Intifada per principianti

La recente serie di aggressioni anti-israeliane è la semplice routine operativa palestinese

Di Hagai Segal

Hagai Segal, autore di questo articolo

Hagai Segal, autore di questo articolo

Opinionisti, commentatori ed esperti della difesa, in servizio attivo o in pensione, dibattono alacremente chiedendosi se la recente ondata di aggressioni terroristiche anti-israeliane configuri o meno una “nuova intifada”. Non ci sarebbe da stupirsi se presto della questione venisse investita un’apposita commissione parlamentare. C’è chi sospetta che l’establishment della politica e della difesa stia cospirando per nasconderci l’esistenza di una “terza intifada” e reprimerla senza dircelo. Sebbene non sia ben chiaro che vantaggio dovrebbe trarne il famoso establishment, il pubblico esige ordine e chiarezza: se c’è un’intifada, che lo si dica subito e la si mostri.

Eden Atias, 19 anni, di Nazareth Illit, accoltellato a morte il 13 novembre 2013 mentre dormiva su un autobus, ad Afula

Eden Atias, 19 anni, di Nazareth Illit, accoltellato a morte il 13 novembre 2013 mentre dormiva su un autobus, ad Afula

Beh, che volete farci, al momento non c’è nessuna intifada. Come una colomba non fa primavera di pace, così un attacco terroristico al giorno – o anche due, o tre – non annuncia necessariamente un’intifada. La serie di violente aggressioni che abbiamo visto dipanarsi sin dall’inizio dell’offensiva di pace di John Kerry costituisce semplicemente la routine operativa palestinese. Di tanto in tanto i “combattenti” palestinesi entrano in un cessate-il-fuoco temporaneo, per riposarsi o per riequipaggiarsi, ma la loro condizione normale è quella della lotta continua. Tra l’altro, in quanto colono veterano posso testimoniare che le nostre auto e i nostri autobus vengono presi a sassate e a lanci di molotov più spesso durante l’inverno che durante l’estate: le notti più lunghe garantiscono ai nostri vicini di casa una più estesa finestra di opportunità per rompere finestrini e parabrezza dei veicoli degli ebrei ed essere poi inghiottiti dal buio, realizzando così i loro disgraziati propositi del tutto indipendentemente dalla situazione politica o dai grafici delle attività edilizie negli insediamenti ebraici. Semplicemente praticano questa sorta di sport: tormentare gli ebrei. Più un’olimpiade che una vera intifada.

L’autobus di Bat Yam su cui il 22 dicembre 2013 un viaggiatore ha individuato un ordigno in tempo perché l’autista facesse scendere tutti i passeggeri evitando una strage

L’autobus di Bat Yam su cui il 22 dicembre 2013 un viaggiatore ha individuato un ordigno in tempo perché l’autista facesse scendere tutti i passeggeri evitando una strage

L’altezza delle fiamme deriva dalla possibilità, non dalla volontà. La volontà c’è sempre. Ecco perché, da Oslo in poi, le Forze di Difesa israeliane si sono sempre adoperate, anche durante i cosiddetti periodi di calma, per evitare che egli ebrei entrino dei territori sotto controllo dell’Autorità Palestinese: i comandanti dell’esercito sanno bene che l’aspettativa di vita di un ebreo diventa drammaticamente più breve non appena entra a Ramallah, a Nablus o in qualsiasi altro luogo in cui i terroristi hanno meno paura di essere raggiunti dalle nostre forze di sicurezza. Se per assurdo domani i servizi di sicurezza israeliani dovessero entrare in sciopero, le brigate di terroristi suicidi tornerebbero immediatamente a devastare le città del piccolo Israele. Non verrebbero certo fermate da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che non è violento come Arafat ma come lui fa di tutto per evitare di dover proclamare la fine del conflitto. E i suoi mass-media continuano a soffiare sul fuoco dell’odio che alimenta gli attacchi terroristici.

Quand’è che un’ondata di aggressioni terroristiche raggiunge le dimensioni di un’intifada? Quando le masse si uniscono ai circoli della violenza permanente. Per il momento le masse palestinesi preferiscono andare a lavorare. Gli sta bene così: si godono la relativa prosperità economica, una libertà di movimento senza precedenti e un parlamento indipendente che hanno eletto loro. La famosa disperazione palestinese esiste solo nell’immaginazione degli altri.

Salah Shukri Abu Latyef, 22 anni, della città arabo-beduina di Rahat, ucciso il 24 dicembre 2013 da un cecchino palestinese mentre lavorava alla riparazione dei danni causati dal maltempo alla recinzione di confine fra Israele e striscia di Gaza

Salah Shukri Abu Latyef, 22 anni, della città arabo-beduina di Rahat, ucciso il 24 dicembre 2013 da un cecchino palestinese mentre lavorava alla riparazione dei danni causati dal maltempo alla recinzione di confine fra Israele e striscia di Gaza

Quando un terrorista solitario uccide un soldato che dorme su un autobus ad Afula, o accoltella alla schiena un poliziotto all’incrocio Adam di Gerusalemme nord, o cerca di far saltare in aria un autobus a Bat Yam, non è per via dell’occupazione: è per via dell’antico inveterato odio verso Israele, che ha avuto inizio molto prima del 1967 e che non finirà il giorno in cui John Kerry si guadagnerà un Premio Nobel per la Pace.

Il dato di fatto è che da lungo tempo non vi è occupazione della striscia di Gaza, ma la scorsa settimana un operaio israeliano è stato colpito a morte da un cecchino che ha fatto fuoco da lì. Per la famiglia della vittima non farà alcuna differenza se l’establishment della difesa dichiarerà o meno l’esistenza di una nuova intifada.

(Da: YnetNews, 30.12.13)