando coloro che vogliono una guerra senza fine, con interminabili spargimenti di sangue.

La nuova legge può contare sul sostegno bipartisan dei parlamentari israeliani di sinistra e di destra, sia dell’opposizione che della coalizione di maggioranza, poiché punta a prevenire il terrorismo e a mantenere in vita le speranze di pace. Se in futuro i nostri vicini palestinesi cercheranno lealmente la pace, i fondi dedotti potranno immediatamente tornare all’Autorità Palestinese. Va quindi sottolineato che questa legge non è né una ritorsione né una punizione, bensì un incentivo alla pace. Continuo a credere fermamente che dobbiamo sostenere le istituzioni palestinesi pacifiche, e assicurarci che i nostri vicini palestinesi abbiano un futuro sicuro, prospero e pacifico, dove siano padroni del proprio destino. Speriamo sinceramente che questa legge possa essere un rimedio temporaneo e brevissimo, e che i 360 milioni di dollari vengano presto usati per rafforzare davvero il sistema sociale e di welfare palestinese e per promuovere e costruire istituzioni democratiche che possano gettare le basi di una soluzione pacifica tra le due nazioni.

(Da: Jerusalem Post, 3.7.18)

“Questa è una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese”, ha dichiarato martedì Nabil Abu Rudaineh, portavoce del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Rudaineh ha detto che l’Autorità Palestinese considera questa legge una “dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese, i suoi combattenti, i suoi prigionieri e i suoi martiri. E’ una linea rossa che nessuno può permettersi di superare”. Youssef Al-Mahmoud, portavoce del governo dell’Autorità Palestinese a Ramallah, ha affermato: “Quel denaro appartiene al popolo palestinese e questa legge ruba i soldi dei prigionieri e dei martiri, che per noi sono simboli di libertà e non devono essere in alcun modo danneggiati”. (Da: Jerusalem Post, YnetNews, 3.7.18)