Israele, gli USA e la Bomba

Il Trattato di Non Proliferazione Nucleare non impedisce ai nemici di Israele la corsa alle armi atomiche

di Ronen Bergman

image_2488Reazioni critiche, mercoledì a Gerusalemme, dopo che gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare: richiesta “difficile da comprendere”, dicono fonti governative israeliane, alla luce dell’evidente fallimento del Trattato nell’obiettivo di impedire a nuovi paesi di dotarsi di armi nucleari.
“E’ difficile capire perché debba esserci una tale insistenza su un trattato che si è dimostrato così inefficace”, ha dichiarato un funzionario del ministero degli esteri israeliano dopo che Rose Gottemoeller, assistente del segretario di stato Usa, aveva sollecitato Israele, India, Pakistan e Corea del Nord a sottoscrivere il Trattato. Il funzionario israeliano sottolinea che il trattato non ha impedito a paesi nemici di Israele, come l’Iraq e la Libia, di perseguire un loro potenziale atomico, aggiungendo che “anche i suoi effetti sull’Iran non è che saltino all’occhio”. Come si sa, Israele e occidente considerano il programma nucleare iraniano una potenziale minaccia, anche se Teheran insiste nel sostenere che il suo scopo è solo quello di produrre energia atomica.
“La ricetta miracolosa del Trattato di Non Proliferazione Nucleare – continua l’esponente israeliano – non ha impedito a nessun paese (che lo volesse) di acquisire armi atomiche, come si vede nel caso dell’Iran. Stiamo ancora esaminando la dichiarazione della Gottemoeller. In ogni caso, siamo perplessi dall’insistenza degli Stati Uniti su questa questione”.
Come noto, Israele tradizionalmente non conferma né smentisce le notizie dall’estero relative al fatto che avrebbe ciò che gli esperti in controllo degli armamenti ritengono un considerevole arsenale atomico.
Martedì scorso, secondo giorno di un incontro di due settimane all’Onu dei 189 paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, la Gottemoeller ha affermato che “l’adesione universale al Trattato, compresi India, Israele, Pakistan e Corea del Nord,… rimane un obiettivo fondamentale degli Stati Uniti”, senza tuttavia specificare se Washington abbia intenzione di adottare misure per fare pressione su Israele su questo tema.
“Sarebbe un grave errore da parte di Israele montare un caso sulle dichiarazioni della Gottemoeller – dice Gershon Steinberg, capo del dipartimento di scienze politiche dell’Università Bar-Ilan – Gli Stati Uniti sono vincolati al Trattato e si adoperano per un mondo libero da armi nucleari, ma sanno bene che non è realistico chiedere a Israele di firmarlo”.
D’altra parte, secondo Uzi Even, ex parlamentare nonché scienziato del reattore nucleare israeliano di Dimona, l’affermazione del rappresentante americano è indicativa di un mutamento nella politica Usa verso Israele riguardo alle capacità nucleari. “In passato vigeva un accordo informale fra Stati Uniti e Israele: gli americani sapevano che Israele dispone di armi nucleari ma chiudevano un occhio. Ora Washington sembra voler rompere il tacito accordo. Dal canto suo, Israele potrebbe modificare la sua politica di voluta ‘ambiguità nucleare’: il reattore di Dimona potrebbe essere messo sotto supervisione internazionale permettendo a Israele di entrare nel Trattato in qualità di paese autorizzato a sviluppare armi nucleari”.
“Il rapporto con gli Usa è profondo e unico – dichiara Yossi Levy, portavoce del ministero degli esteri israeliano – e noi non dubitiamo che resterà tale anche in futuro. Le dichiarazioni dell’assistente del segretario di stato americano riflettono la convinzione degli Stati Uniti, che ci è ben nota, di dover allargare i numero di paesi firmatari del Trattato. Per l’interpretazione specifica di tali dichiarazioni, bisogna rivolgersi ai nostri amici americani: dal nostro punto di vista, non vi è alcun cambiamento nel dialogo stretto che abbiamo con Washington”.

