Israele ha scelto il minore di due mali

Questo perlomeno è ciò che pensa l’architetto della tregua

Da un articolo di Amos Harel e Avi Issacharoff

image_2158L’accordo di cessate il fuoco fra Israele e Hamas ha una cosa in comune con gli accordi di Oslo: in entrambi i casi, in nome di una tahadiyeh (periodo di calma), Israele paga con moneta concreta in cambio di impegni generici per il futuro.
Qui non si tratta di “calma in cambio di calma”, la formula proposta parecchi mesi fa. Israele rimuoverà, fra pochi giorni, una porzione significativa del blocco economico alla striscia di Gaza. E in cambio Hamas promette di riprendere i contatti sul rilascio di Gilat Shalit. E gli egiziani promettono di darsi da fare sul serio per impedire il traffico di armi verso Gaza.
Ma come si misura un vero impegno per avvicinare un accordo su Shalit? Magari basterà fare intensi colloqui anche senza arrivare a nessun accordo? Non è per nulla chiaro. Israele ha detto che valuterà la qualità dell’impegno contro il traffico d’armi. Ma è assai improbabile che Gerusalemme sia disposta a mettere a rischio tutta l’intesa per criticare sforzi egiziani eventualmente insufficienti. L’Egitto è mediatore ma è anche interlocutore. E poi l’intelligence militare prevede che il traffico d’armi sarà comunque destinato a diminuire, giacché Hamas ha già più armi a Gaza che uomini addestrati ad usarle.
L’uomo che sta dietro al cessate il fuoco, Amos Gilad, consigliere del ministro della difesa Ehud Barak, non era un grande fan del processo di Oslo. Quando Ariel Sharon fece pressione per includere nel ritiro del 2005 anche il Corridoio Philadelphia che sta fra la striscia di Gaza e il Sinai egiziano, Gilad si oppose apertamente. Oggi invece deve parlare a favore dell’accordo che ha raggiunto – senza grande entusiasmo – e quando dovrà spiegare questa tahadiyeh accettata a condizioni molto lontane da quelle su cui puntava Israele, dirà che si è trattato di scegliere tra una opzione cattiva e una ancora peggiore.
Una vasta operazione militare non avrebbe posto fine immediatamente ai lanci di Qassam né risolto il problema del traffico d’armi. Allo stesso tempo c’era la necessità di porre fine al più presto alle sofferenze degli israeliani che vivono vicino alla striscia di Gaza. Come il suo diretto superiore Barak, Gilad ritiene che a lungo termine uno scontro con Hamas sia pressoché inevitabile. Ma a quel punto il governo potrà presentarsi alla nazione con la mani pulite e dire: “Abbiano tentato ogni strada, ora tocca alle forze armate”.
Ciò che Gilad non dice è che la scelta della tahadiyeh è stata innanzitutto politica. Quando Olmert e Barak hanno capito che non avevano il sostegno dell’opinione pubblica né il respiro politico per una operazione di terra su vasta scala a Gaza, il dado fu tratto.
Il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi capisce bene il quadro della coalizione, ma ci sono un bel po’ di alti ufficiali sotto di lui che vedono l’accordo come un grosso errore. Ai loro occhi Israele non ha nemmeno tentato una lunga lista di possibili operazioni misurate che sono meno di una riconquista della striscia di Gaza ma che, se tentate, avrebbero potuto costringere Hamas ad accettare un cessate il fuoco su posizioni completamente diverse. Operazioni a livello di brigata, nella striscia di Gaza, sono state fermate già da molto tempo, e in tempi recenti non è stato fatto alcun tentativo di minacciare la vita degli alti responsabili di Hamas. Il mese scorso le Forze di Difesa israeliane hanno compiuto a Gaza sette operazioni: due a livello di battaglione e cinque a livello di compagnia. Da un punto di vista militare questo non significa certo mettere Hamas sotto pressione.
È chiaro che pesa sulle decisioni operative nella striscia di Gaza l’influenza della seconda guerra in Libano (2006). La ferita è ancora dolente e, unita al limitato dialogo politico, impone la scelta del cessate il fuoco. Nella situazione attuale di Olmert, qualunque accordo verrà presentato come un successo. L’obiettivo strategico non è la pace, ma la calma. Anche solo per un breve periodo: magari fino alle elezioni.

(Da: Ha’aretz, 19.06.08)

Nella foto in alto: il capo dell’intelligence e negoziatore egiziano Omar Suleiman (a destra) durante un colloquio con il consigliere della difesa israeliano Amos Gilad