Israele potrebbe chiedere risarcimenti fino a 250 miliardi di dollari per gli ebrei cacciati dai paesi mediorientali

Gamliel, ministra per l'eguaglianza sociale: "È tempo di correggere un’ingiustizia storica”

Gila Gamliel, ministra israeliana per l’eguaglianza sociale

Israele si appresta a chiedere risarcimenti da sette paesi arabi e dall’Iran per le proprietà e i beni sottratti agli ebrei che furono cacciati o costretti a fuggire da quei paesi a seguito della fondazione dello stato d’Israele. “È giunta l’ora di correggere l’ingiustizia storica dei pogrom anti-ebraici in sette paesi arabi e in Iran, e di restituire a centinaia di migliaia di ebrei che persero le loro proprietà ciò che spetta loro di diritto”, ha dichiarato sabato la ministra per l’eguaglianza sociale Gila Gamliel, che sta coordinando la gestione del problema da parte del governo israeliano.

Secondo quanto riferito sabato sera dal notiziario di Hadashot TV, sono ora in fase di completamento le richieste di risarcimento per quanto riguarda i primi due degli otto paesi coinvolti. In base alle cifre citate, Israele dovrebbe chiedere 35 miliardi di dollari di risarcimento per i beni ebraici persi in Tunisia e 15 miliardi di dollari per quelli persi in Libia. Ma nel complesso, il servizio televisivo dice che Israele avanzerà richieste di risarcimento per oltre 250 miliardi di dollari dai due paesi citati più Marocco, Iraq, Siria, Egitto, Yemen e Iran.

New York Times, 16 maggio 1948: “Ebrei in grave pericolo in tutti i paesi musulmani”

Justice for Jews from Arab Countries (Giustizia per ebrei dai paesi arabi), un gruppo internazionale che raccoglie varie organizzazioni ebraiche, stima che nel 1948 e negli anni successivi siano stati circa 856.000 gli ebrei fuggiti o espulsi da dieci paesi mediorientali (quelli citati più Algeria e Libano), nel quadro di violenti tumulti arabi che provocarono anche l’uccisione e il ferimento di molti ebrei.

Negli ultimi 18 mesi, utilizzando i servizi di una società di contabilità internazionale, il governo israeliano ha riservatamente condotto ricerche approfondite sul valore delle proprietà e dei beni che quegli ebrei furono costretti ad abbandonare ed ora sta lavorando alla definizione di richieste precise.

Una legge israeliana del 2010 prevede che qualsiasi futuro accordo di pace debba prevedere un risarcimento per i beni delle comunità ebraiche e di singoli ebrei espulsi dai paesi arabi e dall’Iran dove vivevano per lo più da tempo immemorabile. “Non si può parlare di Medio Oriente senza tenere in considerazione i diritti degli ebrei che furono costretti, fra le violenze, ad abbandonare le loro fiorenti comunità – ha detto la ministra Gila Gamliel – Tutti i crimini compiuti contro quelle comunità ebraiche devono essere riconosciuti”.

Dal canto suo, circa dieci anni fa l’Autorità Palestinese ha avanzato la richiesta di oltre 100 miliardi di dollari di risarcimento da Israele per i beni abbandonati dagli abitanti arabi che, durante la guerra scatenata dai paesi arabi al momento della nascita di Israele, fuggirono o furono costretti ad andarsene da quello che oggi è lo stato ebraico. I palestinesi, tuttavia, continuano anche a rivendicare un “diritto al ritorno” dentro quello che è oggi l’Israele sia per le poche decine di migliaia di profughi del ’48 ancora in vita, sia per svariati milioni di loro discendenti: una richiesta che significherebbe trasformare Israele in uno stato arabo con una minoranza di ebrei, e che pertanto è sempre stata respinta da tutti i governi israeliani

Le rovine della Sinagoga Centrale di Aleppo dopo il pogrom anti-ebraico del 1947

Israele sostiene invece che i profughi palestinesi debbano diventare cittadini di uno stato palestinese creato con un accordo di pace definivo, esattamente come i profughi ebrei dai paesi arabi sono diventati cittadini di Israele. Israele sostiene inoltre che trasferendo lo status di profugo ai discendenti palestinesi, le competenti agenzie delle Nazioni Unite come l’Unrwa gonfiano artificialmente il problema anziché avviarlo a soluzione, complicando ulteriormente gli sforzi di pace.

