Iran: riciclaggio e finanziamenti al terrorismo

Banche e privati devono conoscere i rischi che corrono facendo affari con Teheran

Da un articolo di Michael Jacobson

image_1804Mentre gli Stati Uniti premono per una più forte risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sull’Iran, il Dipartimento del Tesoro continua la sua estesa campagna internazionale volta a gettar luce sulle illecite attività finanziare di Teheran. Una campagna che, benché abbia conseguito qualche significativo successo, sarebbe assai più incisiva se Washington non restasse l’unica voce a denunciare il rischio che le fraudolente pratiche iraniane pongono al sistema finanziario globale.
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo alti funzionari del Tesoro americano sono andati in giro per il mondo illustrando ai loro interlocutori nei vari ministeri delle finanze e nel settore privato l’ampia gamma delle ingannevoli attività finanziarie iraniane. Fra queste: l’uso iraniano di società di facciata; le frequenti richieste da parte di banche di proprietà dello stato iraniano di rimuovere il loro nome dalle transazioni finanziarie; il coinvolgimento di queste stesse banche nel programma missilistico e nucleare iraniano e nel finanziamento di attività terroristiche.
Alla luce di tutto questo, il Tesoro americano sostiene che fare affari con l’Iran è in se stessa un’impresa ad alto rischio che alla fine può provocare gravi danni d’immagine a coloro che intrattengono rapporti con quel regime. Grandi istituti finanziari internazionali si sono dimostrate sensibili all’indicazione di Washington. Secondo il Tesoro americano, alcune istituzioni globali, come le svizzere UBS e Credit Suisse e la britannica HSBC, hanno sospeso o seriamente ridotto i loro affari con l’Iran, verosimilmente spinte a questa decisione sia dal rischio per la loro reputazione, sia dalla prospettiva d’essere escluse dal mercato Usa.
Purtroppo il Tesoro non ha avuto successo a tutto campo. Recenti rapporti indicano che banche minori stanno iniziando a subentrare là ove le maggiori si ritirano, e un certo numero di istituti finanziari hanno smesso di effettuare con l’Iran solo le transazioni in dollari. Vi sono inoltre numerosi altri tipi di società tuttora ansiose di entrare in affari con Teheran nonostante gli avvertimenti americani.
Uno dei motivi per cui il Tesoro Usa non ottiene risultati su scala più vasta deriva dal fatto che Washington è rimasta sola a diffondere questo importante messaggio sui rischi per il sistema finanziario internazionale. Gli avvertimenti americani hanno un peso notevole, ma esistono molte società e istituzioni finanziarie che non fanno affari con gli Stati Uniti e dunque non si curano molto dell’irritazione che potrebbero suscitare in America. Per avere maggiore impatto, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare un ente multilaterale o un organismo internazionale a colmare questo vuoto, rafforzando il messaggio americano.
Un organismo che sarebbe ben posizionato per farlo è la Financial Action Task Force, con sede a Parigi: un ente internazionale relativamente poco conosciuto, ma potenzialmente assai efficace, che punta a stabilire standard globali nella lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Avviata dal G7 del 1989, la Financial Action Task Force (FATF) conta 31 paesi membri, fra i quali Stati Uniti e Commissione Europea.
Attraverso la sua attuale presidenza britannica, la FATF potrebbe fare pressione per includere l’Iran sulla lista nera. Si tratta di una pratica che in passato la FATF ha utilizzato regolarmente e con efficacia. Fino a poco tempo fa la FATF ha curato una lista di “paesi e territori che non cooperano”. Scopo della lista era quello di indicare i paesi che non adottano misure adeguate per combattere il riciclaggio del denaro e il finanziamento del terrorismo al fine di “ridurre la vulnerabilità del sistema finanziario”.
L’Iran merita sicuramente un posto su quella lista. Il sistema bancario iraniano non è dotato di alcun significativo sistema di controllo anti-riciclaggio. Sforzi iraniani per contrastare il finanziamento del terrorismo non se ne vedono del tutto, cosa che certo non stupisce in un paese che tutti gli esperti descrivono come “la banca centrale del terrorismo”, e dove il sostegno ai gruppi terroristici è politica ufficiale ed esplicita del governo.
In realtà le istituzioni finanziare di proprietà dello stato iraniano concorrono a promuovere le attività illecite del governo di Teheran. Ad esempio, la Bank Saderat è implicata nel trasferimento di fondi a gruppi terroristici, e la Bank Sepah garantisce servizi finanziari a sostegno del programma balistico iraniano.
Essere messo sulla lista della FATF costituirebbe un duro colpo per il regime degli ayatollah. Figurare su quella lista comporta in generale due effetti. Primo, esercita una forte pressione sul paese implicato affinché migliori le sue politiche anti-riciclaggio e anti-finanziamento del terrorismo. Secondo, mette in allerta tutto il settore privato sui rischi d’impresa associati con quella particolare giurisdizione.
Nel caso dell’Iran, ritrovarsi su quella lista ben difficilmente lo porterebbe ad effettuare i necessari cambiamenti nel suo sistema. Tuttavia la cosa potrebbe contribuire ad esercitare un’ulteriore pressione economica su Teheran, rendendo riluttante il settore privato dal fare affari con quel paese.
In queste condizioni le istituzioni finanziare, sempre molto sensibili alla propria reputazione, sarebbero particolarmente poco disposte a fare affari con l’Iran come niente fosse. In effetti, le istituzioni finanziare sono specificamente invitate dalla FATF a “prestare particolare attenzione ai rapporti d’affari e alle transazioni” con enti appartenenti alle giurisdizioni che figurano nella lista nera.
Se l’Iran fosse incluso nella lista, l’esperienza insegna che molti governi si adeguerebbero mettendo a loro volta l’Iran sulle loro liste nere interne, il che potrebbe avere un impatto significativo, soprattutto se dovessero agire in questo senso i principali partner dell’Iran in Europa e in Asia. Anche le istituzioni e le società finanziare poco disposte a tener conto degli avvertimenti della FATF e degli Stati Uniti sarebbero assai meno propense ad ignorare le dichiarazioni delle loro agenzie di supervisione nazionale.
L’abuso da parte dell’Iran del sistema finanziario per promuovere i pericolosi obiettivi di quel regime dovrebbe suscitare preoccupazione non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutti coloro che hanno la responsabilità di proteggere la sicurezza e l’integrità del sistema finanziario globale.

(Da: Jerusalem Post, 30.07.07)

Nella foto in alto: Michael Jacobson, autore di questo articolo, professore del Washington Institute for Near East Policy, già consigliere dell’Office of Terrorism and Financial Intelligence del Tesoro americano