Israele (di nuovo) in campagna elettorale. Si potrà superare lo stallo politico?

Ufficialmente presentate le liste, tra alcune importanti conferme e alcuni cambiamenti altrettanto importanti

Ronen Hoffman, professore di scienze politiche presso l’IDC di Herzliya, intervistato in questo articolo

Il primo agosto era l’ultimo giorno utile per la presentazione delle liste. Ora Israele vi avvia verso le sue seconde elezioni politiche in meno di un anno, dopo che la scorsa primavera non è risultato possibile varare un governo.

La composizione delle liste registra alcuni elementi di continuità, ma anche significativi cambiamenti, in gran parte attesi. Se da un lato i due maggiori partiti delle precedenti elezioni – il Likud e Kahol Lavan (Blu-Bianco) – si ripresentano praticamente uguali a prima, fra le altre liste sono avvenute diverse fusioni (e alcune mancate fusioni) che potrebbero incidere sul risultato delle elezioni del 17 settembre rispetto a quelle dello scorso 9 aprile. “Per come appaiono le cose in questo momento – dice a JNS Ronen Hoffman, ex membro della Knesset e professore di scienze politiche presso l’IDC di Herzliya – sembra che si andrà incontro a un altro stallo, senza nessuno veramente in grado di dichiarare vittoria subito dopo le elezioni”.

Il partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu, che aveva ottenuto 35 seggi nelle ultime elezioni ma che al momento i sondaggi danno a 30 seggi, è rimasto sostanzialmente lo stesso anche se si è unito a Kulanu (“Tutti noi”) del ministro delle finanze Moshe Kahlon, che aveva rischiato di rimanere al di sotto del soglia d’ingresso del 3,25 %. Ma la novità più grossa è quella registrata alla destra del Likud, dove ha avuto luogo una fusione significativa che potrebbe aumentare le chance di Netanyahu di creare una futura coalizione di governo, ma potrebbe anche sottrarre voti al suo partito. La formazione Nuova Destra (HaYamin HeHadash), che alle elezioni del 9 aprile aveva mancato per soli 1.400 voti il quorum minimo per entrare alla Knesset, si è unita a Casa Ebraica/Unione Nazionale (HaBayit HaYehudi/HaIhud HaLeumi) per formare il partito della Destra Unita (HaYamin HaMeuhad).

La 21esima Knesset eletta il 9 aprile 2019 (clicca per ingrandire)

“Fin dall’inizio ho detto che la persona alla guida di questo blocco deve essere quella che porta il maggior numero di voti, indipendentemente dal suo background, e tutti i sondaggi dicono che io porterò alla lista il maggior numero di voti”, aveva dichiarato in precedenza a JNS Ayelet Shaked, ex ministra della giustizia, ora a capo di Destra Unita. Al momento i sondaggi attribuiscono al nuovo blocco un numero di seggi a doppia cifra, il che è già di per sé un risultato dato che alle ultime elezioni Casa Ebraica/Unione Nazionale aveva ottenuto solo cinque seggi e Nuova Destra non ne aveva ottenuto nessuno. La nuova aggregazione promette di sostenere Netanyahu come primo ministro (ma la 43enne Ayelet Shaked è considerata una stella in ascesa che potrebbe avere anche altre ambizioni). La fusione che invece non ha avuto luogo è stata quella con l’estrema destra (spesso definita kahanista) di Otzma Yehudit (Forza ebraica), che nelle elezioni di aprile faceva parte dell’Unione dei Partiti dell’Ala Destra (Ihud Miflagot HaYamin) ma è rimasta esclusa dalla nuova coalizione della Destra Unita.

I due partiti ultra-ortodossi – Ebraismo Unito della Torà (Yahadut HaTora HaMeuhedet, askenazita) e Shas (sefardita) – che complessivamente vengono accreditati di 15-16 seggi, non hanno apportato cambiamenti significativi alle loro liste. Hanno dichiarato di sostenere Netanyahu come primo ministro, anche se recentemente hanno fatto intendere che sarebbero disposti a prendere in considerazione anche Benny Gantz (l’ex capo di stato maggiore, leader di Blu-Bianco) qualora i risultati delle elezioni gli dessero il vantaggio necessario per formare un governo.

