Irresponsabilità palestinese

L’arte di incolpare Israele per le bollette palestinesi fatte pagare ai contribuenti occidentali.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3634L’Autorità Palestinese si trova attualmente impantanata in una crisi finanziaria che si è in gran parte auto-inflitta e che è così grave che potrebbe portare a quella che un alto esponente di Fatah ha recentemente definito una “esplosione popolare”. Purtroppo, però, anziché adottare misure responsabili per cercare di porre rimedio a tale situazione, l’Autorità Palestinese preferisce ricorrere alla collaudata tattica di dare tutta la colpa a Israele.
Il mese scorso, ad esempio, Ahmed Assaf, portavoce di Fatah, ha sostenuto che la crisi finanziaria è conseguenza della decisione del governo israeliano di requisire il gettito di tributi e dazi palestinesi. All’incirca negli stessi giorni il primo ministro dell’Autorità Palestinese, Salam Fayyad, esortava i palestinesi a lanciare quella che definiva una “intifada economica” contro Israele e a boicottare tutti prodotti israeliani. Ciò che i capi palestinesi hanno convenientemente evitato di dire è che il gettito fiscale “espropriato” da Israele è stato usato per pagare i debiti in sospeso dei palestinesi verso la Società Elettrica Israeliana. La Società Elettrica Araba di Gerusalemme, che fornisce l’elettricità ai palestinesi, compra energia dalla Società Elettrica Israeliana. Ma non la paga. Come ha ricordato il corrispondete per gli affari palestinesi del Jerusalem Post Khaled Abu Toameh, i palestinesi – soprattutto quelli nei campi profughi – o evitano di pagare la bolletta dell’elettricità (così come quella dell’acqua e altre bollette municipali) o la rubano direttamente. (Cosa ci stiamo a fare, poi, dei “campi profughi” palestinesi in un territorio palestinese gestito da diciotto anni dall’Autorità Palestinese è un’altra questione su cui meriterebbe riflettere.)
Evidentemente, per via di un ipertrofico senso dei diritti acquisiti, molti palestinesi ritengono che la comunità internazionale e in particolare i contribuenti europei e americani debbano pagare tutte le loro bollette. Altri, giustamente diffidenti per la corruzione dei funzionari dell’Autorità Palestinese, non vogliono vedere sperperare i loro sudati guadagni.
Intanto l’Autorità Palestinese continua a non fare nessuno sforzo per far rispettare la legge, specialmente nei quartieri detti “campi profughi”. Al contrario, con il sostegno di Fayyad ha deciso di annullare tutte le bollette per l’energia elettrica non pagate dai palestinesi che vivono in Cisgiordania. Nel frattempo Fayyad si è scagliato contro Israele per aver osato recuperare i debiti dei palestinesi verso la Società Elettrica Israeliana.
Un altro fattore completamente sotto controllo palestinese che aggrava la crisi finanziaria è l’enorme ammontare dello spreco nel bilancio dell’Autorità Palestinese, finanziato quasi interamente dai donatori internazionali, in particolare dai contribuenti americani ed europei. Ogni mese, ad esempio, l’Autorità Palestinese invia 120 milioni di dollari nella striscia di Gaza controllata da Hamas. La maggior parte di questi soldi serve per pagare gli stipendi di circa 8.000 dipendenti dell’Autorità Palestinese (di Fatah) che vivono nella striscia di Gaza (sotto Hamas) e che stanno a casa senza lavorare. Questa pratica, che ha il solo scopo di mantenere una presenza dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza, è in vigore sin dal violento golpe di Hamas a Gaza del 2007.
Intanto, l’altra settimana, Fatah ha speso più di un milione di dollari per le celebrazioni del 48esimo anniversario dell’“avvio della rivoluzione”, cioè del suo primo attacco terroristico contro Israele.
I palestinesi sono stanchi dell’ipocrisia degli alti esponenti dell’Autorità Palestinese che invocano il boicottaggio di Israele. Fayyad, ad esempio, vive con la famiglia nella parte est di Gerusalemme e gode di tutti i servizi municipali garantiti dall’amministrazione israeliana. Come ha documentato Abu Toameh, alti funzionari dell’Olp e di Fatah fanno shopping nei negozi israeliani e utilizzano servizi israeliani sia in Cisgiordania che in Israele. Perché mai i circa 40.000 palestinesi con permesso di lavoro in Israele e le altre decine di migliaia che guadagnano facendo affari con Israele dovrebbero seguire l’appello di questi capi a lanciare un boicottaggio? Farlo non farebbe che aggravare la situazione economica.
Anziché imboccare la strada dell’auto-governo accettando di assumersi la responsabilità per la propria situazione, Fayyad e gli altri capi palestinesi hanno optato ancora una volta per la collaudatissima strada del vittimismo. Evidentemente i leader palestinesi in Cisgiordania pensano di poter deviare la rabbia e la frustrazione della piazza palestinese indirizzandola ancora una volta verso Israele. Speriamo che si sbaglino. Sebbene sappiamo che, se l’attuale dirigenza palestinese venisse cacciata a grande richiesta popolare, il candidato più papabile per riempire il vuoto di potere sarebbe Hamas.

(Da: Jerusalem Post, 6.1.13)

Nella foto in alto: il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad e il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen)