Israele verso le elezioni

Sul piano politico generale, la vittoria di Hamas sembra rafforzare la posizione di Kadima.

M. Paganoni per Nes n. 2, anno 18 - febbraio 2006

image_1109I sondaggi non sembrano lasciare dubbi: a metà febbraio la posizione dei tre principali partiti israeliani è esattamente la stessa di un mese prima, con il Kadima stabile sopra i 40 saggi, il partito laburista fermo intorno ai 20 e il Likud inchiodato sotto i 16 seggi (nel 2003, con Sharon, ne aveva vinti 38). Fra le altre formazioni, gli ortodossi sefarditi dello Shas prenderebbero una decina di seggi, i partiti arabi nel loro complesso circa nove, il partito “russo” Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman tra 6 e 7 seggi, sei gli ortodossi askenaziti di Yahadut Hatorah, cinque la sinistra sionista del Meretz. Non otterrebbe neanche un seggio il partito di centro laico Shinui (che alle scorse elezioni ne aveva avuti 15).
Il vero parlamento – si sa – non è quello dei sondaggi, ma quello che uscirà dalle elezioni del prossimo 28 marzo. Tuttavia non può non destare interesse la costanza delle intenzioni di voto dichiarate dal pubblico israeliano, nonostante i notevoli e a volte drammatici sviluppi di questi ultimi mesi, dopo il disimpegno israeliano da Gaza e la nascita del partito Kadima: lanci di missili Qassam su Ashkelon, attentati suicidi a Tel Aviv e Netanya, il doppio ictus di Ariel Sharon e la sua uscita dalla scena politica, la ripresa economica ma anche la crescente povertà dei ceti più svantaggiati, infine la clamorosa affermazione elettorale di Hamas e i gravi scontri fra polizia ed estremisti ultra-nazionalisti durante lo sgombero dell’avamposto illegale di Amona. “Nonostante tutto questo – nota Anshel Pfeffer (Jerusalem Post, 3.02.06) – Kadima resta ampiamente in testa, pur privato del suo fondatore, Amir Peretz non pare in grado di ribaltare le sorti dei laburisti e il Likud sembra restare stordito fra le sue rovine”.
Sulle prime il successo di Hamas ha certamente messo in difficoltà il primo ministro israeliano ad interim Ehud Olmert, costretto a destreggiarsi tra il rifiuto israeliano di legittimare un gruppo terrorista e le crescenti pressioni internazionali perché si eviti il collasso dell’Autorità Palestinese. “In ogni caso – scrive Ha’aretz (26.01.06) – le vere implicazioni del risultato elettorale palestinese si vedranno dalle scelte future di Hamas: se riprenderà gli attentati terroristici o se imboccherà una nuova strada. La maggior parte degli israeliani è assai più interessata al rischio attentati che alla composizione del parlamento palestinese”.
Sul piano politico generale, tuttavia, la vittoria di Hamas rafforza la posizione di Kadima, che si basa sulla convinzione che in campo palestinese non vi sia, appunto, un interlocutore valido e affilabile, e che dunque a Israele non resti che stabilire dei confini unilateralmente. Una mossa che comporta necessariamente ulteriori ampi ritiri e lo sgombero della maggior parte degli insediamenti isolati, ma che prevede di mantenere il controllo sui maggiori blocchi di insediamenti e sulle aree di valore strategico, a maggior ragione oggi, alla luce di una società palestinese che si è consegnata nella mani di Hamas.
Non è così per la sinistra laburista. “A prima vista – scrive Uzi Benziman (Ha’aretz, 29.01.06) – i risultati delle elezioni palestinesi sembrano intonare il De Profundis per chi era convinto della possibilità di porre fine al conflitto grazie a un onesto negoziato che permettesse ai due popoli di vivere fianco a fianco pacificamente, in due stati sovrani separati. Nel momento in cui i palestinesi votano a grande maggioranza per un movimento che, per motivi religiosi, rifiuta il diritto del popolo ebraico di avere uno stato su una parte della Terra d’Israele, si ha la conferma che, quand’anche Israele si ritirasse sui confini pre-’67, resterebbe immutata la rivendicazione palestinese di un controllo su tutta Eretz Yisrael. In altri termini, le elezioni del 25 gennaio hanno portato alla superficie la corrente profonda che fluisce attraverso le coscienze palestinesi: il fervente desiderio della liquidazione di Israele e il rifiuto di riconoscere la legittimità della sua esistenza. Se questa è la situazione, cosa resta dell’offerta israeliana di compromesso?”
L’opposizione di sinistra cercherà di accusare il governo d’aver favorito la vittoria di Hamas non sostenendo a sufficienza il (corrotto) regime del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Ma si tratta di una critica assai debole. “I palestinesi non sono stupidi – nota Jeff Jacoby (Boston Globe, 29.01.06) – Se votano per mandare al potere un’organizzazione genocida con una piattaforma politica che discende direttamente dal Mein Kampf, è un insulto alla loro intelligenza sostenere che quello che in realtà vogliono è una migliore assistenza sanitaria. Non occorre l’estremismo islamista per far funzionare gli ospedali, come non occorreva il fascismo per far arrivare i treni in orario nell’Italia degli anni ’20. Se i palestinesi hanno votato in massa un partito che sostiene apertamente l’odio e le stragi, si può star certi che odio e stragismo hanno qualcosa a che fare con il loro voto”.
Né sembra beneficiare dell’exploit di Hamas la destra Likud, che pure ha costruito la propria campagna sulla denuncia del ritiro da Gaza come di un tragico errore, vero preludio alla nascita di uno stato terrorista alle porte di Israele. Kadima, spiega Pfeffer, ha ottimi argomenti da contrapporre, ricordando i fallimenti del governo Netanyahu (1996-99) nella lotta contro Hamas, e come invece oggi, proprio grazie al credito guadagnato con il ritiro da Gaza, l’indisponibilità di Israele a trattare con un’Autorità Palestinese controllata da Hamas goda di ampia comprensione internazionale. Soprattutto, Kadima può contare sul fatto che, come scrive Benziman, “la ragione morale per porre fine all’occupazione israeliana persiste, anche in queste circostanze, giacché l’occupazione causa ingiustizie, corrompe e lacera la società israeliana e ne danneggia lo sviluppo e la posizione internazionale. Governare su un altro popolo resta una ricetta per il disastro, porre fine all’occupazione resta il tema all’ordine del giorno, anche dopo le elezioni palestinesi”.
Il primo video clip elettorale presentato da Kadima all’inizio di febbraio mostra varie scene classiche della storia del paese per culminare con le immagini di una soldatessa che accompagna via una colona israeliana da Gush Katif. “Il disimpegno – conclude Pfeffer – è stato un trauma per parecchi israeliani, ma non è tra questi che Kadima andrà a cercare i voti. Per tutto il resto dell’elettorato, ritiri disimpegni e sgomberi sono decisamente l’imperativo del momento. Paradossalmente, gli stessi scontri ad Amona possono convincere gli elettori che Olmert è altrettanto deciso di Sharon e suo degno erede. Dopo Amona, è difficile per la sinistra accusare Olmert di essere troppo tenero con i coloni, mentre il Likud, che deve riguadagnare voti al centro, non può permettersi di passare per l’alleato di gruppi eversivi che ingiuriano e aggrediscono i soldati israeliani”.

Vedi anche:
Israele alle elezioni, senza Sharon

https://www.israele.net/sections.php?id_article=1064&ion_cat=18