Da sinistra a destra: Ayelet Shaked, Naftali Bennett, Bezalel Smotrich e Rafi Peretz annunciano la nascita del blocco Destra Unita

Sommando i seggi che attualmente i sondaggi attribuiscono alle formazioni che prediligono Netanyahu come capo del governo si arriva attorno ai 55-58 seggi: non ancora abbastanza per arrivare a 61, la maggioranza minima necessaria (su 120 parlamentari) per formare un governo. E qui entra in scena il partito Israel Beiteinu (“Israele nostra casa”) di Avigdor Lieberman, che sembra avere in mano la chiave di ciò che accadrà dopo le elezioni. Ad aprile aveva ottenuto cinque seggi. Ora, benché abbia presentato esattamente la stessa lista per le elezioni di settembre, i sondaggi lo danno a circa 10 seggi. Risulterebbe dunque premiata la decisione “laicista” di Lieberman di non aderire al governo proposto Netanyahu dopo le ultime elezioni, impuntandosi su alcune questioni legate al rapporto stato/religione (tra cui la proposta di legge sulla leva obbligatoria dei giovani haredim, ultra-ortodossi): decisione che fu determinante per il fallimento della nuova maggioranza e la riconvocazione delle elezioni. Lieberman, tradizionalmente parte della destra israeliana, ha annunciato che i suoi seggi (probabilmente a due cifre) non sono cementati nel campo di Netanyahu. Come ha detto a JNS il parlamentare Oded Forer, numero 2 di Lieberman, “dal nostro punto di vista l’unica opzione è una unità nazionale d’emergenza e un governo liberale retto da Likud, Israel Beiteinu e Blu-Bianco. La vera domanda importante è che tipo di governo sarà, non chi sarà il primo ministro. Pertanto sosterremo il primo leader che aderisca con noi a questo impegno per un governo di unità nazionale. Per noi nessuno dei leader di questi tre partiti, Netanyahu Gantz o Lieberman, è inadeguato a fare il primo ministro”. La coalizione prospettata da Lieberman metterebbe fuori gioco le estreme di destra e sinistra e i partiti religiosi. Tuttavia, il fatto che né Netanyahu né Gantz dispongano dei 61 seggi necessari per formare un governo, che Lieberman sia intenzionato a forzare un governo di unità retto da questi tre partiti e che Blu-Bianco ha escluso di entrare in un governo con il Likud se Netanyahu rimane al timone, tutto questo lascia aperti molti interrogativi su cosa potrà accadere dopo le elezioni di settembre.

Da sinistra a destra: Ehud Barak, Stav Shaffir e Nitzan Horowitz (Meretz) annunciano la nascita del blocco Campo Democratico

