Israele-Marocco. Dai rapporti nascosti ai rapporti ufficiali: un vero passo al servizio della pace

Portare le relazioni con Israele alla luce del sole ne cancella il marchio d’infamia e contribuisce a rimuovere lo stigma da Israele. Ecco perché i palestinesi sono contrari

Editoriale del Jerusalem Post

Tifosi israeliani e marocchini ai mondiali di calcio 2018

I cinici sprezzanti, così come coloro che non sono capaci di vedere mai nulla di buono in ciò che fanno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, snobbano e minimizzano l’annuncio dato giovedì scorso dell’instaurazione di rapporti ufficiali tra Israele e Marocco. I due paesi, dicono costoro, intrattengono da anni relazioni, a volte palesi e a volte clandestine. E ogni anno migliaia di israeliani si recano in visita nel regno nordafricano. I nuovi rapporti formali non includono ancora l’apertura di ambasciate e lo scambio di ambasciatori, dunque dove sta la novità?

La grossa novità è che ora tutto questo viene portato allo scoperto e che tutti, a partire dall’interno mondo arabo e musulmano, possono vederlo e devono prenderne atto. E questo, eccome se è rilevante. Se i rapporti con Israele vengono tenuti solo nell’ombra, se gli incontri fra alti rappresentanti possono aver luogo solo nelle camere d’albergo di paesi terzi, se qualsiasi informazione che trapela sui contatti deve essere immediatamente smentita, il messaggio che viene proiettato è che c’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato, illecito e persino illegittimo in quei legami. I paesi, come le persone, intrattengono relazioni nascoste solo con coloro con cui si vergognano di farsi vedere in pubblico apertamente. Il fatto che il Marocco fosse disposto a relazionarsi con Israele per così tanto tempo, ma senza mai essere visto in compagnia dello stato ebraico alla luce del sole, rafforzava l’idea che qualsiasi legame con Israele fosse in qualche modo una cosa riprovevole.

L’annuncio della normalizzazione dei rapporti Israele-Marocco su Israel HaYom e Yediot Aharonot. Entrambi i quotidiani hanno titolato: “Shalom, Marocco”

L’annuncio della scorsa settimana contribuisce molto a cancellare quella percezione. D’ora in poi, grazie principalmente al cambiamento di paradigma dell’amministrazione Trump su come promuovere le relazioni arabo-israeliane, i rapporti israelo-marocchini saranno aperti e solidi. Il che non significa che non vi saranno disaccordi: ve ne saranno, ovviamente, a cominciare dalla questione palestinese e da quella di Gerusalemme. Ma portare le relazioni alla luce del sole cancella da quelle relazioni il marchio d’infamia e, di conseguenza, contribuisce molto a rimuovere lo stigma anche da Israele. E questo è un fatto fondamentale, checché ne dicano i saputi cinici di cui sopra, giacché la pace potrà fiorire solo quando le persone in tutto il mondo musulmano non vedranno più Israele come il male assoluto.

I palestinesi lo capiscono molto bene, ed è proprio per questo che si schierano con tanto fervore contro ogni normalizzazione dei legami con Israele da parte di paesi arabi e musulmani. Volevano usare questa carta come una leva contro Israele, sicuri che lo stato ebraico non avrebbe mai ottenuto il tanto agognato riconoscimento e sarebbe rimasto nella sua condizione di eterno paria della regione fino a quando non avesse dato ai palestinesi tutto ciò che esigono.

Seguendo la strada aperta da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan, il Marocco segnala ad altri paesi che potrebbero essere fermi sulla soglia (da quelli considerevoli come Arabia Saudita e Indonesia a quelli meno centrali come Gibuti e Niger) che non c’è nessun peccato nell’avere a che fare apertamente con lo stato ebraico. Al contrario, vi sono ben chiari benefici.

Casablanca 2020: “Penso che questo sia l’inizio di una bella amicizia”. L’accordo Israele-Marocco nella vignetta di Shlomo Cohen su Israel HaYom

Ed è qui che l’amministrazione Trump ha giocato un ruolo così utile. Non è che il mondo arabo si sia reso conto all’improvviso che Israele ha molto da offrire in termini di tecnologia, competenza agricola, gestione dell’acqua e sicurezza informatica. Questa non è una novità. E non è una novità che Israele e paesi arabi sunniti condividono la stessa preoccupata valutazione della minaccia rappresentata dall’Iran. Era vero dieci anni fa, come lo è oggi. Perché allora in passato tutto questo non è basato per cementare i legami? Perché solo di recente Washington è entrata in scena dimostrando la volontà di dare ai paesi arabi quello che stava loro a cuore pur di promuovere i legami con Israele. Gli Emirati Arabi Uniti vogliono gli aerei F35? Fate la pace con Israele e li avrete. Il Sudan vuole essere tolto dalla lista dei paesi terroristi? Fate la pace con Israele e Washington si impegnerà in quel senso. Il Marocco vuole vedere riconosciuta la sua sovranità sul Sahara occidentale? Formalizzate i rapporti con Gerusalemme e gli Stati Uniti riconosceranno quella sovranità. Ciò che è sorprendentemente nuovo, nei recenti accordi di Israele con gli stati arabi, è che non sono tanto il frutto dei loro negoziati con Israele quanto quello dei loro contatti con gli Stati Uniti. Anche le precedenti amministrazioni americane cercavano di strappare qualche pezzetto di normalizzazione dai paesi arabi verso Israele, come i diritti di sorvolo, nella speranza di promuovere il processo di pace in Medio Oriente, ma senza mai molto successo. Quello che ha fatto l’amministrazione Trump è stato dimostrare concretamente la volontà di alzare la posta, dando a Emirati Arabi Uniti Bahrain Sudan e, più di recente, al Marocco i benefici tangibili di cui avevano bisogno a patto che fossero disposti a presentarsi apertamente a fianco di Israele. Ed è questo che fa la differenza.

(Da: Jerusalem Post, 14.12.20)