Israele nella NATO? Non è impossibile

Molti gli ostacoli, ma importanti i vantaggi

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_2594La strada per l’ingresso di Israele nella NATO sarebbe lunga e difficile, ma alla luce della sua importanza strategica vale la pena di intraprenderla. Un’eventuale appartenenza all’Alleanza Nord Atlantica sarebbe di vitale importanza per le seguenti ragioni.
• Tale appartenenza potrebbe ridurre sensibilmente il proposito di stati arabi e musulmani eventualmente nucleari di “cancellare Israele dalla carta geografica”. L’articolo 5 del trattato di Washington di fondazione della Nato stabilisce che “un attacco armato contro uno o più stati membri in Europa o in Nord America sarà considerato un attacco contro tutti”.
• Poiché è ragionevole ritenere che qualunque richiesta di ammissione non sarebbe presa in considerazione senza l’ammissione parallela di uno stato arabo – Giordania? Marocco? Libano? Palestina? – queste ammissioni congiunte potrebbero portare a una riduzione della tensione tra gli stati membri mediorientali, come accadde effettivamente tra Turchia e Grecia che in passato erano sull’orlo della guerra.
• L’appartenenza alla NATO potrebbe favorire una maggiore integrazione di Israele nella Comunità europea e, a lungo termine, avrebbe un effetto positivo anche sulle relazioni Usa-Israele.
• Infine, ma non meno importante, tale appartenenza ridurrebbe in Israele lo stress politico-psicologico legato al fatto di essere come un’isola, isolata in un mare di rifiuto e di ostilità.
Certo, Israele dovrebbe affrontare ostacoli quasi insormontabili: non potrebbe diventare membro della NATO, e godere della protezione offerta dall’articolo 5, senza un trattato di pace con i palestinesi e senza, come si è detto, l’ingresso parallelo di un altro stato arabo, come ha chiarito l’ex segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer.
E ci sono ulteriori ostacoli. L’appartenenza alla NATO e il dovere della difesa collettiva sono limitati all’Europa e al Nord America. Di più. Tale appartenenza – stando le cose come sono al momento – obbligherebbe Israele ad avviare consultazioni prima di intraprendere qualunque consistente azione militare, nonché ad aderire al Trattato di non proliferazione nucleare (NPT) con tutti i problemi che ciò comporta.
Tuttavia sembra di poter dire che, considerando i vantaggi strategici che scaturirebbero da un’appartenenza alla NATO, questi ostacoli potrebbero essere superati o elusi.
L’obbligo di avviare consultazioni non costituirebbe alla lunga un fardello impossibile per Israele, ed anzi potrebbe comportare il vantaggio di contrastare azioni precipitose.
Per quanto riguarda gli obblighi del Trattato di non proliferazione, gli Stati Uniti hanno recentemente dimostrato d’essere pronti a firmare accordi strategicamente importanti con un paese come l’India nucleare, nonostante il fatto che non abbia firmato il Trattato di non prolferazione.
Il limite dell’appartenenza a paesi nordamericani ed europei è un ostacolo serio, ma c’è la crescente sensazione tra le alte sfere della NATO che eventi come la guerra in Afghanistan abbiano reso questa limitazione irrilevante a fronte delle minacce attuali, e che minacce alla sicurezza degli stati membri possano allignare anche al di fuori della regione nord-atlantica e che dunque possano essere necessarie nuove regole per l’ammissione, se la NATO vuole essere efficace nella sua campagna anti-terroristica. Già nel1994 la NATO allargò il proprio raggio d’azione creando il programma “Partnership for Peace”, in base al quale stati europei non membri possono cooperare con la NATO. Per ora questa partnership è aperta solo agli stati europei, ma la NATO è attualmente impegnata in una ridefinizione delle proprie responsabilità globali e sta conducendo una valutazione delle minacce globali.
La strada verso l’ammissione o anche la partnership è lunga e ardua, ma la cooperazione con la NATO può precedere questi passi. In questo campo di recente sono già stati fatti molti progressi. Nonostante le note difficoltà d’immagine di cui soffre, Israele già partecipa alla Operation Active Endeavor della Nato, una risposta multi-nazionale e multi-livello alla minaccia terroristica. In linea di principio Israele ha stabilito di schierare per l’operazione una corvetta della marina, sotto il comando del vice-ammiraglio Maurizio Gemignani, affinché faccia la sua parte nella “continuativa sorveglianza e presenza deterrente” nel Mediterraneo orientale, mentre un ufficiale di collegamento della marina israeliana è già di stanza al quartier generale di Napoli.
Siamo, naturalmente, nella sfera della cooperazione di minore importanza (benché sia l’unica operazione NATO in corso sulla base dell’articolo 5). Ma, insieme ad altri contatti tra NATO e organismi israeliani come l’Atlantic Forum of Israel, significa che la lunga, ardua strada non è totalmente preclusa.
Inutile dire che, senza un miglioramento delle relazioni tra Israele, Stati Uniti ed Europa, senza la disponibilità a raggiungere un accordo sul congelamento degli insediamenti e la rimozione degli avamposti illegali, la strada verso l’adesione di Israele alla NATO non ha alcuna possibilità di successo. In effetti, ben presto il governo israeliano dovrà se occuparsi dei reali rischi per la sicurezza di Israele, oppure cedere di fronte a una minoranza determinata, che cerca di imporre a una maggioranza passiva una politica che blocca la strada verso la NATO.

(Da: Jerusalem Post, 28.07.09)

Nella foto in alto: Amnon Rubinstein, autore di questo articolo