Israele e stato palestinese

Quando confliggono interesse politico ed esigenze di sicurezza

Da un articolo di Calev Ben-Dor

image_2071Sin dagli accordi di Oslo, la politica israeliana è stata guidata dal presupposto che l’obiettivo del movimento nazionale palestinese fosse la creazione di uno Stato palestinese indipendente a fianco di Israele. Israele considerava la scelta di “concedere” ai suoi avversari questo Stato come una “carta” negoziale da “barattare” in cambio di concessioni da parte palestinese in altri settori, in particolare in quello delle esigenze di sicurezza israeliane. Se i palestinesi desiderano tanto uno Stato indipendente – questo era il ragionamento – pur di averlo accetteranno alcune limitazioni alla sua sovranità, come ad esempio un certo grado di smilitarizzazione, l’utilizzo israeliano del suo spazio aereo, postazioni di preallarme in Cisgiordania ecc.
Ma recenti tendenze a livello regionale hanno eroso questo presupposto sino al punto di renderlo irrilevante, e stanno trasformando la creazione di uno Stato palestinese: da una carta utilizzabile nel negoziato in un pressante interesse d’Israele. Da un lato, i mutamenti demografici e degli equilibri di potere a livello internazionale mettono a rischio la legittimità di Israele come stato ebraico e democratico. La previsione di una parità demografica fra ebrei e arabi in Terra d’Israele entro il prossimo decennio, unita all’insofferenza palestinese e internazionale concretamente sviluppata sul terreno, rendono sempre più prossima la minaccia di uno Stato bi-nazionale (con la perdita, da parte del popolo ebraico, della sua unica sovranità politica). Per questo motivo oggi molti israeliani vedono nella creazione di uno Stato palestinese non una minaccia al sionismo, quanto piuttosto un’ancora di salvezza.
In secondo luogo, proprio quando gli israeliani considerano sempre più auspicabile la soluzione “due popoli-due stati”, diventano sempre più numerosi i palestinesi che dubitano della fattibilità di questa ricetta. Oltre al crescente appoggio per Hamas, che promuove uno Stato solo (arabo-islamico) al posto e non al fianco di Israele, la mancanza di progressi nei negoziati assottiglia la pattuglia dei palestinesi “moderati”. A molti palestinesi oggi pare che l’Autorità Palestinese serva solo per garantire a Israele una sorta di “licenza d’occupazione”, tanto che preferirebbero scioglierla e ributtare sulle spalle di Israele tutto l’onere economico e politico di quell’occupazione.
In terzo luogo, i palestinesi che ancora sostengono la creazione di uno Stato indipendente a fianco di Israele alzano sempre di più il livello delle richieste sul tipo di stato che sarebbe per loro accettabile. Se in passato questi palestinesi sembravano disposti a prendere in considerazione uno Stato con confini provvisori, oggi Mahmoud Abbas (Abu Mazen) lo considera una trappola. Se ai negoziati di Camp David i palestinesi sembrarono accettare alcune richiese israeliane sulla sicurezza che limitavano la loro sovranità, oggi si oppongono a qualunque cosa che non sia uno Stato palestinese senza alcuna limitazione.
Questa nuova situazione mette Israele di fronte ad alcuni dilemmi, in particolare a causa della necessità di cercare continuamente un equilibrio fra obiettivi politici ed esigenze della sicurezza.
Le esigenze della sicurezza d’Israele riguardo ai palestinesi comportano, fra l’altro, la capacità di impedire i lanci di missili e razzi sui suoi centri abitati, il formarsi di un fronte di guerra a oriente, la presenza di truppe nemiche in Cisgiordania. In altre parole, la logica militare richiede in linea di massima che Israele preservi un grado di controllo sul terreno, o che accetti la creazione di uno Stato palestinese solo dopo che queste sue esigenze siano state garantite.
La logica politica, invece, suggerisce a Israele di non assumersi di nuovo la responsabilità del destino dei palestinesi di Cisgiordania e striscia di Gaza, e di arginare la continua erosione che subiscono l’opzione “due popoli-due stati” e la legittimità dello Stato ebraico presso la comunità internazionale. A differenza della logica militare, la logica politica d’Israele richiederebbe ulteriori ritiri dalla Cisgiordania e la creazione di uno Stato palestinese.
Se tradizionalmente Israele credeva che un accordo di pace con i palestinese potesse rispondere a entrambe queste logiche, i mutamenti della realtà potrebbero invece costringerlo ad operare una scelta fra creare uno Stato palestinese senza veder garantite le proprie esigenze di sicurezza, oppure mantenere il controllo sulla sicurezza senza arrivare a una soluzione politica. In altri termini, potrebbe porsi la scelta tra un accordo ma senza garanzie di sicurezza, o nessun accordo del tutto.
Vi sono comunque cose che Israele può fare per alleggerire questa situazione. Ad esempio, può riformulare l’agenda del negoziato in modo tale da spingere le sue esigenze di sicurezza discutendole insieme alle richieste palestinesi di “introdursi” all’interno del territorio sovrano d’Israele. Ad esempio, questa nuova agenda negoziale potrebbe proporre uno “scambio” fra le richieste israeliane di smilitarizzazione dello Stato palestinese e di accesso al suo spazio aereo contro le richieste palestinesi di un passaggio garantito fra Cisgiordania e striscia di Gaza e di accesso al mercato del lavoro israeliano. Nello stesso tempo, Israele dovrebbe iniziare a riformulare la propria dottrina di sicurezza nazionale sulla base di un concetto di deterrenza all’interno del proprio territorio, anziché lungo il perimetro esterno della Palestina storica.
Tuttavia, indipendentemente da queste possibili opzioni, senza una generale rivalutazione della nuova realtà rispetto ai palestinesi, Israele rischia di non riuscire a difendere né i suoi interessi politici, né le sue esigenze di sicurezza.

(Da: Ha’aretz, 11.04.08)

Nell’immagine in alto: L’aeroporto internazionale israeliano Ben Gurion entro la gittata di semplici razzi SA-7 da spalla che fossero lanciati dalla Cisgiordania.