Israele alle elezioni. Di nuovo

La 22esima Knesset si è sciolta a termini di legge, ma il terzo voto anticipato in meno di un anno non dà alcuna garanzia di sbloccare lo stallo dei veti contrapposti

Israele alle elezioni. Di nuovo

A meno di improbabili sorprese dell’ultimissimo minuto, per la prima volta nella sua storia Israele andrà a una terza tornata di elezioni anticipate nell’arco di dodici mesi, prolungando una situazione di stallo politico che paralizza le attività di governo e minaccia di compromettere la fiducia di molti cittadini nel processo istituzionale democratico.

Sia il primo ministro Benjamin Netanyahu che il suo principale sfidante, il leader del partito Blu&Bianco Benny Gantz, ribadiscono da settimane di voler risparmiare al paese un’altra costosa campagna elettorale destinata verosimilmente a produrre risultati molto simili alle due precedenti elezioni del 9 aprile e del 17 settembre. Ma nessuno dei due ha ceduto sulle condizioni fondamentali che pone per arrivare a un accordo sulla condivisione del potere. La recente incriminazione di Netanyahu su tre presunti casi di corruzione e abuso d’ufficio ha aggiunto un ulteriore elemento che complica la vicenda.

Dopo le elezioni dello scorso settembre, sia Netanyahu che Gantz hanno ricevuto dal presidente Reuven Rivlin l’incarico di formare il nuovo governo, ma entrambi non sono riusciti a raccogliere il necessario consenso di 61 parlamentari (su 120) entro i termini di tempo previsti dalla legge israeliana. Dopo un’ulteriore finestra finale di tre settimane prevista dalla legge durante la quale non è emerso fra i parlamentari nessun possibile candidato sostenuto da almeno 61 firme, lo scioglimento della 22esima Knesset è apparso inevitabile. Entrambe le parti hanno detto che si stavano adoperando fino all’ultimo minuto per trovare una via d’uscita dalla situazione di stallo. Tuttavia, a poche ore dalla scadenza della mezzanotte di mercoledì, una svolta sembrava ormai altamente improbabile e le due formazioni hanno concordato l’approvazione-lampo di una legge che indice le elezioni per lunedì 2 marzo 2020.

Yohanan Plesner: “L’intero apparato decisionale è bloccato e ciò comporta ampie conseguenze a tutto campo”

Data la profonda divisione fra i due maggiori campi della politica israeliana, non vi è alcuna garanzia che la terza tornata elettorale possa spezzare il ciclo di instabilità ed elezioni anticipate che tiene in scacco il paese dall’anno scorso. La terza campagna elettorale costerà miliardi all’economia israeliana. Ma un costo ben più salato, sottolinea Yohanan Plesner, presidente Israel Democracy Institute, è quello dovuto a quasi 18 mesi di governi di ordinaria amministrazione che non possono promuovere importanti riforme, approvare nomine ai vertici né varare leggi di bilancio. “L’intero apparato decisionale è rimasto bloccato e ciò comporta ampie conseguenze a tutto campo – spiega Plesner – Gli israeliani sono frustrati per il fatto di non vedere risultati decisivi. Ma c’è anche una diffusa consapevolezza che ci troviamo in una situazione unica e senza precedenti, con un primo ministro molto popolare all’interno del suo elettorato, ma anche incriminato per gravi reati”.

Teoricamente la via più semplice per uscire dallo stallo sarebbe che il partito centrista Blu&Bianco di Gantz formasse un governo di unità nazionale con il Likud di Netanyahu. Insieme, controllano una solida maggioranza di 65 seggi alla Knesset. Ma il partito di Gantz si rifiuta di entrare in un governo con Netanyahu finché non si è chiarita la sua posizione legale riguardo alle incriminazioni. Netanyahu, dal canto suo, fa di tutto per poter condurre la sua battaglia legale dalla posizione di primo ministro e ha insistito per essere il primo a ricoprire la carica nel caso di un accordo sulla rotazione della leadership. Netanyahu si rifiuta di abbandonare la sua alleanza con i partiti di destra e ultra-ortodossi (a loro volta incompatibili con il partito laicista di Avigdor Lieberman) coi quali conta di ottenere l’immunità parlamentare. Secondo la legge israeliana, i membri del parlamento non godono di immunità automatica, ma possono richiederla all’apposita Commissione parlamentare.

I partiti della 22esima Knesset: voti in cifra assoluta e percentuale, numero di seggi, variazione rispetto alla Knesset precedente (clicca per ingrandire)

Gantz si è sempre detto disponibile ad un accordo di colazione con il Likud purché guidato da un leader che non fosse Netanyahu. Finora, tuttavia, Netanyahu è riuscito a rintuzzare ogni tentativo di rimpiazzarlo all’interno del suo partito, dove peraltro è stato apertamente sfidato da un solo personaggio, Gideon Sa’ar. “Se sarò eletto a capo del Likud lo porterò alla vittoria – ha dichiarato Sa’ar martedì, citando i sondaggi che gli attribuiscono maggiori probabilità di costruire una coalizione stabile – È molto chiaro, d’altra parte, che se andiamo avanti come adesso non otterremo una posizione migliore di quella che abbiamo ottenuto nelle ultime due elezioni”. Ma tutte le altre figure chiave del Likud continuano a sostenere Netanyahu che pertanto, allo stato attuale, non sembra aver molto da temere dalle primarie (previste per il 26 dicembre).

Sul piano strettamente legale Netanyahu non è tenuto a dimettersi da primo ministro per via delle incriminazioni. Ma la legge israeliana è meno chiara sul fatto che gli possa essere conferita l’autorità di formare un nuovo governo dopo le prossime elezioni. Il procuratore generale Avichai Mandelblit, già duramente criticato da entrambe le parti (per opposte ragioni) durante il lungo iter che ha portato alle incriminazioni formali di Netanyahu, avrà ora anche il compito di pronunciarsi su tale complessa questione, suscettibile di infiniti ricorsi.

Stando ai più recenti sondaggi d’opinione, se si terranno nuove elezioni esse produrranno assai probabilmente una impasse simile a quella attuale. Il leader del partito Israel Beytenu, Avigdor Lieberman, un ex alleato di Netanyahu, è emerso come un caparbio ago della bilancia che si rifiuta di appoggiare uno solo dei due candidati senza peraltro riuscire a convincerli a stare insieme in un governo di unità nazionale. Liberman, tradizionalmente su posizioni nazionaliste di destra, si è guadagnato un inedito sostegno nei circoli liberali per la sua dura posizione contro i partiti ultra-ortodossi, che esercitano una grande influenza nei governi Netanyahu. Ma si è anche preso molte critiche come uno dei principali responsabili dell’insormontabile stallo.

(Da: YnetNews, 11.12.19)