Intanto in Siria i nodi vengono (pericolosamente) al pettine

Lo spietato approccio di Mosca e Damasco rischia di causare una nuova crisi umanitaria che travalicherebbe presto i confini del paese

Di James Dorsey

James Dorsey, autore di questo articolo

L’incapacità dei politici occidentali di adottare un approccio che serva gli interessi di sicurezza a lungo termine dell’Europa in Siria e cerchi di porre fine ai nove anni di sofferenze di quel paese secondo modalità che possano portare a una soluzione sostenibile del conflitto, è aggravata dall’incapacità di approfittare di quella che è sempre stata un’alleanza fragile tra la Russia e la Turchia, paese membro della Nato. Con questa alleanza sotto pressione sia in Siria, dove la Russia ha avvertito che non può garantire la sicurezza dei jet turchi nello spazio aereo siriano, sia in Libia dove i due alleati sostengono fazioni opposte, svariati conflitti regionali hanno iniziato ad aggrovigliarsi.

Secondo alcuni analisti, la Russia sta cercando di ottenere in Siria il sostegno dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti in modo da poter scaricare la Turchia, con la quale è sull’orlo dello scontro militare. I due stati del Golfo si oppongono alle ambizioni turche in Medio Oriente e oltre. Questi analisti sottolineano i recenti contatti tra rappresentanti emiratini, russi e siriani e l’instaurarsi di relazioni tra la Siria e la forza libica ribelle capeggiata dal comandante Khalifa Haftar e sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Russia. Le varie manovre costituiscono variazioni su questo tema.

Nei primi anni della guerra interna siriana la comunità internazionale, Russia inclusa, fece ben poco per impedire a gruppi militanti e potenze regionali di fomentare le violenze sfruttando il vuoto di potere nel paese per il loro tornaconto immediato. Le cose sono cambiate in maniera selettiva quando lo Stato Islamico (Isis) ha conquistato territorio in Siria e in Iraq. Allo stesso modo, più di recente gran parte della comunità internazionale ha erroneamente pensato che una vittoria del regime siriano a Idlib, ultima roccaforte dei ribelli in Siria, avrebbe creato un fatto compiuto che la Turchia avrebbe accettato e che avrebbe aperto la strada alla fine della guerra civile e alla ricostruzione. In entrambi i casi né la Russia né i suoi detrattori hanno visto ciò che in Siria era sotto gli occhi di tutti, perché non sono stati capaci di prestare attenzione al profondo malcontento che ribolle sul terreno: lo stesso malcontento che non hanno saputo vedere in altre parti del Medio Oriente benché abbia prodotto un decennio di rivoluzioni e brutali contro-rivoluzioni.

Oltre l’80% dei 900mila siriani sfollati di recente a Idlib sono donne e bambini, secondo dati di fine febbraio dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati

Ciò che iniziò nel 2011 nella forma di proteste pacifiche che chiedevano riforme è sfociato, in Siria, in una richiesta popolare di rovesciamento del presidente Bashar Assad: un tentativo sospinto da militanti e potenze esterne. Nove anni dopo, la condanna del regime è molto diffusa tra una popolazione impoverita e traumatizzata dalla guerra. Anziché cercare di creare un’atmosfera orientata alla riconciliazione e alla ricostruzione, l’esercito siriano sostenuto dalla Russia ha strappato territori ai ribelli con la forza bruta o mediante cessioni negoziate ma non accompagnate da un alleviamento delle sofferenze economiche e sociali. Questo approccio ha scatenato un ulteriore ciclo di intermittenti proteste antigovernative e il conseguente inasprimento della repressione. Molte critiche internazionali si concentrano sull’incapacità del regime siriano di migliorare le condizioni economiche e di vita delle persone. Ma come nei primi giorni della rivolta popolare, preferiscono non vedere la richiesta di un cambio di regime.

È altamente improbabile che una vittoria militare russo-siriana metta la Siria sulla strada di una soluzione di pace e della ripresa. Il fatto trova conferma in un rapido sondaggio da cui risulta che meno del 10% dei milioni di profughi e sfollati interni siriani sarebbe disposto a tornare o rimanere in un paese che continui ad essere governato da Assad e dal suo regime. Di conseguenza, la Russia e Assad sembrano aver adottato una politica da terra bruciata che emula la feroce repressione russa delle ribellioni in Cecenia negli anni ’90. “La Russia ha capito che non può tradurre le sue vittorie militari in vantaggi politici permanenti attraverso la diplomazia entro la prevedibile durata residua del regime. E così ha deciso di adottare la ‘dottrina Grozny’ del completo annientamento di tutti coloro che ostacolano i suoi obiettivi strategici e di spegnere il conflitto prima che il regime collassi”, ha detto l’attivista siriano Labib Nahhas facendo riferimento alla capitale cecena che fu praticamente distrutta dalle forze russe: un approccio che vìola il diritto internazionale in quanto non tiene in alcun conto le conseguenze sui civili innocenti di Idlib né il fatto che molte di quelle persone, lungi dal sostenere il gruppo Hayat Tahrir al-Sham, già affiliato ad al-Qaeda, che controlla parte di quella provincia, in realtà hanno ripetutamente protestato contro di esso.

L’approccio russo potrebbe anche innescare una nuova crisi di profughi verso l’Europa, con la Turchia che non trattiene più i siriani e gli altri rifugiati in fuga che cercano di attraversare i suoi confini con la Grecia e la Bulgaria, cioè con l’Unione Europea. La Russia probabilmente vedrebbe di buon occhio una ripetizione della crisi di profughi del 2015 che ha alimentato in Europa il sostegno a forze di estrema destra, anti-immigrazione e nativiste che sono in sintonia con lo sforzo di Mosca di indebolire sia l’Alleanza transatlantica sia l’Unione Europea con i loro valori occidentali di democrazia, diritti umani e stato di diritto.

Anche in questo caso, la politica russa verso Idlib e il resto della Siria produrrà verosimilmente solo risultati problematici: garantire la vittoria totale di Assad rischia di innescare una rottura con la Turchia, un soggetto-chiave della regione, e di precludere le possibilità di una soluzione sostenibile del conflitto siriano che consenta il rientro volontario di profughi e sfollati. Uno scenario alternativo insostenibile sarebbe quello di un accordo russo-turco per stipare tre milioni di profughi in una minuscola enclave di Idlib in condizioni semplicemente disumane. Come ha osservato Nahhas, “quella catastrofe umanitaria che è Idlib dimostra che la lezione della seconda guerra mondiale è ancora valida: l’appeasement (accondiscendenza ndr) verso dittatori disposti a trucidare un numero enorme di persone non funziona mai. Se ancora una volta l’Europa non farà tesoro di questa lezione, non saranno solo i siriani a pagarne il prezzo”.

(Da: jns, 2.4.20)