Infrangere le regole

L’obiettivo di “Breaking the Silence” non è migliorare, bensì diffamare le Forze di Difesa israeliane

di Michael Dickson

image_2565Dall’ultimo rapporto appare chiaro che l’obiettivo di “Breaking the Silence” (Infrangere il silenzio) non è quello di portare davanti alla giustizia soldati che hanno commesso reati o anche solo incoraggiare riforme nella linea di condotta delle Forze di Difesa israeliane. Se questi fossero i loro obiettivi, i loro rapporti includerebbe nomi, gradi, fatti, luoghi e date, e avrebbero inoltrato un rapporto dettagliato alle autorità per promuovere indagini approfondite. Senza queste informazioni, invece, è semplicemente impossibile dimostrare la veridicità degli addebiti.
Gli sforzi messi in atto da questa organizzazione per screditare Israele sulla scena internazionale hanno successo. Nonostante il recente precedente costituito da altre accuse mosse contro le Forze di Difesa israeliane poi dimostrate infondate, e senza aspettare che si svolgesse alcuna indagine su tali accuse, molti mass-media ritenuti autorevoli, come la BBC, hanno deciso di riferire anche queste ultime accuse come se si trattasse di fatti comprovati. Evidentemente la denigrazione d’Israele è all’ordine del giorno.
“Breaking the Silence” è ingannevole sia sul suo nome che sui suoi scopi. Non c’è alcun silenzio da infrangere. Israele è una società democratica e aperta, che sottopone regolarmente a critiche anche aspre le sue proprie azioni. Ma questo rapporto unilaterale e lacunoso evita accuratamente di sottolineare il contesto della guerra: una battaglia contro terroristi di Hamas che si fanno scudo dei civili. E omette nomi, gradi e fatti relativi ai soldati e alle vicende che essi riferiscono.
Gli autori del rapporto sono lieti di ingraziarsi i loro finanziatori, fra i quali spudoratamente compaiono il ministero degli esteri danese, l’ambasciata britannica a Tel Aviv, Christian Aid e Oxfam, due enti di beneficienza che già in passato hanno lanciato campagne anti-israeliane al vetriolo, nonché l’Unione Europea che ha donato a “Breaking the Silence” 75.000 dollari per “contribuire a un’atmosfera di rispetto dei valori e diritti umani” e “promuovere prospettive per colloqui e iniziative di pace”. L’Unione Europea inganna i suoi contribuenti se dice loro che i soldi versati per finanziare questo grossolano rapporto aiutano davvero a promuovere la pace.
Se i membri di “Breaking the Silence” fossero onesti avrebbero incluso nel loro rapporto una accurata descrizione di fatti relativi al terrorismo, agli obiettivi esplicitamente dichiarati nella Carta di Hamas, sui sanguinosi lanci di razzi dalla striscia di Gaza, sulla continua istigazione all’odio contro Israele e sui modi con cui i palestinesi hanno contribuito a perpetuare il conflitto rovinando la vita dei comuni civili palestinesi. Se fossero onesti, renderebbero conto dei dilemmi etici che le Forze di Difesa israeliane si trovano costantemente ad affronteggiare. Invece tutti questi indispensabili elementi di contesto mancano completamente dal loro resoconto.
In risposta a questo genere di rapporti, la nostra organizzazione si è messa a videoregistrare testimonianze e a metterle on-line su un sito web chiamato “Soldiers Speak Out” (I soldati prendono la parola): una piattaforma per soldati israeliani che desiderano condividere le loro personali esperienze di guerra con il resto del mondo. Il sito, creato da soldati per mettere in comune le loro esperienze, contiene una serie di testimonianze di soldati assai diverse da quelle di presunta mal condotta riportate da “Breaking the Silence”.
Quel che infrange “Breaking the Silence” non è il silenzio, bensì le buone norme di qualunque serio rapporto. Il loro resoconto è composto da “testimonianze” anonime rese da una trentina di persone. Per contro, i soldati che compaiono sul nostro sito testimoniano davanti alla telecamera senza oscurare il volto e parlano delle loro esperienze personali dirette, non di ciò che avrebbero sentito dire.
Le Forze di Difesa israeliane contano più di 700.000 cittadini in armi, fra soldati di leva e riservisti, migliaia dei quali hanno prestato servizio nella controffensiva anti-Hamas nella striscia di Gaza dello scorso gennaio: tutte persone che cercano di tener fede all’alto standard etico delle forze israeliane. Tentare di infangare tutta una campagna delle Forze di Difesa israeliane sulla base di alcuni resoconti anonimi è semplicemente ridicolo.
È altamente improbabile che i mass-media internazionali offrano al sito “Soldiers Speak Out” la stessa pubblicità che hanno regalato a “Breaking the Silence”. Quando si tratta di Israele, le buone notizie non fanno notizia. Tuttavia, come è accaduto nelle occasioni precedenti, e nonostante coloro la cui ragion d’essere è diffamare le Forze di Difesa israeliane, alla fine la verità verrà fuori.

(Da: Jerusalem Post, 20.07.09)

Nella foto in alto: la homepage del sito (in inglese) www.soldiersspeakout.com