Iraq. Se la guerra va male, deve essere colpa degli ebrei

Ancora una volta, sono gli ebrei che controllano tutto il mondo.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_230Il generale Anthony Zinni dice che George Bush e Richard Cheney sono stati “sequestrati” dai “neocons” che li hanno spinti alla guerra. Vanity Fair titola il suo articolo più lungo “Neoconned [imbrogliati dai neocons]: la via verso la guerra”. E l’ex senatore Ernst Hollings scrive che l’unica spiegazione della guerra in Iraq è “la politica di Bush in difesa di Israele”.
Nessuna sottigliezza: qui siamo di fronte a una delle forme più classiche di anti-ebraismo. Più o meno consapevolmente, ciò che viene fatto è riproporre una pagina dei Protocolli dei Savi di Sion, per “svelare” ancora una volta che sono gli ebrei controllano tutto il mondo. Indipendentemente da ciò che si pensa della politica estera americana, l’antisemitismo deve essere individuato per quello che è, e denunciato come qualunque altra forma di pregiudizio.
Hollings adesso protesta che accusarlo di “stereotipi anti-ebraici e capri espiatori è ridicolo”. Se è così, allora perché non ha fatto alcun cenno al ben più vasto numero di ebrei consiglieri e membri dello staff della Casa Bianca ai tempi di Clinton? O al fatto che lui stesso, benché del partito democratico, abbia votato a favore dell’intervento in Iraq?
Il fatto che fanatici come Hollings (un ex segregazionista) non riescano più a contenersi non è solo pericoloso, è anche istruttivo. Fa parte del generale fenomeno della ripresa dell’antisemitismo dopo l’11 settembre, e ci dice che l’antisemitismo è un termometro assai sensibile dello situazione della guerra contro il terrorismo e dunque della prognosi per i destini dell’occidente. La jihad crea un clima adatto all’antisemitismo, e viceversa. Più gli jihadisti sembrano in risalita e le democrazie in ritirata, più dobbiamo attenderci una crescita dell’antisemitismo.
L’antisemitismo e i suoi derivati non sono solo sintomi della jihad, essi ne sono direttamente al servizio. Quale modo migliore per delegittimare la guerra che l’America combatte per difendersi che quello di sostenere che in realtà sta facendo tutto questo solo per difendere Israele? Lo sforzo di dividere America e Israele è sia un obiettivo di principio sia uno strumento della jihad.
C’è una grade spaccatura fra chi ritiene che la strada per la pace e la stabilità del Medio Oriente passi per Gerusalemme, e chi ritiene che passi per Bagdad. Il “processo di pace” pre-11 settembre, e la linea araba e dei suoi sostenitori, sono stati dominati dalla prima interpretazione, quella per cui Israele sarebbe la madre di tutti i problemi e risolvere la questione palestinese sarebbe la madre di tutte le soluzioni. La dottrina di Bush mette in dubbio questo concetto. In realtà, dice questa nuova interpretazione, l’11 settembre non ha nulla a che vedere con i palestinesi (a parte forse il fatto che i palestinesi hanno dimostrato quanto posa essere tragicamente efficace il terrorismo suicida), mentre ha molto a che vedere con la palude di dispotismo che si è lasciato incancrenire in un’intera regione del globo arretrata ed estremista. E’ vero che i “neocons” sono stati in prima linea nel sostenere questo argomento. Ma la discussione se la stabilità sia meglio garantita accondiscendendo al dispotismo dei regimi arabi o cercando piuttosto di cambiare le politiche mediorientali che ci hanno portato all’11 settembre non è una discussione ebraica o israeliana: è una questione strategica fondamentale per il mondo di oggi e di domani.
Di più. Dopo l’11 settembre, la discussione non dovrebbe nemmeno essere attorno all’opportunità o meno di trasformare i regimi arabi. La discussione dovrebbe essere su come farlo. C’è ancora qualcuno che se la sente di sostenere che regimi dispotici, estremisti e sostenitori del terrorismo non sono un problema che debba essere affrontato?
E’ perfettamente legittimo discutere su quanto alte o basse debbano essere le aspettative circa le prospettive di democrazia nel mondo arabo, e sui modi per ottenerla. Così come c’è molto da discutere su quale sia il modo più adatto per costringere regimi estremisti come Iran e Siria a scegliere tra abbandonare il terrorismo o perdere al potere.
Il dibattito su “chi ha perso in Iraq” dovrebbe essere sostituito dal dibattito su come vincere, e non solo in Iraq ma contro tutta la rete dispotico-terroristica che attanaglia la regione. Coloro che insistono a dire che l’abbattimento di Saddam Hussein era irrilevante per gli interessi dell’occidente dovrebbero spiegare come si possa affrontare, per non dire sconfiggere, il terrorismo continuando con la politica pre-11 settembre che fingeva di non vedere i regimi, e dava la caccia ai terroristi come una normale azione di polizia.
Gli antisemiti sono affetti da una sorta di miopia, diciamo così, che li porta a vedere ebrei dietro a tutto ciò che odiano nel mondo. Non sorprende che questa gente abbia una visione altrettanto distorta della guerra in corso, della posta in gioco e della necessità, per non dire del modo, di vincerla. Inutile ascoltarli.

(Da: Jerusalem Post, 1.06.04)

Nell’immagine in alto: edizione egiziana dei Protocolli dei Savi di Sion