Finora Israele non ha mai chiesto ufficialmente un risarcimento per gli ebrei costretti ad abbandonare le terre arabe e l’Iran. E quegli ebrei, sebbene molti di loro siano arrivati in Israele privati di tutto, non hanno mai chiesto alla comunità internazionale lo status formale di profughi. A quel tempo lo stato ebraico da poco costituito si batteva per mostrare la propria piena legittimità come stato sovrano in grado di prendersi cura del proprio popolo. Diceva Meir Kahlon, il presidente dell’Organizzazione Centrale per gli ebrei dei paesi arabi e dell’Iran da poco scomparso, che l’allora primo ministro David Ben Gurion non voleva che gli ebrei che venivano a stabilirsi nella loro patria storica venissero classificati come “profughi”, una posizione che di fatto è risultata assai comoda per la comunità internazionale. Oggi, secondo il servizio di Hadashot TV, i fondi richiesti agli otto paesi non verrebbero assegnati a singole famiglie, ma verrebbero piuttosto distribuiti dallo stato attraverso un fondo speciale. Gamliel sta coordinando il processo, insieme al Consiglio di sicurezza nazionale israeliano.

Nel 2014 Israele ha approvato una legge che ha fissato nel 30 novembre la giornata per commemorare l’uscita e l’espulsione degli ebrei dalle terre arabe e iraniane, con programmi educativi ed eventi diplomatici volti a promuovere la consapevolezza internazionale della questione dei profughi ebrei dai paesi mediorientali e del loro diritto a risarcimenti.

Profughi ebrei dai paesi arabi, nella celebre foto scattata intorno al 1949 da Robert Capa nel campo di transito di Sha’ar Ha’aliya, presso Haifa

“Non a caso questa giornata è stata fissata subito dopo il 29 novembre – spiegò il primo ministro Benjamin Netanyahu il 30 novembre 2014, facendo riferimento all’anniversario dell’adozione da parte dell’Onu del piano di spartizione della Palestina nel 1947 – I paesi arabi, che non avevano accettato la dichiarazione delle Nazioni Unite per l’istituzione di uno stato ebraico, costrinsero gli ebrei che vivevano nei loro territori ad abbandonare le case e tutti i loro beni. Abbiamo agito, e continueremo ad agire, affinché le loro rivendicazioni non vengano dimenticate”. Nel suo discorso in quella prima cerimonia, il presidente d’Israele Reuven Rivlin fece appello per una maggiore presenza degli ebrei mediorientali nella società israeliana, oltre al risarcimento delle loro sofferenze, riconoscendo che i problemi degli ebrei del Medio Oriente non erano finiti con il loro arrivo in Israele. “La voce degli ebrei dai paesi arabi e dall’Iran – disse Rivlin – deve trovare pieno ascolto nel sistema educativo, nei mass-media, nelle arti e nelle istituzioni ufficiali del paese, e deve trovare ascolto anche in ambito internazionale al fine di riparare l’ingiustizia storica e garantire riparazioni economiche”.

Secondo Kahlon, quasi 800.000 ebrei arrivarono in Israele dai paesi mediorientali negli anni successivi all’istituzione dello stato, mentre gli altri (circa 56.000) andarono negli Stati Uniti, in Francia, in Italia e altrove. Lo stesso Kahlon era arrivato da bambino in Israele dalla Libia e aveva trascorso i suoi primi anni nello stato ebraico in una delle tendopoli di fortuna allestite per dare un primo riparo all’ondata di nuovi arrivati. Da molti anni nessun ebreo profugo dai paesi arabi, e certamente nessun loro discendente, vive in quei “campi profughi”.

(Da: Times of Israel, 5.1.19)