Insistere con l’imbroglio dei finti profughi non aiuta la pace né gli stessi palestinesi

La definizione di profugo usata dall’Unrwa rasenta l’assurdo e alimenta all’infinito rancore, conflittualità, irresponsabilità e rivendicazioni irrealizzabili

Editoriale del Jerusalem Post, David Harris

L’ingresso di un tunnel per infiltrazioni terroristiche nascosto sotto aiuti Unrwa

La decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi all’Unrwa, l’agenzia Onu al servizio dei profughi palestinesi, è stata giustamente approvata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Come ha detto Netanyahu, il trattamento dei palestinesi da parte dell’Unrwa è “uno dei problemi principali che perpetuano il conflitto”.

Negli ultimi anni, ad esempio, ci sono stati diversi casi di dipendenti e strutture Unrwa che hanno ospitato terroristi, diffuso istigazione all’odio nei libri di testo e altri materiali e persino ospitato rampe per lanciare razzi contro Israele. Ma al di là del fatto che il sistema Unrwa sia stato sfruttato dai terroristi, è il suo stesso mandato ufficiale che gioca un ruolo centrale nel perpetuare il mito dei profughi palestinesi e la loro rivendicazione del “diritto al ritorno”.

Al contrario di tutti gli altri profughi del mondo che sono serviti dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), i profughi palestinesi hanno una loro agenzia Onu speciale, l’Unrwa. La definizione di profugo seguita dall’Unrwa è diversa da quella dell’UNHCR ed è talmente ampia che usare il termine “profugo” per la maggior parte delle persone a carico dell’Unrwa rasenta l’assurdo. Secondo l’Unrwa, i profughi palestinesi non sono solo le persone che sono fuggite da questa terra durante la guerra d’indipendenza d’Israele del 1948 e che devono ancora essere reinsediate. “Profughi” sono anche tutti i discendenti dei profughi originari, in linea paterna, senza alcun limite nel numero di generazioni: il che significa che un palestinese nato questa settimana può essere considerato “profugo” di una guerra combattuta 70 anni fa. Non basta. La definizione Unrwa comprende anche persone che hanno acquisito, magari da più generazioni, la cittadinanza di altri paesi. E comprende anche persone che vivono in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, cioè nella stessa terra da cui dovrebbero essere fuggiti: persone che in qualunque altra situazione analoga sarebbero considerati tutt’al più “sfollati interni”. Considerare “profughi” tutti costoro significa gonfiarne il numero all’inverosimile e rafforzare la loro pretesa di godere di un inesistente “diritto” al ritorno, cioè a stabilirsi all’interno del sovrano stato di Israele.

Palestinesi ricevono la razione mensile di farina gratuita in un centro di distribuzione Unrwa nel campo di Rafah, nel sud della striscia di Gaza

L’ex parlamentare israeliana Einat Wilf, che ha pubblicato quest’estate un libro in ebraico intitolato La guerra del diritto al ritorno, stima che solo l’1% dei 5,3 milioni di palestinesi registrati dall’Unrwa corrisponda effettivamente alla definizione generale di profugo usata dall’Onu. Ci scrive: “2,1 milioni vivono in Cisgiordania e Gaza, quindi in Palestina; 2,2 milioni sono cittadini giordani; in Siria e in Libano la cifra di un milione è gonfiata per 4 e di essi, solo fra i 10 e i 30mila fuggirono dalla guerra”. In altre parole, l’Unrwa sta imbrogliando il mondo da quando è stato fondata, nel 1949, e in 69 anni di attività non è riuscita a fare ciò che l’UNHCR fece in dieci anni per i milioni di profughi generati dalla seconda guerra mondiale.

L’infinita serie di rimostranze palestinesi, e il loro sostegno da parte di una comunità internazionale che finanzia acriticamente l’Unrwa, sono le chiavi del perché il conflitto si perpetua. Non è realistico aspettarsi che i palestinesi abbandonino le loro aspirazioni nazionali. Ma fintantoché esibiscono un vittimismo perpetuo, e naturalmente gonfiano i “crimini” israeliani oltre misura, continueranno a considerarsi totalmente non responsabili rispetto al tentativo di migliorare la loro vita. E il mondo, d’accordo, ne alimenta le illusioni e li sostiene in questa prospettiva senza sbocchi. Come si può pensare che i palestinesi possano impegnarsi nella costruzione del loro stato se rifiutano di assumersi la responsabilità per se stessi e continuano a tendere la mano per ricevere aiuti dal mondo?

Esiste la legittima preoccupazione che il ritiro dei finanziamenti Usa all’Unrwa possa destabilizzare la Cisgiordania. E’ una preoccupazione reale, ma di corto respiro. Bisogna invece considerare il ruolo giocato dall’Unrwa nei decenni di conflitto in corso. Il fatto che gli Stati Uniti, per lungo tempo il maggior donatore all’Unrwa, si stiano tirando fuori invia un messaggio molto forte. Come ha detto al Jerusalem Post un alto ufficiale delle Forze di Difesa israeliane, “forse qualcosa di buono ne verrà fuori e i palestinesi impareranno a mantenersi e a non fare sempre affidamento sugli altri per tutto ciò di cui hanno bisogno”. A cominciare dai “finti” profughi.