Passando al versante centro-sinistra della mappa politica israeliana, come si è detto Blu-Bianco ha presentato la stessa identica lista delle elezioni di aprile. Stando ai sondaggi ha perso un po’, scendendo dai suoi 35 seggi attuali ai circa 30 che gli vengono al momento attribuiti. Blu-Bianco ha risolutamente affermato d’essere sì disposto a far parte di un governo di unità con Likud (ed è assai probabile che le due formazioni arriverebbero facilmente ai 61 seggi) ma solo a patto che non vi sia Netanyahu alla guida del Likud (una posizione che potrebbe aprire la partita per la successione all’interno del Likud). Dal canto suo, il partito Laburista ha subito un significativo rimescolamento in vista del 17 settembre. Ha un nuovo presidente, il parlamentare Amir Peretz che già fu alla guida del partito negli anni 2005-2007. Peretz è sembrato portare il partito più a destra quando ha annunciato la fusione con il partito centrista Gesher (Ponte) dalla ex parlamentare di Israel Beiteinu Orly Levy-Abekasis. Secondo i sondaggi i laburisti, scesi a 6 seggi nelle elezioni di primavera, galleggiano ora fra i 4 e i 6 mandati. Alcuni osservatori ritengono che lo storico partito Laburista israeliano rischi addirittura di restare al di sotto della soglia minima d’ingresso alla Knesset. Una delle ragioni principali di questo rischio che corrono i Laburisti è la creazione del Campo Democratico (HaMaḥaneh HaDemokrati), una grossa fusione alla sua sinistra. Questa coalizione vede riuniti il partito Meretz (estrema sinistra sionista), il partito Democratico Israeliano (Israel Demokratit), da poco creato dall’ex primo ministro Ehud Barak, e dalla parlamentare Stav Shaffir, uscita per l’occasione dal partito Laburista (spiegando a JNS che l’ha fatto perché “non intende consegnare il paese a Netanyahu su un piatto d’argento”). La manovra ha messo al riparo sia il partito Meretz che quello di Barak dal rischio di cadere sotto della soglia del 3,25%. La nuova formazione di sinistra, alla quale i sondaggi attuali attribuiscono fra 7 a 10 seggi, afferma che non sosterrà Netanyahu come premier e molto probabilmente sosterrà Gantz. Il che garantisce a Gantz solo da 40 a 46 mandati, molto al di sotto della coalizione di 61 seggi necessaria per formare un governo. Oltretutto, il laburista Peretz non ha chiuso la porta alla possibilità di aderire a un governo guidato da Netanyahu dicendo che non potrà farlo solo nel caso in cui Netanyahu venisse formalmente incriminato nelle inchieste per corruzione in corso, ma potrebbe entrare in un governo Netanyahu sino a quando non ci fosse un’incriminazione ufficiale. Pertanto, varcando il quorum i laburisti potrebbero fornire al Likud quella manciata di seggi di cui avrà bisogno per arrivare alla maggioranza nella Knesset e formare il governo.

I partiti arabi hanno cambiato il loro approccio rispetto alle elezioni di aprile, alle quali avevano partecipato raggruppati in due liste distinte ed erano scesi a 10 mandati. Per settembre hanno ripresentato la grande Lista (araba) Congiunta – formata da Balad, Hadash, Ta’al e Lista Araba Unita – con cui avevano preso parte alle elezioni del 2015. In questa formazione stanno andando un po’ meglio nei sondaggi, che ora attribuiscono loro almeno 11 seggi. Il politologo Hoffman sottolinea che i partiti arabi, se vedessero una possibilità di far cadere Netanyahu, potrebbero decidere di cambiare la loro posizione politica standard e offrire per una volta il loro sostegno a qualcun altro come premier incaricato. “In generale – dice Hoffman – l’ostruzionismo dei partiti verso candidati specifici è un errore, e se i partiti arabi e altri partiti ripenseranno questo approccio vi è tutta una varietà di possibili costellazioni che potrebbero portare alla formazione di un governo. È improbabile, ma non impossibile”.

Nel frattempo, partiti e liste cercheranno di utilizzare la quarantina di giorni che restano per cercare di aumentare i propri voti. Secondo Hoffman, “a questo punto la possibilità che gli elettori si spostino dal blocco di destra a quello di sinistra, o viceversa, è molto piccola”. Per cui, a suo parere, la chiave alla fine sarà l’affluenza alle urne, soprattutto perché non si sa come si comporteranno gli israeliani che per la prima volta nella loro storia vengono chiamati a eleggere la Knesset per la seconda volta nello stesso anno. “I partiti dovranno darsi molto da fare per portare alle urne il maggior numero possibile di potenziali sostenitori – conclude Hoffman – Questo, più di ogni altro fattore, è ciò che potrebbe portare a drammatici cambiamenti nei risultati, e produrre un candidato che possa formare con successo il nuovo governo”.

(Da: jns, israele.net, 1-4.8.19)