Israele – 60 anni: Nascita e sviluppo di una stampa libera

La storia della stampa ebraica in Terra d’Israele inizia quasi un secolo prima della nascita dello Stato

M. Paganoni per NES n. 3, anno 20 - marzo 2008

image_2046In Israele amano narrare l’aneddoto di quell’ambasciatore straniero di fresca nomina che si era recato dal presidente per presentare le credenziali. Nel bel mezzo dell’incontro il presidente guardò l’orologio, si scusò, accese la radio e ascoltò per pochi minuti. “E’ successo qualcosa di grave?”, gli chiese l’ambasciatore appena spenta la radio. “No – rispose il presidente – E’ che se non ascolto le news, sono a disagio per un’ora fino al prossimo notiziario”.
In effetti chi visita il paese rimane spesso colpito dalla fame di notizie di cui sembrano costantemente affetti gli israeliani di ogni estrazione: un’antica abitudine consolidatasi dapprima con la carta stampata, che ancor oggi vanta uno dei tassi di lettori adulti più alti al mondo, affiancata e superata negli ultimi decenni da radio e tv. “Qohelet ha scritto che nulla è mai nuovo sotto il sole – nota Rami Tal, direttore di Yediot Books – ma evidentemente gli israeliani non ne sono convinti”. E il resto del mondo sembra dar loro ragione: in proporzione alle ridotte dimensioni, Israele è il più grande “produttore di news”, grazie anche alla presenza stabile di uno dei più folti contingenti di reporter stranieri del pianeta.
La storia della stampa ebraica in Terra d’Israele inizia quasi un secolo prima della nascita dello Stato, addirittura prima del movimento sionista. Il primo settimanale in ebraico, Halevanon, uscì infatti a Gerusalemme nel 1863, seguito dopo solo sei mesi dal settimanale Hahavatzelet: neanche a dirlo, in feroce polemica col primo.
Nel 1885, per opera di Eliezer Ben-Yehuda, vede la luce il settimanale Hatzvi (poi Hashkafa), più orientato verso le notizie e l’uso del moderno ebraico parlato. Con la Seconda Aliyah nascono i primi periodici legati ai movimenti politico-ideologici, ma è ancora Ben-Yehuda che dà vita nel 1910 al primo quotidiano, Ha’or, e nel 1918 figura tra i fondatori di Hadashot Ha’aretz (oggi, Ha’aretz), allora di orientamento liberale, oggi voce ipercritica della élite liberal israeliana (Menahem Begin una volta disse, tra il serio e il faceto: “L’ultimo governo che Ha’aretz ha sostenuto è il mandato britannico”).
Il primo quotidiano della sinistra laburista è Davar, che nasce nel 1925 come organo del sindacato Histadrut e che accompagnerà tutta la parabola della stampa di partito israeliana fino al suo esaurimento (cessa le pubblicazioni nel 1994). Quando viene fondato lo Stato, esistono in Israele almeno sette testate di partito, fra le quali basterà ricordare Al Hamishmar del Mapam (chiuso nel 1995) e Hatzofeh di Agudat Israel (dal 2003 fuso con Makor Rishon).
Il progetto di una stampa non-ideologica a larga diffusione si concretizza invece nel 1939 con la nascita di Yedioth Ahronoth, dagli anni ’70 il quotidiano più venduto in Israele. Nel frattempo, nel 1932, era nato il Palestine Post (dal 1950, Jerusalem Post), quotidiano in inglese a diffusione assai più limitata, ma influente perché tradizionalmente letto da diplomatici, politici e giornalisti stranieri. Tre mesi prima della nascita dello Stato viene fondato Ma’ariv, il secondo importante quotidiano indipendente d’Israele, da allora e sino ad oggi grande competitor di Yedioth.
A partire dagli anni ’70 assumono sempre maggiore peso radio e televisione. Nel 1968 iniziano le trasmissioni tv della Israeli Broadcasting Authority. Dopo la guerra di Yom Kippur, la radio Kol Israel passa da tre a più di venti notiziari al giorno. Galei Zahal, la radio delle forze armate (nonostante quanto ci si potrebbe aspettare, un’emittente molto professionale, spregiudicata e seguita dai giovani) è la prima che adotta la pratica di interrompere la programmazione con le “breaking news”.