Commenta Ronen Bergman:
C’è un collegamento fra l’imminente incontro del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu con il presidente Obama alla Casa Bianca e la singolare dichiarazione di martedì da parte del Dipartimento di Stato Usa? Se c’è, allora siamo di fronte ad un (ulteriore) segnale inquietante dall’America, e questa volta su un tema particolarmente delicato.
Fino ad oggi Israele si è rifiutato di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e di accettare il monitoraggio da parte della AIEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica).
Il Trattato nacque in effetti come uno strumento delle grandi potenze per impedire la nuclearizzazione della Germania nell’era successiva alla seconda guerra mondiale. Era una sorta di “gentlemen agreement” basato sull’assunto che, di solito, uno stato non mente spudoratamente.
In base al Trattato, un paese firmatario (Israele, ad esempio, non lo ha firmato) è tenuto a riferire all’AIEA tutti i dettagli di un progetto nucleare e ad astenersi dal produrre armi nucleari. In cambio, il paese firmatario riceve la possibilità legale di dedicarsi a tutti i campi della produzione nucleare “a scopo pacifico”.
Avner Cohen, esperto israeliano residente negli Usa specializzato in diffusione delle armi atomiche, nel suo libro “Israele e la Bomba” cita il padre del progetto atomico israeliano Ernst David Bergman, il quale diceva che in realtà non esistono due binari nucleari separati, un a scopo pacifico e l’altro a scopo militare. Si tratta dello stesso binario. In altre parole, un paese che firma il Trattato di Non Proliferazione può arrivare, con piena autorizzazione, a uno stadio molto vicino a quello in cui può produrre la Bomba, senza effettivamente costruirla. Nel frattempo può tranquillamente arricchire uranio, completare il ciclo nucleare, separare plutonio, il tutto sotto gli occhi dell’AIEA. In questo modo, ad esempio, oggi Germania e Giappone potrebbero produrre in pochi mesi quantità di materiale fissile sufficiente per una bomba atomica.
Il Trattato ha funzionato abbastanza bene finché riguardava paesi come la Germania e il Giappone. Ma quando signori meno affidabili, come Saddam Hussein, puntarono a entrare nel club atomico, il Trattato si è trasformato in una beffa.
In base al vecchio Trattato, gli ispettori dell’AIEA non possono effettuare visite a sorpresa né entrare negli impianti che non siano stati dichiarati dallo stesso paese ispezionato come connessi al programma nucleare. In altri termini, se un cartello con la scritta “impianto industriale” veniva appeso su un reattore nucleare in Iraq, gli ispettori non avevano il permesso di entrarvi.
Alla luce della deludente esperienza irachena, venne aggiunto un Secondo Protocollo in base al quale vengono permesse visite anche senza preavviso a siti non dichiarati, oltre ad altri meccanismi di monitoraggio. Tuttavia non si è posto rimedio all’aspetto più vulnerabile del Trattato: un paese che accetta di essere monitorato può comunque arrivare molto vicino alla Bomba per poi completare il resto del lavoro clandestinamente e in modo relativamente rapido.
La necessità di stringere i controlli e creare un nuovo pacchetto è riemersa anche perché altri paesi sono entrati nel club o vogliono entrarvi (rispettivamente Corea del Nord e Iran), e perché negli ultimi sei anni si è assistito a un processo globale di quella che le pubblicazioni specializzate definiscono una “rinascita nucleare” collegata all’eccezionale impennata dell’importanza dell’energia nucleare. E spesso proprio quegli ambientalisti che in passato vedevano i reattori nucleari come la radice di tutti i mali sono quelli che oggi vedono in quei reattori la capacità potenziale di risolvere almeno in parte il problema del riscaldamento globale.

(Da: YnetNews, 6.05.09)

Nella foto in alto: L’impianto nucleare israeliano di Dimona

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https://www.israele.net/sezione,,1401.htm