(Da: Jerusalem Post, 2.9.18)

David Harris

Scrive David Harris: Tragicamente, gli annali della storia registrano innumerevoli profughi. Solo nel XX secolo, decine di milioni di profughi, se non di più, furono costretti a trovare una nuova sistemazione: vittime di guerre mondiali, modifiche di confini, trasferimenti di popolazione, demagogia politica e patologie sociali. Il trattato di Losanna del 1923 formalizzò lo scambio di popolazione tra greci e turchi per un totale di oltre 1,5 milioni di persone. Un enorme numero di indù e musulmani si spostò a causa della divisione del sub-continente in due nazioni indipendenti: India e Pakistan. Milioni di profughi impossibilitati a tornare nei rispettivi paesi furono creati come conseguenza dei dodici anni di Terzo Reich e della sua cruenta disfatta. Enorme fu l’esodo da Cambogia, Laos e Vietnam dopo la vittoria delle forze ribelli e comuniste. I flussi di profughi generati dalle guerre civili e tribali in Africa sono costanti. Gli yemeniti sono stati espulsi dall’Arabia Saudita a centinaia di migliaia durante la prima guerra del Golfo a causa del sostegno dato dallo Yemen all’Iraq di Saddam Hussein. Innumerevoli musulmani bosniaci e kosovari sono fuggiti, o sono stati espulsi, a causa dell’aggressione serba. E abbiamo ricordato solo la punta dell’iceberg. Personalmente, non devo guardare lontano per capire le incessanti crisi di profughi dei nostri tempi e i traumi che hanno generato. Mia madre, mio padre e mia moglie erano tutti profughi. Ma invece di crogiolarsi nel vittimismo, o di consumarsi nell’odio e nei sogni di vendetta, hanno ricominciato la loro vita, grati ai nuovi paesi d’adozione che glielo hanno reso possibile.

Lo scorso maggio, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) ha contato 19,9 milioni di profughi sotto la sua giurisdizione, provenienti in maggioranza da Siria, Sud Sudan, Somalia, Sudan e Repubblica Democratica del Congo. In oltre cinquant’anni, l’UNHCR stima d’aver aiutato 50 milioni di profughi “a ricominciare la propria vita”. Eppure, tra tutti i profughi del mondo, vi è un gruppo – gli arabi palestinesi – che è trattato in modo completamente diverso. In effetti, la Convenzione sui profughi del 1951 esplicitamente non si applica ai palestinesi, che ricadono invece sotto le cure di un’agenzia Onu specifica ed esclusiva, l’Unrwa. Non esiste un organismo Onu equivalente per nessun altra comunità di profughi al mondo. Anche la definizione di profugo sotto il mandato dell’Unrwa è unica: copre senza limiti tutti i discendenti dei profughi originari (laddove l’UNHCR solo in alcuni casi riconosce come profughi i discendenti dei profughi, più che altro nel quadro della politica di non-divisione dei nuclei famigliari): questo spiega come mai il numero di profughi a carico dell’Unrwa, anziché diminuire col tempo, dal 1950 in poi si è quintuplicato. Inoltre, a differenza dell’UNHCR, l’Unrwa non cerca mai di reinsediare i profughi palestinesi nei paesi ospite o in paesi terzi: essa si limita a fornire servizi assistenziali e sociali, mantenendoli in pratica in un limbo perpetuo per un numero illimitato di generazioni.

Mappa delle rivendicazioni palestinesi (Israele è cancellato dalla carta geografica) appesa in una scuola gestita dall’Unrwa. A destra, la stessa mappa coperta da un telo in occasione della visita dell’allora Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon (fonte: agenzia palestinese Ma’an, 28.6.16) – clicca per ingrandire

Nonostante le lacrime di coccodrillo che versano sulla sorte dei “fratelli palestinesi”, i paesi arabi (anche quelli petroliferi) sono stati tra i donatori più avari dell’Unrwa: affermano che non è loro responsabilità prendersi cura di profughi creati da decisioni di altri (in realtà, dalla guerra che loro scatenarono contro Israele). Finora i primi cinque donatori dell’Unrwa sono stati i governi degli Stati Uniti e dell’Europa.

A tal proposito, è appena il caso di ricordare che questo trattamento speciale viene riservato solo ai palestinesi considerati vittime del conflitto arabo-israeliano. Durante la prima guerra del Golfo del 1991, quando il Kuwait cacciò via da un giorno all’altro 400mila palestinesi per il loro presunto sostegno all’Iraq di Saddam Hussein (in realtà, il sostegno a Saddam dei loro dirigenti), non ci fu un gran reazione da parte della comunità internazionale. Più recentemente, un gran silenzio ha accompagnato la cacciata di migliaia di palestinesi a causa della guerra civile siriana. E dove sono le proteste per il fatto che in Libano, con la sua numerosa popolazione palestinese a carico dell’Unrwa, il governo da lungo tempo impone severe restrizioni al diritto dei palestinesi di possedere proprietà e di lavorare in numerosi campi?