Negli anni ’80, parallelamente alla crisi della stampa di partito, vengono introdotte le pagine locali, i formati tabloid e l’uso del colore, tutti fattori che incrementano l’interesse economico e pubblicitario dei grandi quotidiani indipendenti. Nel 1990 esce Globes, il “Sole 24 Ore israeliano”. Ma soprattutto sono gli anni che vedono affermarsi uno stile giornalistico sempre più battagliero e disinvolto, ai limiti dell’invadenza, con una scrittura diretta e tagliente, talvolta quasi brutale.
Nel 1993 alla tv di Stato (Canale Uno), si affianca la prima tv commerciale (Canale Due), mentre l’offerta televisiva viene straordinariamente ampliata dall’introduzione della tv via cavo che porta nelle case CNN, BBC, Sky News e decine di altre emittenti straniere, dando ulteriore impulso alla concorrenza e alla vitalità del sistema informativo. Al panorama si è aggiunta di recente la rete internet: uno strumento su cui gli israeliani, popolo avvezzo e appassionato al dibattito pubblico, si sono buttati in modo massiccio.
Il giornalismo israeliano ha sempre cercato di conformarsi ai canoni della stampa democratica: maggior accuratezza possibile nel riportare le notizie, ampia gamma di punti di vista nei commenti, indipendenza rispetto alle istituzioni politiche. Caratteristiche che i giornalisti cercarono di mantenere, con accesi dibattiti interni, anche nel quadro della stampa di partito, che tuttavia non poteva che funzionare come portavoce di una particolare posizione politica, con forti accenti pedagogici.
Le durissime condizioni in cui Israele nasce e difende la propria indipendenza, unite all’atteggiamento dirigista allora prevalente, si tradussero negli anni ’50 in forti pressioni da parte delle autorità per un controllo sulle notizie “sensibili”. Il conflitto fra le esigenze della libertà d’informazione e il rischio concreto di mettere a repentaglio la sicurezza del paese produsse un istituto su base volontaria, unico nel suo genere, che teoricamente esiste ancora oggi: un comitato dei direttori dei quotidiani che si riuniva regolarmente per ricevere dall’establishment della Difesa informazioni anche molto delicate a patto che ne venisse concordata l’eventuale pubblicazione. Il sistema, basato su una sorta di gentlemen agreement fra giornalisti e militari, garantì per molti anni un accettabile equilibrio fra funzione di controllo della stampa e tutela della sicurezza in tempi di guerra, seppure in qualche misura a scapito del giornalismo investigativo e di denuncia. Ma entrò in crisi con la guerra del 1973, dopo la quale i giornalisti si rimproverarono amaramente d’aver avallato la richiesta dell’apparato militare di non denunciare i pericoli di attacco nemico alla vigilia di quel fatidico Yom Kippur.
Oggi la stampa israeliana è una delle più vivaci, dinamiche e libere del mondo; fortemente tutelata, fra l’altro, da una serie di sentenze della Corte Suprema a favore della libertà d’espressione. Accade ancora che il potere politico cerchi di esercitare qualche influenza, ma in modo molto più cauto e indiretto che un tempo. Si sono avute ancora forme di collaborazione fra stampa e governo su temi particolarmente delicati, ad esempio per non compromettere l’immigrazione clandestina di ebrei in pericolo. Ma quello che oggi prevale è senz’altro un giornalismo investigativo che non conosce santuari, e che spesso “sbatte in prima pagina” scandali veri o presunti della vita pubblica e politica. Interessante notare, comunque, il mantenimento di alcune norme etiche non banali, come quella di non pubblicare i nomi delle vittime di guerra e terrorismo prima che siano avvertite le famiglie, o quella di non pubblicate foto truculente degli attentati, generalmente considerate insopportabili forme di “pornografia del sangue”.
“Complessivamente – conclude Rami Tal – lo sviluppo e la situazione attuale della stampa israeliana rispecchia fedelmente l’evoluzione dalla società ebraica in Terra d’Israele, mutata nell’arco di sessant’anni da una piccola comunità fortemente ideologizzata, di estrazione europeo-orientale, assediata e aggredita, a uno Stato consolidato, con una cultura politica matura e una consuetudine ormai radicata nei principi e nei modi delle democrazie occidentali”.