Dunque, ci troviamo di fronte a qualcosa senza eguali e senza precedenti. I palestinesi non sono certo la prima popolazione di profughi al mondo, ma la loro dirigenza sembra essere la prima che si oppone a qualunque soluzione praticabile e a lungo termine. Si consideri: nel 1947 l’Onu propose un piano a due stati per rispondere a due rivendicazioni nazionali in competizione fra loro. Gli ebrei lo accettarono, gli arabi lo rifiutarono: nel linguaggio dell’Onu, “lo stato arabo proposto non riuscì a concretizzarsi”. Se fosse andata diversamente sarebbero sorti due stati e, con un po’ di fortuna, avrebbero imparare a convivere. Per inciso, a tutt’oggi il concetto di due stati rimane la soluzione più plausibile del contenzioso. Invece, la parte araba scatenò la guerra. C’è mai stata una guerra senza profughi? Eppure, con uno stupefacente ribaltamento dei rapporti causa-effetto, è Israele che viene incolpato per i profughi generati dalle ostilità scatenate da cinque paesi arabi. Nel frattempo, il conflitto arabo-israeliano generava un numero persino un po’ maggiore di profughi ebrei dal mondo arabo (e dall’Iran). Essi, tuttavia, si sono trasferiti e reinsediati altrove, con poca fanfara e senza alcuna attenzione da parte delle Nazioni Unite.

Quindi, per un preciso disegno, i profughi palestinesi e i loro discendenti vennero tenuti nei campi dell’Unrwa affinché servissero da memoria perenne della provvisorietà della loro condizione (e, per logica conseguenza, della provvisorietà dello stato d’Israele). Spronati a concentrare il loro odio su Israele e a credere che un giorno “torneranno”, è stata negata loro ogni concreta possibilità di rifarsi una nuova vita. E sono stati cinicamente usati per creare e alimentare il più grande ostacolo al raggiungimento della pace: la fantasia palestinese di porre fine alla sovranità ebraica in Israele.

Anche ora, 13 anni dopo che Israele si è completamente ritirato dalla striscia di Gaza, sorprendentemente oltre 500mila palestinesi di Gaza continuano a vivere nei campi dell’Unrwa. Come è possibile? Palestinesi che vivono in una regione della Palestina dove sono nati e cresciuti e che è sotto regime palestinese, ma vengono considerati “profughi” a tutti gli effetti (lo stesso si può dire di numerosi campi “profughi” che si trovano in Cisgiordania sotto giurisdizione dell’Autorità Palestinese).

I palestinesi sono tra i maggiori beneficiari al mondo di aiuti pro capite, ma buona parte di tale assistenza finisce nelle tasche dei funzionari palestinesi, che poi vanno in giro a chiedere più fondi per la loro gente negletta. È la stessa logica perversa di Hamas che denuncia le carenze energetiche, e intanto manda i suoi terroristi a colpire o incendiare gli impianti israeliani che forniscono elettricità alla striscia di Gaza.

L’intero processo è favorito da un accurato e ben finanziato apparato Onu, che comprende l’Unrwa e non solo, messo in piedi dalla maggioranza degli stati membri “a sostegno i palestinesi”. Per contro i curdi, ad esempio, che sono titolari di una rivendicazione di sovranità difficilmente contestabile, o i ciprioti, che vivono da decenni su un’isola spaccata in due dall’occupazione turca, non hanno nessun organismo paragonabile delle Nazioni Unite dedicato alla loro causa.

Questo non vuol dire che i palestinesi abbiano avuto una vita facile. Tutt’altro. Ma è vero che i loro capi e dirigenti, con la complicità di troppi, hanno escogitato una delle più formidabili e riuscite operazioni di depistamento della storia. Anziché reinsediare i profughi, hanno spudoratamente sfruttato loro e i loro discendenti. Qui sta la tragedia irriducibile e il cuore stesso di un conflitto pluridecennale.

(Da: Times of Israel, 30.8.18)

Pur con alcune eccezioni, di norma l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati considera profughi solo i figli minori di coloro che hanno lo status di profughi. “Per quante generazioni può andare avanti, invece, la definizione di profugo dell’Unrwa? – ha chiesto al Dipartimento di Stato Steve Rosen, direttore di Middle East Forum, citato da Foreign Policy – Io sono ebreo, e come nipote di profughi da diversi paesi posso forse avanzare rivendicazioni su tutti questi paesi? Dove finisce? Un giorno tutta la vita sulla Terra sarà fatta di profughi palestinesi?”.
La definizione Unrwa – ricorda Foreign Policy – appare anche in conflitto con la Legge degli Stati Uniti sullo status derivato di profugo, che consente ai coniugi e ai figli dei profughi di richiedere lo status di profugo come status derivato, ma specificamente esclude che i nipoti siano eleggibili per lo status di profugo derivato. In altre parole, la legge degli Stati Uniti non consente ai discendenti dei profughi di ottenere lo status di profugo negli Stati Uniti.